RASSEGNA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

22 NOVEMBRE 2018, N. 215 AMBIENTE. Rifiuti – Norme della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia – Piano regionale di gestione dei rifiuti. Criteri localizzativi regionali degli impianti di recupero e di smaltimento dei rifiuti in prossimità di un’opera di captazione delle acque destinate al consumo umano - Individuazione di una distanza minima predefinita dai punti di captazione. Misure di intervento dell’autorità competente in caso di inosservanza delle prescrizioni relative all’autorizzazione unica – Non fondatezza. La competenza esclusiva statale in materia di tutela dell’ambiente” e dell’ecosistema” può incontrare altri interessi e competenze, con la conseguenza che – ferma rimanendo la riserva allo Stato del potere di fissare livelli di tutela uniforme sull’intero territorio nazionale – possono dispiegarsi le competenze proprie delle Regioni per la cura di interessi funzionalmente collegati con quelli propriamente ambientali. Nell’esercizio di tali competenze regionali può anche esserci un’incidenza nella materia di competenza esclusiva statale, ma solo in termini di maggiore e più rigorosa tutela dell’ambiente. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 54/2012 il legislatore regionale non può prevedere, sia pure in nome di una protezione più rigorosa della salute degli abitanti della Regione medesima, interventi preclusivi suscettibili di pregiudicare, insieme ad altri interessi di rilievo nazionale, il medesimo interesse della salute in un ambito territoriale più ampio. 22 NOVEMBRE 2018, N. 212 STATO CIVILE. Unione civile – Cognome comune – Intestazione della scheda anagrafica individuale al cognome posseduto prima dell’unione civile – Correzione dell’atto di nascita e della scheda anagrafica mediante annullamento dell’annotazione relativa alla scelta del cognome, effettuata a norma dell’art. 4, comma 2, d.P.C.M. 23 luglio 2016, n. 144 – Non fondatezza. È espressivo di un principio caratterizzante l’ordinamento dello stato civile che il cognome d’uso assunto dalla moglie a seguito di matrimonio non comporti alcuna variazione anagrafica del cognome originario, che rimane immodificato. L’art. 20, comma 3, d.P.R. n. 223/1989 prevede, infatti, che Per le donne coniugate o vedove le schede devono essere intestate al cognome da nubile . In linea di coerenza con tale previsione, si prevede che la scheda anagrafica della parte dell’unione civile debba indicare il nome ed il cognome dell’altra parte dell’unione comma 1 dell’art. 20 , senza che ciò comporti una modifica del proprio cognome anagrafico comma 3- bis . D’altra parte, la dichiarazione della scelta circa la posizione del cognome comune non è affatto priva di significato, neppure laddove a tale cognome si riconnetta mero valore d’uso. Anche in questo caso, infatti, la posizione del cognome acquisito rispetto a quello originario riveste indubbio rilievo, atteso che la dichiarazione sulla posizione del cognome comune costituisce esercizio di un’ulteriore facoltà che la l. n. 76/2016 ha espressamente attribuito alle parti dell’unione civile. La natura paritaria e flessibile della disciplina del cognome comune da utilizzare durante l’unione civile e la facoltà di stabilirne la collocazione accanto a quello originario – anche in mancanza di modifiche della scheda anagrafica – costituiscono, dunque, garanzia adeguata dell’identità della coppia unita civilmente e della sua visibilità nella sfera delle relazioni sociali in cui essa si trova ad esistere. Sull’argomento, cfr. Corte Cost., n. 61/2006 è costituzionalmente illegittima la norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 c.c. art. 72, comma 1, r.d. n. 1238/1939 Ordinamento dello stato civile artt. 33 e 34 d.P.R. n. 396/2000 Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’art. 2, comma 12, l. n. 127/1997 , nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno in via consequenziale è altresì illegittimo l’art. 262, comma 1, c.c., nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno. 22 NOVEMBRE 2018, N. 211 ORDINAMENTO PENITENZIARIO. Detenzione domiciliare concessa al padre, esercente la potestà, di prole di età inferiore ad anni dieci con lui convivente, quando la madre sia deceduta o altrimenti, assolutamente, impossibilitata a dare assistenza alla prole – allontanamento dal domicilio – Punibilità ai sensi dell’art. 385 c.p. – Illegittimità costituzionale parziale. Stante l’identica finalità degli istituti della detenzione domiciliare ordinaria” e della detenzione domiciliare speciale”, in quanto applicati a genitori con figli minori di dieci anni, risulta priva di giustificazione, anche in relazione al padre che si trovi in detenzione domiciliare ordinaria” per esigenze di cura della prole, la maggiore severità del regime sanzionatorio previsto dall’art. 47- ter , commi 1, lett. b , e 8, l. 26 luglio 1975, n. 354 Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà , in forza del quale, anche un breve ritardo rispetto alle prescrizioni che accompagnano la concessione della detenzione domiciliare, e quale che sia la ragione di esso, integra il reato di evasione. E la manifesta irragionevolezza di tale normativa emerge proprio al cospetto della duttilità della disciplina disegnata invece dal legislatore in riferimento alle assenze ingiustificate dei genitori ammessi alla detenzione domiciliare speciale, ai cui sensi solo l’assenza protratta oltre le dodici ore integra il reato di cui all’art. 385, comma 1, c.p In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 177/2009 è costituzionalmente illegittimo l’art. 47-ter, commi 1, lett. a , seconda parte, e l’art. 8, l. n. 354/1975 Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà – perché in contrasto con l’art. 3 Cost. – nella parte in cui non limita la punibilità ai sensi dell’art. 385 c.p. al solo allontanamento che si protragga per più di dodici ore, come stabilito dall’art. 47-sexies, comma 2, l. n. 354/1975, sul presupposto, di cui all’art. 47-quinquies, comma 1 che non sussista un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti.