RASSEGNA DELLE SEZIONI CIVILI DELLA CASSAZIONE

SEZ. II SENTENZA DEL 12 FEBBRAIO 2020, N. 3455 CONTRATTI IN GENERE - SCIOGLIMENTO DEL CONTRATTO - RISOLUZIONE DEL CONTRATTO - PER INADEMPIMENTO - RAPPORTO TRA DOMANDA DI ADEMPIMENTO E DOMANDA DI RISOLUZIONE - IMPUTABILITA' DELL'INADEMPIMENTO, COLPA O DOLO - IMPORTANZA DELL'INADEMPIMENTO. Contratti con prestazioni corrispettive - Inadempienze reciproche - Risoluzione o eccezione di inadempimento in favore di entrambe le parti - Configurabilità - Esclusione - Accertamento dell'inadempimento prevalente - Necessità. Nei contratti con prestazioni corrispettive non è consentito al giudice del merito, in caso di inadempienze reciproche, di pronunciare la risoluzione, ai sensi dell'art. 1453 c.c., o di ritenere la legittimità del rifiuto di adempiere, a norma dell'art. 1460 c.c., in favore di entrambe le parti, in quanto la valutazione della colpa dell'inadempimento ha carattere unitario, dovendo lo stesso addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell'altra parte. In senso conforme, Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14648 del 2013 Nei contratti con prestazioni corrispettive non è consentito al giudice del merito, in caso di inadempienze reciproche, di pronunciare la risoluzione, ai sensi dell'art. 1453 cod. civ., o di ritenere la legittimità del rifiuto di adempiere, a norma dell'art. 1460 cod. civ., in favore di entrambe le parti, in quanto la valutazione della colpa dell'inadempimento ha carattere unitario, dovendo lo stesso addebitarsi esclusivamente a quel contraente che, con il proprio comportamento prevalente, abbia alterato il nesso di interdipendenza che lega le obbligazioni assunte mediante il contratto e perciò dato causa al giustificato inadempimento dell'altra parte. SEZ. III ORDINANZA DELL’11 FEBBRAIO 2020, N. 3319 OBBLIGAZIONI IN GENERE - CESSIONE DEI CREDITI - IN GENERE. Factoring - Debitore ceduto - Mancata informazione circa l'inesistenza di crediti per i quali il cedente abbia ricevuto anticipazioni - Conseguenze - Obbligo di risarcimento dei danni subiti dal factor - Esclusione - Fondamento - Avvenuta accettazione della cessione - Irrilevanza - Limiti - Principio di buona fede - Violazione - Conseguenze - Risarcimento del danno. In tema di factoring , il debitore ceduto che, reso edotto della cessione, non abbia avvertito il factor dell'inesistenza di crediti per i quali il cedente abbia ricevuto anticipazioni, non è tenuto al risarcimento dei danni subiti dal cessionario poiché, a fronte della mera comunicazione dell'avvenuta cessione, il suo comportamento inerte non viola il principio di correttezza e buona fede, non sussistendo a suo carico - neanche nel caso in cui abbia accettato la cessione - un obbligo di informazione che ne aggravi la posizione il medesimo cessionario può, invece, pretendere di essere risarcito dal detto debitore ove questi, dopo avere garantito allo stesso factor l'esistenza e la validità di tali crediti, ne abbia leso l'affidamento, omettendo di avvisarlo sua sponte di circostanze sopravvenute ostative alla loro realizzazione. RISARCIMENTO DEL DANNO - CONCORSO DEL FATTO COLPOSO DEL CREDITORE O DEL DANNEGGIATO. Disciplina ex art. 1227, comma 2, c.c. - Accertamento dei presupposti per l'applicabilità della stessa - Spettanza al giudice di merito - Insindacabilità da parte della S.C. - Limiti. In tema di risarcimento del danno, l'accertamento dei presupposti per l'applicabilità della disciplina di cui all'art. 1227, comma 2, c.c. - che esclude il risarcimento in relazione ai danni che il creditore o il danneggiato avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza - integra indagine di fatto, come tale riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità, se sorretta da congrua motivazione. Con riferimento al primo principio si richiamano i Sez. 3, Sentenza n. 21599 del 2010 Il factor che si limiti a notificare al debitore ceduto