RASSEGNA DELLE SEZIONI CIVILI DELLA CASSAZIONE

SEZ. 6 – I ORDINANZA DEL 23/01/2020, N. 1562 FAMIGLIA - MATRIMONIO - DIRITTI E DOVERI DEI CONIUGI - EDUCAZIONE, ISTRUZIONE E MANTENIMENTO DELLA PROLE - CONCORSO NEGLI ONERI - IN GENERE. Assegno di mantenimento - Spese straordinarie - Nozione - Ricomprensione forfettaria nell'assegno - Esclusione - Fondamento. In tema di mantenimento della prole, devono intendersi spese straordinarie quelle che, per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, esulano dall'ordinario regime di vita dei figli, cosicché la loro inclusione in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dall'articolo 155 c.c. e con quello dell'adeguatezza del mantenimento, nonché recare nocumento alla prole che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell'assegno cumulativo , di cure necessarie o di altri indispensabili apporti. In senso conforme, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9372/2012 In tema di mantenimento della prole, devono intendersi spese straordinarie quelle che, per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall'ordinario regime di vita dei figli, cosicchè la loro inclusione in via forfettaria nell'ammontare dell'assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità sancito dall'articolo 155 cod. civ. e con quello dell'adeguatezza del mantenimento, nonchè recare grave nocumento alla prole, che potrebbe essere privata, non consentendolo le possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell'assegno cumulativo , di cure necessarie o di altri indispensabili apporti pertanto, pur non trovando la distribuzione delle spese straordinarie una disciplina specifica nelle norme inerenti alla fissazione dell'assegno periodico, deve ritenersi che la soluzione di stabilire in via forfettaria ed aprioristica ciò che è imponderabile e imprevedibile, oltre ad apparire in contrasto con il principio logico secondo cui soltanto ciò che è determinabile può essere preventivamente quantificato, introduce, nell'individuazione del contributo in favore della prole, una sorta di alea incompatibile con i principi che regolano la materia. SEZ. I ORDINANZA DEL 22/01/2020, N. 1343 COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA - STRANIERO CONDIZIONE DELLO . Protezione sussidiaria - Minaccia di danno grave per lesione dell'onore familiare - Rilevanza - Verifica in concreto dell'adeguata protezione da parte del Paese d'origine - Necessità - Fondamento. In tema di protezione internazionale dello straniero, anche gli atti di vendetta e ritorsione minacciati o posti in essere da membri di un gruppo familiare che si ritiene leso nel proprio onore a causa di una relazione nella specie, sentimentale esistente o esistita con un membro della famiglia, sono riconducibili, in quanto lesivi dei diritti fondamentali sanciti in particolare dagli artt. 2, 3 e 29 Cost. e dall'articolo 8 CEDU, all'ambito dei trattamenti inumani o degradanti considerati nell'articolo 14, lett. b , del d.lgs. n. 251/2007, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sicché è onere del giudice verificare in concreto se, in presenza di minaccia di danno grave ad opera di soggetti non statuali, ai sensi dell'articolo 5, lett. c , del decreto citato, lo Stato di origine del richiedente sia in grado o meno di offrire al soggetto vittima di tali atti un'adeguata protezione. In precedenza i Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 25463/2016 In tema di protezione sussidiaria, la costrizione ad un matrimonio non voluto nella specie, per imposizione paterna costituisce grave violazione della dignità e, dunque, trattamento degradante che integra un danno grave, la cui minaccia, ai fini del riconoscimento di tale misura, può provenire anche da privati allorché le autorità pubbliche o le organizzazioni che controllano lo Stato o una sua parte consistente non possano o non vogliano fornire protezione adeguata, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull'attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull'eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali. ii Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 12333/2017 In tema di protezione internazionale dello straniero, in virtù degli artt. 3 e 60 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011 sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, anche gli atti di violenza domestica sono riconducibili all’ambito dei trattamenti inumani o degradanti considerati dall’articolo 14, lett. b , del d.lgs. n. 251/2007 ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, sicché è onere del giudice verificare in concreto se, pur in presenza di minaccia di danno grave ad opera di un soggetto non statuale”, ai sensi dell’articolo 5, lett. c , del decreto citato, come il marito della ricorrente, lo Stato di origine sia in grado di offrire alla donna adeguata protezione. Nella specie, relativa a cittadina marocchina vittima di abusi e violenze - proseguiti anche dopo il divorzio - da parte del coniuge, punito dalla giustizia marocchina con una blanda sanzione penale, la corte d’appello aveva negato il riconoscimento della protezione internazionale valorizzando elementi quali la condanna penale, l’ottenimento del divorzio