RASSEGNA DELLE SEZIONI CIVILI DELLA CASSAZIONE

SEZ. III SENTENZA DEL 15 GENNAIO 2020, N. 542 IMPUGNAZIONI CIVILI - IMPUGNAZIONI IN GENERALE - INTERESSE ALL'IMPUGNAZIONE. Giudizio instaurato contro più debitori solidali - Accertamento della responsabilità esclusiva di uno di essi - Interesse del debitore condannato all'impugnazione in relazione a tale statuizione - Insussistenza - Condizioni - Fondamento. La solidarietà passiva nel rapporto obbligatorio è prevista dal legislatore nell'interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest'ultimo, consentendogli di ottenere l'adempimento dell'intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori, mentre non ha alcuna influenza nei rapporti interni tra condebitori solidali, fra i quali l'obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza, in parti uguali. Ne consegue che, se il creditore conviene in giudizio più debitori, sostenendo la loro responsabilità solidale, e il giudice, invece, condanna uno solo di essi, con esclusione del rapporto di solidarietà, il debitore condannato, ove non abbia proposto alcuna domanda di rivalsa nei confronti del preteso condebitore solidale e, dunque, non abbia dedotto in giudizio il rapporto interno che lo lega agli altri debitori, non ha un interesse ad impugnare tale sentenza nella parte in cui esclude la solidarietà, perché essa non aggrava la sua posizione di debitore dell'intero e non pregiudica il suo eventuale diritto di rivalsa. In senso conforme, già Cass. Sez. 3, Sentenza n. 21774 del 2015 La solidarietà passiva nel rapporto obbligatorio è prevista dal legislatore nell'interesse del creditore e serve a rafforzare il diritto di quest'ultimo, consentendogli di ottenere l'adempimento dell'intera obbligazione da uno qualsiasi dei condebitori, mentre non ha alcuna influenza nei rapporti interni tra condebitori solidali, fra i quali l'obbligazione si divide secondo quanto risulta dal titolo o, in mancanza, in parti uguali sicché, se il creditore conviene in giudizio più debitori sostenendo la loro responsabilità solidale e il giudice, invece, condanni uno solo di essi, con esclusione del rapporto di solidarietà, il debitore condannato, ove non abbia proposto alcuna domanda di rivalsa nei confronti del preteso condebitore solidale e, dunque, non abbia dedotto in giudizio il rapporto interno che lo lega agli altri debitori, non ha un interesse ad impugnare tale sentenza nella parte in cui esclude la solidarietà, perché essa non aggrava la sua posizione di debitore dell'intero, né pregiudica in alcun modo il suo eventuale diritto di rivalsa. SEZ. III ORDINANZA DEL 15 GENNAIO 2020, N. 521 PROVA CIVILE - ONERE DELLA PROVA - IN GENERE. Responsabilità del liquidatore verso i creditori sociali in caso di cancellazione della società - Presupposti - Liberazione da responsabilità - Onere di allegazione e probatorio gravante sul medesimo liquidatore. In tema di responsabilità del liquidatore nei confronti dei creditori sociali rimasti insoddisfatti dopo la cancellazione della società ex art. 2495, comma 2, c.c., il conseguimento, nel bilancio finale di liquidazione, di un azzeramento della massa attiva non in grado di soddisfare un credito non appostato nel bilancio finale di liquidazione, ma, comunque, provato, quanto alla sua sussistenza, già nella fase di liquidazione, è fonte di responsabilità illimitata del liquidatore verso il creditore pretermesso, qualora sia allegato e dimostrato che la gestione operata dal liquidatore evidenzi l'esecuzione di pagamenti in spregio del principio della par condicio creditorum , applicato nel rispetto delle cause legittime di prelazione ex art. 2741, comma 2, c.c. Pertanto, ove il patrimonio si sia rivelato insufficiente per soddisfare alcuni creditori sociali, il liquidatore, per liberarsi dalla responsabilità su di lui gravante in riferimento al dovere di svolgere un'ordinata gestione liquidatoria, ha l'onere di allegare e dimostrare che l'intervenuto azzeramento della massa attiva tramite il soddisfacimento dei debiti sociali non è riferibile a una condotta assunta in danno del diritto del singolo creditore di ricevere uguale trattamento rispetto ad altri creditori, salve le cause legittime di prelazione. Si richiama Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 24039 del 2006 La responsabilità dei liquidatori di società di capitali prevista dall'art. 2456, secondo comma, ult. parte, cod. civ. nel testo anteriore a quello introdotto dall'art. 2, comma 1, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 ed ora corrispondente all'art. 2495 cod. civ. nel testo introdotto dall'art. 4 del medesimo d.lgs. ha natura di responsabilità aquiliana conseguente a fatto illecito, e dunque la relativa obbligazione non è pecuniaria, bensì di valore pertanto, non essendo applicabile il comma terzo dell'art. 1182 dello stesso codice, bensì il comma quarto, il forum destinatae solutionis , ai sensi dell'art. 20, ult. parte, cod. proc. civ., coincide con il domicilio del debitore. SEZ. III ORDINANZA DEL 15 GENNAIO 2020, N. 515 RISARCIMENTO DEL DANNO - VALUTAZIONE E LIQUIDAZIONE - IN GENERE. Danno alla persona - Rifiuto del danneggiato di sottoporsi ad emotrasfusione per diminuirne l'entità - Irrilevanza - Concorso colposo del creditore ai sensi dell'art. 1227 c.c. - Esclusione - Fattispecie. In tema di liquidazione del danno alla persona, è irrilevante il rifiuto del danneggiato di sottoporsi ad una emotrasfusione al fine di diminuire l'entità di tale danno, atteso che non sussiste alcun obbligo a suo carico di accettare questo trattamento medico, non essendo il suo rifiuto inquadrabile nell'ipotesi del concorso colposo del creditore previsto dall'art. 1227 c.c. Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto applicabile l'art. 1227 c.c. ad una vittima di sinistro stradale cagionato dalla colpevole condotta di un terzo, solo perché si era messa alla guida con la consapevolezza di non voler essere sottoposta, per scelta religiosa, ad emostrasfusioni . Si veda Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6502 del 2001 In tema di liquidazione del danno alla persona, è da considerarsi irrilevante il rifiuto del danneggiato di sottoporsi ad intervento chirurgico al fine di diminuire l'entità del danno, atteso che non può essere configurato alcun obbligo a suo carico di sottoporsi all'intervento stesso, non essendo quel rifiuto inquadrabile nell'ipotesi di concorso colposo del creditore, previsto dall'art. 1227 cod. civ SEZ. III ORDINANZA DEL 15 GENNAIO 2020, N. 515 RISARCIMENTO DEL DANNO - CONCORSO DEL FATTO COLPOSO DEL CREDITORE O DEL DANNEGGIATO. Sinistro stradale - Decesso dovuto al rifiuto di sottoporsi alle necessarie trasfusioni di sangue per ragioni religiose - Obbligo per il danneggiato di astenersi dalla circolazione stradale - Conseguente riduzione del risarcimento in ragione della rilevanza causale della consapevole ed imprudente esposizione ad un rischio - Esclusione - Fondamento - Fattispecie. La vittima di un sinistro stradale, deceduta in seguito al rifiuto di ricevere delle trasfusioni di sangue per ragioni religiose, non può essere considerata corresponsabile della propria morte, con l'effetto di vedere ridotto il risarcimento dovuto dal danneggiante, per il solo fatto di essere salita su una vettura ed avere così accettato, in maniera volontaria ed imprudente, il rischio della circolazione benché fosse consapevole di non potersi sottoporre a determinate cure mediche, poiché tale rifiuto è espressione del diritto all'autodeterminazione spettante ad ogni individuo. Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito, che aveva ritenuto sussistente il concorso di colpa della vittima in un sinistro rivelatosi mortale perché essa aveva utilizzato l'automobile nonostante sapesse di non potersi sottoporre, per motivi religiosi, ad emotrasfusioni . RESPONSABILITA' CIVILE - CAUSALITA' NESSO DI . Condotta non colposa del danneggiato - Rilevanza ex art. 1227, comma 1, c.c. - Esclusione - Fondamento - Fattispecie. In tema di nesso di causalità, la condotta non colposa del danneggiato è equiparata ad una concausa naturale dell'evento, con la conseguenza che essa non giustifica una riduzione, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., del risarcimento dovuto dal danneggiante. Nella specie il rifiuto di sottoporsi ad emostrasfusioni dovuto a scelta religiosa è stato ritenuto condotta non colposa, ininfluente sulla determinazione del danno risarcibile . In precedenza, con riguardo al primo principio i Sez. 3, Sentenza n. 11698 del 2014 L'esposizione volontaria ad un rischio, o, comunque, la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole, è idonea ad integrare una corresponsabilità del danneggiato e a ridurre, proporzionalmente, la responsabilità del danneggiante, in quanto viene a costituire un antecedente causale necessario del verificarsi dell'evento, ai sensi dell'art. 1227, primo comma, cod. civ., e, a livello costituzionale, risponde al principio di solidarietà sociale di cui all'art. 2 Cost. avuto riguardo alle esigenze di allocazione dei rischi riferibili, nella specie, all'ambito della circolazione stradale secondo una finalità comune di prevenzione, nonché al correlato obbligo di ciascuno di essere responsabile delle conseguenze dei propri atti. Nella specie, in applicazione dell'anzidetto principio, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto sussistente il concorso di colpa del danneggiato per aver partecipato come passeggero ad una gara