l'avvenuta cessione, in proprio favore, dei crediti vantati verso quest'ultimo dal cedente, omettendo negligentemente di informarsi presso il debitore ceduto circa l'esistenza dei crediti stessi, non può pretendere il risarcimento dei danni dal ceduto stesso per pretesa violazione di un inesistente obbligo di informazione, giacché il comportamento passivo o inerte del debitore ceduto, a fronte della mera comunicazione dell'avvenuta cessione, non viola il principio di correttezza e buona fede, non essendo detto debitore obbligato a porre in essere uno specifico comportamento nei confronti del cessionario tale da implicare un aggravamento della sua posizione. ii Sez. 3, Sentenza n. 3184 del 2016 L'accettazione della cessione del credito da parte del debitore ceduto non costituisce ricognizione tacita del debito, trattandosi di una dichiarazione di scienza priva di contenuto negoziale, sicché, il ceduto non viola il principio di buona fede nei confronti del cessionario, se non contesta il credito, pur se edotto della cessione, né il suo silenzio può costituire conferma di esso, perché, per assumere tale significato, occorre un'intesa tra le parti negoziali cui il ceduto è estraneo. Il secondo è conforme a quello posto da Cass. Sez. 3 - , Sentenza n. 16484 del 2017 Ove il fatto illecito altrui causi al danneggiato la perdita definitiva di titoli di credito, sono risarcibili, e liquidabili in via equitativa, sia i danni corrispondenti alla perdita di tempo e di energie, nonché agli esborsi astrattamente necessari per espletare le procedure di cui agli artt. 2006, 2016 e 2027 c.c., sia quelli corrispondenti alla perdita delle azioni cartolari, qualora esse non siano in concreto esperibili o non vi sia seria probabilità di conseguire i relativi decreti di ammortamento l’onere di dimostrare la perdita del titolo di credito spetta al danneggiato, ed è prova sufficiente dell’esistenza di tali danni, mentre grava sul danneggiante l’onere di provare che quelli da perdita delle azioni cartolari avrebbero potuto essere evitati dal danneggiato usando l’ordinaria diligenza, ex art. 1227, comma 2, c.c., nell’intraprendere e completare le procedure di ammortamento. SEZ. III SENTENZA DELL’11 FEBBRAIO 2020, N. 3314 ACQUE - ACQUE PUBBLICHE - DERIVAZIONI E UTILIZZAZIONI UTENZE - CANONI - IN GENERE. Mancanza e temporanea inattività degli impianti di depurazione - Riconducibilità a tale nozione dell'assoluta insufficienza di detto impianto alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 39 del 2010 e n. 335 del 2008 – Fondamento. Alla mancanza ed alla temporanea inattività degli impianti di depurazione, che giustificano il diritto dell'utente di chiedere ai gestori del servizio idrico integrato la restituzione della quota non dovuta di tariffa, va equiparata l' assoluta insufficienza di detti impianti poiché, alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 39 del 2010 e n. 335 del 2008, il pagamento di un servizio di depurazione del quale non si è comunque potuto usufruire per fatto non imputabile è da ritenere, in ogni caso, indebito. ACQUE - ACQUE PUBBLICHE - DERIVAZIONI E UTILIZZAZIONI UTENZE - CANONI - IN GENERE. Art. 8 sexies, comma 2, d.l. n. 208 del 2008, conv. con modif. da l. n. 13 del 2009 - Restituzione della quota non dovuta di tariffa da parte dei gestori del servizio idrico integrato - Termine di cinque anni - Condizione di procedibilità - Esclusione - Interpretazione costituzionalmente adeguata della disposizione - Fondamento - Detrazione degli oneri gravanti sull’utente - Conseguenze sulla natura del credito - Onere della prova - Ripartizione. L'art. 8 sexies, comma 2, del d.l. n. 208 del 2008, conv. con modif. dalla l. n. 13 del 2009, nel prescrivere la restituzione della quota non dovuta di tariffa da parte dei gestori del servizio idrico integrato entro il termine di cinque anni decorrente dal 1° ottobre 2009, fatta salva la deduzione degli