RASSEGNA DELLE SEZIONI CIVILI DELLA CASSAZIONE

SEZ. I SENTENZA DEL 19 GIUGNO 2019, N. 16511 FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - APERTURA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO - IMPRESE SOGGETTE - SOCIETA'. Trasformazione eterogenea di società in comunione di azienda - Dichiarazione di fallimento - Ammissibilità - Termine annuale - Cancellazione dal registro delle imprese - Fondamento. La trasformazione eterogenea di una società di capitali in comunione di azienda, ai sensi dell'art. 2500- septie s c.c., non preclude la dichiarazione del fallimento della medesima società entro un anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese, trattandosi pur sempre di un fenomeno successorio tra soggetti distinti. In precedenza, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1593 del 2002 La nascita di un'impresa individuale, cui quella collettiva trasferisca il proprio patrimonio, non preclude la dichiarazione del fallimento della società entro un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese nella specie, era stata dichiarata fallita una società disciolta, per mancata ricostituzione della pluralità dei soci a seguito di recesso di uno di questi, con assorbimento integrale del patrimonio nell'impresa individuale del socio superstite la S.C. sulla base dell'esposto principio ha confermato il rigetto dell'opposizione alla dichiarazione di fallimento . SEZ. I SENTENZA DEL 19 GIUGNO 2019, N. 16506 STAMPA - DIRITTO DI CRONACA. Opera cinematografica di taglio documentaristico o giornalistico - Esimente della verità putativa - Criteri di valutazione. Allorché un'opera artistica riguardi vicende di cronaca ancora in evoluzione, utilizzi i nomi propri delle persone coinvolte ed adotti un taglio al contempo sia narrativo che giornalistico e documentaristico, dovendo darsi prevalenza agli aspetti di tipo informativo rispetto a quelli artistici e creativi, la valutazione dell'esimente della verità putativa deve attenersi ai più stringenti criteri richiesti in tema di esercizio del diritto di cronaca, non limitandosi all'esame dei soli elementi formali ed estrinseci ma estendendo l'analisi anche all'uso di eventuali espedienti stilistici che possono trasmettere agli spettatori, anche al di là di una formale ed apparente correttezza espositiva, connotazioni negative sulle persone e sul ruolo dalle stesse rivestito, sicché ogni accostamento di notizie vere può considerarsi lecito solo se non produce un significato ulteriore che le trascenda e che abbia autonoma attitudine lesiva. In precedenza a Sez. 3, Sentenza n. 11259 del 2007 L'esercizio del diritto di cronaca può ritenersi legittimo quando sia riportata la verità oggettiva o anche solo putativa della notizia purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca dei fatti esposti il cui onere probatorio, in sede processuale, grava sul giornalista unitamente a quello del riscontro delle fonti utilizzate , che non può ritenersi configurabile quando, pur essendo vere le singole vicende riferite, siano dolosamente, o anche soltanto colposamente, taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato. A questo fine, pertanto, il giudizio di liceità sull'esplicazione del diritto di cronaca non può limitarsi ad una valutazione degli elementi formali ed estrinseci, ma deve estendersi anche ad un esame dell'uso di espedienti stilistici, che possono trasmettere ai lettori, anche al di là di una formale - ed apparente - correttezza espositiva, giudizi negativi sulla persona che si mira a mettere in cattiva luce, per cui, in definitiva, ogni accostamento di notizie vere può considerarsi lecito se esso non produce un ulteriore significato che le trascenda e che abbia autonoma attitudine lesiva. Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata che, con motivazione insufficiente e contraddittoria, aveva rilevato la liceità dell'esercizio del diritto di cronaca nel contenuto di un articolo pubblicato su un settimanale relativamente alle indagini penali iniziate tre anni prima da un P.M. nei confronti di un magistrato sulla scorta delle dichiarazioni di un pentito, escludendo, malgrado l'uso di espedienti stilistici volti ad evidenziare la possibile colpevole inerzia dell'inquirente, che potesse desumersi dal complesso dell'articolo un giudizio di disvalore nei confronti di quest'ultimo e, perciò, una possibile lesività sul piano diffamatorio dell'articolo stesso . b Sez. 3, Sentenza n. 10495 del 2009 In tema di diffamazione a mezzo d'opera teatrale, cinematografica o letteraria, perché possa dirsi integrata la fattispecie generatrice del diritto al risarcimento dei danni ad essa collegati non è sufficiente che il giudice accerti la natura non veritiera dei fatti o delle circostanze attinenti ad una persona menzionata e che possano arrecare danno alla sua dignità, ma è necessario che accerti altresì da un lato, che non si tratti di opera artistica, caratterizzata, in quanto tale, dall'idealizzazione della realtà od espressa mediante varie figure retoriche tendenti ad una trasfigurazione creativa, e, dall'altro, che l'espressione diffamatoria sia stata effettivamente percepita non solo come veritiera ma soprattutto come gratuitamente offensiva. Nella specie la S.C. ha negato la natura diffamatoria del monologo di un attore mandato in onda dalla RAI, nella parte in cui poteva aver evocato la vicenda di un bambino caduto in un pozzo per colpa della madre, la quale avrebbe poi ipocritamente finto dolore dinanzi al pubblico, pur senza provare rimorso per il suo turpe operato .