e l’appoggio della famiglia di origine della donna, circostanze ritenute dalla S.C. di per sé non necessariamente indicative di un’adeguata protezione da parte del Paese di origine . iii Sez. 1 - , Ordinanza n. 26823/2019 In tema di protezione sussidiaria, e avuto riguardo alla libertà religiosa dello straniero, il diritto a tale forma di protezione non può essere escluso dalla circostanza che il danno grave possa essere provocato da soggetti privati, qualora nel Paese d'origine non vi sia un'autorità statale in grado di fornire adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull'attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull'eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali. Nella specie, il richiedente, cittadino senegalese di religione cristiana, aveva dedotto di essere esposto, in caso di ritorno in Senegal, al pericolo di essere ucciso per aver rifiutato di diventare sacerdote della religione tribale professata dal padre il quale, morendo, gli aveva lasciato tale incarico secondo la tradizione . SEZ. I ORDINANZA DEL 21/01/2020, N. 1197 FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - PASSIVITA' FALLIMENTARI ACCERTAMENTO DEL PASSIVO - FORMAZIONE DELLO STATO PASSIVO - IMPUGNAZIONE DEI CREDITI AMMESSI . Decreto di esecutività dello stato passivo - Impugnazione - Legittimazione del fallito - Esclusione - Fondamento. In tema di procedure concorsuali, non sussiste la legittimazione del fallito ad impugnare i provvedimenti adottati dal giudice delegato in sede di formazione dello stato passivo non solo perché essi hanno efficacia meramente endoconcorsuale, ma anche per quanto disposto dall'articolo 43 l.fall., che sancisce la legittimazione esclusiva del creditore per i rapporti patrimoniali del fallito compresi nel fallimento e, soprattutto, per l'espressa previsione di cui all'articolo 98 l.fall., a tenore del quale il decreto con cui il giudice rende esecutivo lo stato passivo non è suscettibile di denunzia con rimedi diversi dalle impugnazioni tipiche ivi disciplinate, esperibili soltanto dai soggetti legittimati, tra i quali non figura il fallito. In senso conforme, Cass. Sez. 6 - 1, Ordinanza n. 7407/2013 In tema di procedure concorsuali, l'articolo 98 legge fall. - nel regime intermedio di cui al d.lgs. n. 5/2006 ed anteriore al d.lgs. n. 169/2007, applicabile ratione temporis - nel prevedere che il decreto con cui il giudice delegato rende esecutivo lo stato passivo non è suscettibile di denunzia con rimedi diversi dalle impugnazioni tipiche ivi disciplinate, esperibili, peraltro, soltanto dai soggetti legittimati, tra i quali non figura il fallito, costituisce normativa speciale, specificamente dettata per la procedura endoprocessuale della verifica dello stato passivo. Ne consegue che non opera l'istituto della legittimazione sostitutiva del fallito in caso di inerzia degli organi fallimentari nelle cause riguardanti la massa, la cui mancata estensione non si pone in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. SEZ. I SENTENZA DEL 21/01/2020, N. 1185 SOCIETA' - DI CAPITALI - SOCIETA' A RESPONSABILITA' LIMITATA NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONI - CAPITALE SOCIALE - CONFERIMENTI - QUOTA - MANCATO PAGAMENTO. Delibera di aumento del capitale sociale - Mora del socio per i versamenti - Esclusione del socio - Impossibilità - Fondamento - Limiti. Nelle società a responsabilità limitata, nel caso di mora del socio nell'esecuzione dei versamenti dovuti alla società a titolo di conferimento per il debito da sottoscrizione dell'aumento del capitale sociale deliberato dall'assemblea nel corso della vita della società, il socio non può essere escluso, essendo egli titolare della partecipazione sociale sin dalla costituzione della società pertanto, ferma la permanenza del socio in società per la quota già posseduta, l'assemblea deve deliberare la riduzione del capitale sociale solo per la misura corrispondente al debito di sottoscrizione derivante dall'aumento non onorato, fatto salvo solo il caso in cui lo statuto preveda l'indivisibilità della quota. Si richiama Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5154/1992 La norma di cui all'ultimo comma dell'articolo 2344 cod. civ., secondo cui i soci in mora nei versamenti delle quote dovute non possono esercitare il diritto di voto, si riferisce esclusivamente ai versamenti iniziali necessari per la costituzione del capitale sociale e non a qualsiasi diversa richiesta di pagamento o di restituzione, o di nuovo versamento in caso di indebita restituzione, al fine della ricostituzione del capitale sociale. SEZ. I SENTENZA DEL 21/01/2020, N. 1184 CONTRATTI IN GENERE - AUTONOMIA CONTRATTUALE - IN GENERE. Fornitura - Abuso di dipendenza economica - Art. 9 legge n. 192/1998 - Interpretazione - Accertamento - Modalità. In tema di contratto di fornitura, l'abuso di dipendenza economica, di cui all'articolo 9 della l. n. 192/1998, è nozione indeterminata il cui accertamento postula l'enucleazione della causa concreta della singola operazione che il complessivo regolamento negoziale realizza, secondo un criterio teleologico di valutazione, in via di fatto, della liceità dell'interesse in vista del quale il comportamento è stato