oneri derivanti dalle attività di progettazione, realizzazione o completamento già avviate, non ha introdotto una condizione di procedibilità della relativa domanda di rimborso proposta dall'utente, ma, in assenza di una espressa previsione legislativa di tale contenuto, deve essere interpretato, in un'ottica costituzionalmente orientata, nel senso che i gestori possono dilazionare fino a cinque anni il pagamento, non solo erogando l'importo in forma rateale, ma anche compensandolo con la somma comunque spettante per il complessivo servizio assicurato in particolare, qualora detta dilazione consegua alla necessità di dedurre i summenzionati oneri, il credito dell'utente diviene illiquido e, quindi, non può essere azionato, gravando, peraltro, sul debitore convenuto l'onere di provare la ricorrenza del fatto impeditivo dell'immediato adempimento, ai sensi dell'art. 2697, comma 2, c.c. ACQUE - ACQUE PUBBLICHE - DERIVAZIONI E UTILIZZAZIONI UTENZE - CANONI - IN GENERE. Mancato funzionamento dell’impianto di depurazione - Domanda di restituzione della quota non dovuta di tariffa del servizio idrico integrato - Legittimazione passiva dei gestori di tale servizio - Eventuale responsabilità anche del titolare dell’impianto a titolo di cooperazione nell’inadempimento - Ammissibilità - Natura aquiliana di quest’ultima responsabilità - Fattispecie. La legittimazione passiva in ordine alla domanda di restituzione della quota della tariffa del servizio idrico integrato, non dovuta in ragione del mancato funzionamento dell'impianto di depurazione, spetta, oltre che al gestore del servizio che, in quanto parte del contratto di somministrazione, abbia ricevuto il pagamento indebito, anche al titolare del predetto impianto, a carico del quale può configurarsi una concorrente responsabilità, avente natura extracontrattuale, a titolo di cooperazione nell'inadempimento. Nell'enunciare il principio, la S.C. ha precisato che, nel primo caso, grava sul gestore del servizio idrico integrato l'onere di dimostrare il corretto funzionamento dell'impianto nel periodo oggetto di fatturazione mentre, nel secondo, tale prova deve essere data dall'utente . Sul primo principio, vedi Cass. Sez. 5 - , Ordinanza n. 9500 del 2018 La tariffa del servizio idrico integrato ha natura di corrispettivo di una prestazione complessa che trova fonte, per una quota determinata dalla legge, nel contratto di utenza ne deriva che la quota afferente il servizio di depurazione, a seguito della pronuncia n. 335 del 2008 della Corte Costituzionale la quale ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 14, comma 1, della l. n. 36 del 1994, sia nel testo originario che in quello risultante dalle modificazioni apportate dall'art. 28 della l. n. 179 del 2002 , non è dovuta nell'ipotesi di mancato funzionamento dello stesso per fatto non imputabile all'utente, stante l'assenza della controprestazione. In ordine al secondo, si richiama Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14042 del 2013 Configurandosi la tariffa del servizio idrico integrato, in tutte le sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, è il soggetto esercente detto servizio, il quale pretenda il pagamento anche degli oneri relativi al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche, ad essere tenuto a dimostrare l'esistenza di un impianto di depurazione funzionante nel periodo oggetto della fatturazione, in relazione al quale esso pretenda la riscossione. Riguardo al terzo, si richiama Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14042 del 2013 Configurandosi la tariffa del servizio idrico integrato, in tutte le sue componenti, come il corrispettivo di una prestazione commerciale complessa, è il soggetto esercente detto servizio, il quale pretenda il pagamento anche degli oneri relativi al servizio di depurazione delle acque reflue domestiche, ad essere tenuto a dimostrare l'esistenza di un impianto di