automobilistica clandestina . ii Sez. 1 - , Ordinanza n. 12998 del 2019 La designazione anticipata dell'amministratore di sostegno da parte dello stesso interessato, in vista della propria eventuale futura incapacità, prevista dall'art. 408, comma 1, c.c., non ha esclusivamente la funzione di scegliere il soggetto che, ove si presenti la necessità, il giudice tutelare deve nominare, ma ha altresì la finalità di consentire al designante, che si trovi ancora nella pienezza delle proprie facoltà cognitive e volitive, di impartire delle direttive vincolanti sulle decisioni sanitarie o terapeutiche da far assumere in futuro all'amministratore designato tali direttive possono anche prevedere il rifiuto di determinate cure, in quanto il diritto fondamentale della persona all'autodeterminazione, in cui si realizza il valore fondamentale della dignità umana, sancito dall'art. 32 Cost., dagli art. 2, 3 e 35 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dalle convenzioni internazionali, include il diritto di rifiutare la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale, senza che tale rifiuto, ove informato, autentico e attuale, incontri un limite di ordine pubblico in un inesistente dovere di curarsi. Nella fattispecie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva rigettato la richiesta di nomina dell'amministratore di sostegno che l'interessato, aderente alla confessione religiosa dei Testimoni di Geova, aveva preventivamente designato, anche allo scopo di far valere la sua irrevocabile volontà di non essere sottoposto, neanche in ipotesi di morte certa ed imminente, a trasfusioni a base di emoderivati . E con riguardo al secondo principio a Sez. 1 - , Ordinanza n. 29352 del 2018 In tema di risarcimento del danno, perché possa farsi luogo alla diminuzione del ristoro per concorso del creditore nella produzione del danno medesimo, è necessario che costui sia tenuto, per legge, o per contratto o per generico dovere di correttezza, ad adottare un determinato comportamento, inerente all'esecuzione del rapporto obbligatorio e idoneo a circoscrivere, se non ad escludere, gli effetti pregiudizievoli dell'inadempimento. Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza d'appello, ritenendo - diversamente dalla pronuncia di merito - che, a fronte dell'inadempimento di una banca dell'ordine impartito dai clienti, di vendita di azioni ad un prezzo specifico - stop order -, costoro non fossero gravati dall'obbligo di procedere comunque alla vendita al fine di ottenere un prezzo più prossimo a quello astrattamente ottenibile con l'ordine rimasto ineseguito . b Sez. 3 - , Sentenza n. 30521 del 2019 In materia di rapporto di causalità nella responsabilità civile, in base ai principi di cui agli artt. 40 e 41 c.p., qualora le condizioni ambientali od i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica sulla quale incide il comportamento imputabile dell'uomo siano sufficienti a determinare l'evento di danno indipendentemente dal comportamento medesimo, l'autore dell'azione o della omissione resta sollevato, per intero, da ogni responsabilità dell'evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale ove, invece, quelle condizioni non possano dare luogo, senza l'apporto umano, all'evento di danno, l'autore del comportamento imputabile è responsabile per intero di tutte le conseguenze da esso scaturenti secondo normalità, non potendo, in tal caso, operarsi una riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, poiché una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile. Ne consegue che, a fronte di una sia pur minima incertezza sulla rilevanza di un eventuale contributo con-causale di un fattore naturale quale che esso sia , non è ammesso, sul piano giuridico, affidarsi ad un ragionamento probatorio semplificato , tale da condurre ipso facto ad un frazionamento delle responsabilità in via equitativa, con relativo ridimensionamento del quantum risarcitorio. SEZ. III ORDINANZA DEL 15 GENNAIO 2020, N. 512 CALAMITA' PUBBLICHE - CALAMITA' NATURALI - PIENE DEI FIUMI E DEI TORRENTI. Possibile calamità naturale - Obbligo del Comune di attivarsi - Sussistenza - Obbligo di avviso ad personam - Esclusione - Fattispecie. Nelle situazioni di grave criticità per l'incolumità pubblica nelle quali sia necessario prevenire ed eliminare pericoli imminenti derivanti da possibili calamità naturali, grava sul Comune l'obbligo di attivarsi per allertare, con ogni mezzo, la popolazione e, in particolare, quella già individuata come stabilmente residente nelle parti del territorio ritenute a rischio molto elevato, senza che ciò comporti, però, l'obbligo di avviso individuale. Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione di merito che aveva dato valore alle misure poste in essere dal Comune in occasione dell'esondazione di un fiume, come il monitoraggio del suo livello o l'attivazione dei volontari e delle squadre di soccorso, benché queste fossero o inconferenti o generiche, omettendo di accertare, invece, le concrete iniziative intraprese per avvertire gli abitanti delle aree interessate, e ciò nonostante si trattasse di un numero ristretto di cittadini, residenti nelle due zone a rischio più elevato e ben indicati nella Tabella del Piano intercomunale della Protezione Civile quali soggetti beneficiari di un dovere di protezione e informazione specifico . Si veda Cass. Sez. U - , Sentenza n. 20680 del 2018 L'art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000 attribuisce al sindaco il potere di emanare ordinanze contingibili ed urgenti al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità pubblica e la sicurezza urbana. Queste possono essere adottate per fronteggiare situazioni impreviste e non altrimenti fronteggiabili con gli strumenti ordinari e presuppongono necessariamente situazioni, non tipizzate dalla legge, di pericolo effettivo, la cui sussistenza deve essere suffragata da una istruttoria adeguata e da una congrua motivazione, avuto riguardo, soprattutto, all'impossibilità di utilizzare i rimedi di carattere ordinario apprestati dall'ordinamento. In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sussistenza di una situazione di necessità e di urgenza idonea a legittimare l'intervento sindacale in un caso in cui, a seguito dell'accesso ai luoghi in cui scorreva l'alveo di un fiume, era stata rilevata la presenza di notevoli accumuli di sedimenti, oltre ad una notevole quantità di vegetazione di vario tipo, che metteva in pericolo la pubblica incolumità e rendeva palese l'inconsistenza degli altri strumenti utilizzabili . SEZ. II SENTENZA DEL 14 GENNAIO 2020, N. 451 PROFESSIONISTI - INGEGNERI E ARCHITETTI. Professionisti - Mancato completamento dell'incarico - Compenso ex art. 18 della l. n. 143 del 1949 - Spettanza - Ragioni della sospensione dell'opera - Irrilevanza - Risarcimento del danno - Condizioni - Condotta colpevole del committente - Necessità - Cumulo - Configurabilità - Esclusione. Il compenso spettante a un architetto o ingegnere per le prestazioni parziali rese deve essere aumentato, ai sensi dell'art. 18 della l. n. 143 del 1949, indipendentemente dalla causa relativa al mancato completamento dell'incarico, anche se esso sia dipeso dalla revoca di quest'ultimo, proveniente dal committente e determinata dall'inadempimento del professionista, trattandosi di obbligazione di natura indennitaria, distinta e non cumulabile con l'obbligazione risarcitoria di cui all'art. 10, comma 2, della cit. legge. Quest'ultima presuppone, invece, che la sospensione non sia imputabile al professionista, con la conseguenza che il risarcimento del danno non può essere liquidato in assenza di una condotta colpevole del committente e che l'indennità è destinata a restare assorbita nel risarcimento, quando esso sia superiore. Si richiamano i Sez. 2, Sentenza n. 7602 del 1999 Il compenso spettante ad un ingegnere per le prestazioni parziali rese deve esser aumentato del 25 per cento, ai sensi dell'art. 18 legge della tariffa professionale degli ingegneri e architetti legge 2 marzo 1949 n. 143 anche se il mancato completamento dell'incarico dipende dalla revoca di quest'ultimo, proveniente dal committente, determinata dall'inadempimento del professionista. Infatti l'arte. 10 della medesima tariffa al primo comma stabilisce tale aumento in caso di sospensione dell'incarico per qualsiasi motivo , ed al secondo comma esclude soltanto il diritto al risarcimento di maggiori danni se la sospensione è imputabile al professionista. ii Sez. 1, Sentenza n. 19700 del 2009 L'art. 10, secondo comma, della tariffa professionale degli ingegneri ed architetti, approvata con legge 2 marzo 1949, n. 143, nell'attribuire al professionista il diritto al risarcimento dei maggiori danni, in caso di sospensione dell'incarico dovuta a cause da lui non dipendenti, trova applicazione anche nell'ipotesi di recesso del committente, consentendo al professionista di provare la condotta colpevole di quest'ultimo, ai fini del conseguimento dell'integrale ristoro del danno, e configurando quindi una vera e propria obbligazione risarcitoria, distinta da quella indennitaria prevista dal primo comma della medesima disposizione, derivante dal mero fatto dell'intervenuta revoca dell'incarico, e con essa non cumulabile, con la conseguenza che il risarcimento del danno non può essere liquidato in assenza di una condotta colpevole del committente, e che l'indennità è destinata a restare assorbita nel risarcimento, quando esso sia superiore.