tenuto nell'applicazione della norma è pertanto necessario 1 quanto alla sussistenza della situazione di dipendenza economica , indagare se lo squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti sia eccessivo , essendo il contraente che lo subisce privo di reali alternative economiche sul mercato p. es., perché impossibilitato a differenziare agevolmente la propria attività o per avere adeguato l'organizzazione e gli investimenti in vista di quel rapporto 2 quanto all' abuso , indagare la condotta arbitraria contraria a buona fede, ovvero l'intenzionalità di una vessazione perpetrata sull'altra impresa, in vista di fini esulanti dalla lecita iniziativa commerciale retta da un apprezzabile interesse dell'impresa dominante quale, p. es., modificare le proprie strategie di espansione, adattare il tipo o la quantità di prodotto, o anche spuntare migliori condizioni , mirando la condotta soltanto ad appropriarsi del margine di profitto altrui. Si vedano i Sez. L, Sentenza n. 5095/2011 La giusta causa di licenziamento, quale fatto che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto , è una nozione che la legge - allo scopo di un adeguamento delle norme alla realtà da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo - configura con una disposizione ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura giuridica e la loro disapplicazione è quindi deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l'accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni, e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa di licenziamento, si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e sindacabile in cassazione a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards , conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale. Nella specie, il lavoratore, durante un periodo di assenza dal servizio per malattia, aveva sottoscritto certificati di sanità veterinaria - rilasciabili solo dal veterinario in servizio presso il distretto di appartenenza - per la spedizione internazionale di prodotti caseari con apposizione di falsi protocolli alle certificazioni medesime, così realizzando una grave violazione del vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro la S.C., in applicazione del principio su esteso, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittimo il recesso . ii Sez. L - , Sentenza n. 15885/2018 L'abuso del diritto non è ravvisabile nel solo fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell'altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi, essendo, invece, configurabile allorché il titolare di un diritto soggettivo, pur in assenza di divieti formali, lo eserciti con modalità non necessarie ed irrispettose del dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio della controparte contrattuale, ed al fine di conseguire risultati diversi ed ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà sono attribuiti. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso configurasse un abuso il trasferimento in sedi lontane e disagiate di alcuni lavoratori, che avevano scelto di non aderire ad una proposta di conciliazione per l'accettazione della mobilità in una condizione di libera autodeterminazione e nella consapevolezza delle conseguenze di ciascuna delle opzioni esistenti . SEZ. 6 – I ORDINANZA DEL 21/01/2020, N. 1175 FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - ORGANI PREPOSTI AL FALLIMENTO - CURATORE – COMPENSO. Liquidazione del compenso del curatore – Inclusione nell’attivo realizzato del valore dell’immobile liquidato nella procedura esecutiva promossa dal creditore fondiario – Condizioni. Ai fini della liquidazione del compenso al curatore del fallimento ex articolo 39 l.fall., non può ricomprendersi nel concetto di attivo realizzato , alla cui entità ragguagliare le percentuali previste dal d.m. n. 30/2012, il valore dell'immobile liquidato nella procedura esecutiva promossa dal creditore fondiario, a meno che il curatore non sia intervenuto nell'esecuzione svolgendo un'attività diretta a realizzare una concreta utilità per la massa dei creditori, anche mediante la distribuzione a questi ultimi di una parte del ricavato della vendita. Nella specie, la S.C. ha cassato il decreto del tribunale che aveva escluso dall'attivo fallimentare il ricavato della vendita del bene nell'esecuzione forzata individuale ancorché il curatore avesse amministrato l'immobile ipotecato, provvedendo alle spese di manutenzione, locandolo a terzi e curando gli adempimenti fiscali connessi all'alienazione coattiva, intervenendo nella procedura espropriativa con varie richieste . In senso conforme, Cass. Sez. 1 - , Ordinanza n. 14631/2018 Ai fini della liquidazione del compenso al curatore del fallimento ex articolo 39 l.fall., non può ricomprendersi nel concetto di attivo realizzato , alla cui entità ragguagliare le percentuali previste dal d.m. n. 30/2012, il valore dell'immobile liquidato nella procedura esecutiva promossa dal creditore fondiario, a meno che il curatore non sia intervenuto nell'esecuzione svolgendo un'attività diretta a realizzare una concreta utilità per la massa dei creditori, anche mediante la distribuzione a questi ultimi di una parte del ricavato della vendita.