depurazione funzionante nel periodo oggetto della fatturazione, in relazione al quale esso pretenda la riscossione. SEZ. II SENTENZA DEL 10 FEBBRAIO 2020, N. 3058 URBANISTICA - CONCESSIONE EDILIZIA - IN GENERE. Procedimento finalizzato al rilascio della concessione edilizia - Convenzione d'obbligo tra comune e privato costruttore - Natura - Accordo endoprocedimentale dal contenuto vincolante con connotazione pubblicistica - Configurabilità - Conseguenze. La convenzione, stipulata tra comune e privato costruttore, con la quale questi, al fine di conseguire il rilascio di una concessione o di una licenza edilizia, si obblighi ad un facere o a determinati adempimenti nei confronti dell'ente pubblico, non costituisce un atto di diritto privato, né ha specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento di contrapposti interessi delle parti stipulanti, configurandosi come atto intermedio del procedimento amministrativo volto al conseguimento del provvedimento finale, dal quale promanano poteri autoritativi della pubblica amministrazione. Ne consegue che, non potendosi qualificare l'atto d'obbligo come contratto a favore di terzi, ai sensi dell'art. 1411 c.c., i privati acquirenti dell'immobile edificato non hanno alcuna possibilità di rivendicare diritti sulla base di esso, né, quindi, di agire per il suo adempimento, salva l'ipotesi che detto obbligo sia stato trasfuso in una disciplina negoziale al momento del trasferimento delle singole unità immobiliari. In senso conforme, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 9314 del 2013 La convenzione, stipulata tra comune e privato costruttore, con la quale questi, al fine di conseguire il rilascio di una concessione o di una licenza edilizia, si obblighi ad un facere o a determinati adempimenti nei confronti dell'ente pubblico non costituisce un atto di diritto privato, né ha specifica autonomia e natura di fonte negoziale del regolamento di contrapposti interessi delle parti stipulanti, avendo invece connotazione pubblicistica e configurandosi come accordo endoprocedimentale dal contenuto vincolante quale mezzo rivolto al fine di conseguire l'autorizzazione edilizia. Nella specie, il rilascio di una licenza edilizia per la costruzione di altro fabbricato ad uso abitativo del privato era condizionato al fatto che si provvedesse ad una cessione gratuita di un altro contesto immobiliare . SEZ. II, ORDINANZA DEL 10 FEBBRAIO 2020, N. 3047 PROVA CIVILE - CONSULENZA TECNICA - CONSULENTE D'UFFICIO - ATTIVITA' - COMUNICAZIONI ALLE PARTI. Operazioni peritali - Inizio - Comunicazione ex art. 90 disp. att. c.p.c. - Omissione - Nullità - Condizioni. In tema di consulenza tecnica d'ufficio, ai sensi degli artt. 194, comma 2, c.p.c. e 90, comma 1, disp. att. c.p.c., alle parti va data comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, senza che l'omissione anche di una di simili comunicazioni sia, di per sé, ragione di nullità della consulenza stessa, che si realizza soltanto quando, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, ne sia derivato un pregiudizio del diritto di difesa per non essere state le parti poste in grado di intervenire alle operazioni, pregiudizio che non ricorre ove risulti che le parti, con avviso anche verbale o in qualsiasi altro modo, siano state egualmente in grado di assistere all'indagine o di esplicare in essa le attività ritenute convenienti. In senso conforme, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14532 del 2016 In tema di consulenza tecnica d'ufficio, ai sensi degli artt. 194, comma 2, c.p.c. e 90, comma 1, disp. att. c.p.c., alle parti va data comunicazione del giorno, ora e luogo di inizio delle operazioni peritali, senza che l'omissione anche di una di simili comunicazioni sia, di per sé, ragione di nullità della consulenza stessa, che si realizza soltanto quando, avuto riguardo alle circostanze del caso concreto, ne sia derivato un pregiudizio del diritto di difesa per non essere state le parti poste in grado di intervenire alle operazioni, il quale non ricorre qualora risulti che le parti, con avviso anche verbale o in qualsiasi altro modo, siano state egualmente in grado di assistere all'indagine o di esplicare in essa le attività ritenute convenienti. Nella specie, la S.C. ha confermato la validità di una consulenza tecnica di ufficio malgrado l'omesso avviso, all'unico esperto stimatore del collegio di consulenti nominato dalla ricorrente, della ripresa delle operazioni peritali a seguito dell'interruzione del giudizio per morte di una delle parti, sul presupposto che lo stesso avrebbe potuto acquisire dagli altri componenti del collegio regolarmente presenti, i dati necessari per l'elaborazione tecniche difensive di sua pertinenza . SEZ. II, ORDINANZA DEL 10 FEBBRAIO 2020, N. 3043 PROPRIETA' - LIMITAZIONI LEGALI DELLA PROPRIETA' - RAPPORTI DI VICINATO - APERTURE FINESTRE - LUCI NOZIONE, DIFFERENZE DALLE VEDUTE, DISTINZIONI - NEL MURO SOPRAELEVATO. Limitazioni legali della proprietà - Rapporti di vicinato - Veduta - Nozione - Terrazze e lastrici solari - Cd. inspectio et prospectio in alienum - Sicurezza dell'affaccio - Nozione - Assenza di parapetto su una terrazza - Qualificazione in termini di prospetto o veduta - Esclusione - Qualificazione come luce irregolare - Condizioni - Ambito dell'oggetto di accertamento. Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell'art. 900 c.c., conseguentemente soggetta alle regole di cui agli artt. 905 e 907 c.c. in tema di distanze, è necessario che le cd. inspectio et prospectio in alienum , vale a dire le possibilità di affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente , siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. Ne consegue che l'assenza di parapetto su una terrazza di copertura di un edificio costituisce elemento decisivo per escludere che l'opera abbia i caratteri della veduta o del prospetto, anche se essa sia di normale accessibilità e praticabilità da parte del proprietario, laddove la praticabilità può valere invece ai fini della qualificazione della situazione come luce irregolare. Per escludere anche questa seconda configurazione giuridica è necessario accertare, avuto riguardo all'attuale consistenza e destinazione dell'opera, oggettivamente considerata, ed alle sue possibili e prevedibili utilizzazioni da parte del proprietario, se e quali limitazioni, ancorché diverse e minori di quelle derivanti da un'apertura avente i caratteri della veduta o del prospetto, possano discenderne a carico della libertà del fondo vicino altrui. Si richiamano a Sez. 2, Sentenza n. 18910 del 2012 Per configurare gli estremi di una veduta ai sensi dell'art. 900 cod. civ. conseguentemente soggetta alla regole di cui agli artt. 905 e 907 cod. civ. in tema di distanze, è necessario che le cd. inspectio et prospectio in alienum , vale a dire le possibilità di affacciarsi e guardare di fronte, obliquamente o lateralmente , siano esercitabili in condizioni di sufficiente comodità e sicurezza. Nella specie, in applicazione dell'enunciato principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva respinto la richiesta di arretramento del parapetto di un terrazzo risultato essere alto soltanto novanta centimetri, altezza corrispondente a quella non del petto ma del basso ventre di una persona di ordinaria statura e, quindi, insufficiente per garantire un affaccio sicuro . b Sez.2 - , Sentenza n. 113 del 2017 Il lastrico solare agevolmente accessibile non svolge soltanto una funzione di copertura del fabbricato e pertanto, se posto allo stesso livello e destinato al servizio della porzione immobiliare sita all'ultimo piano dell'edificio, può comportare l'obbligo del proprietario di quest'ultimo di costruzione di un muretto recinto da rete metallica, onde rendere la luce irregolare conforme alle prescrizioni stabilite dall'art. 901 c.c.