RASSEGNA DELLA CASSAZIONE CIVILE di Maria Rosaria San Giorgio

di Maria Rosaria San Giorgio PRIMA SEZIONE 8 SETTEMBRE 2011, N. 18481 ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA POLIZIA DI SICUREZZA LIMITAZIONI DI POLIZIA STRANIERI. Ordine coattivo di allontanamento Inottemperanza Provvedimento di espulsione Direttiva 2008/115/CE Applicabilità immediata Conseguenze Illegittimità dell'espulsione. In tema di espulsione dello straniero, il divieto di adottare ordini di allontanamento, in via automatica e immediata, correlati alla sola presenza di una misura espulsiva, contenuto nella Direttiva 2008/115/CE cd. Direttiva rimpatri , così come interpretata dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 28 aprile 2001, caso El Dridi C-61/11 , determina l'illegittimità, e la conseguente disapplicazione da parte del giudice nazionale, del meccanismo di intimazione immediata con brevissimo termine per l'esecuzione spontanea, la cui effettività è affidata alla sola sanzione penale detentiva, previsto dall' art. 14, comma 5-bis, del d.lgs 286/1998 come modificato, da ultimo, dall'art. 1, comma 2.lett. M , della legge 94/2009 . Ne consegue che, in applicazione delle previsioni immediate e puntuali della citata Direttiva, e coerentemente con le modifiche introdotte dal D.L. 89/2011, l'espulsione, disposta ai sensi dell'art. 14, comma 5 ter, del d.lgs 286/1998, che tragga la sua esclusiva ragione legittimante dall'inottemperanza ad un ordine di allontanamento impartito ai sensi dell' art. 14,comma 5-bis, del d.lgs 286/1998 deve essere dichiarata illegittima, anche se l'intimazione sia stata emanata anteriormente all'entrata in vigore della direttiva medesima. Con ord. 1518/08 la I sez. civile della Cassazione aveva, invece, affermato che, in sede di opposizione al decreto di espulsione dello straniero, a seguito di inottemperanza all'ordine di allontanamento emesso dal Questore, non possono accertarsi i vizi di tale ordine, ma solo l'esistenza di una legittima intimazione o l'inesistenza di giustificati motivi per l'inottemperanza. Nella specie la Corte aveva dichiarato manifestamente infondato il ricorso per cassazione con il quale si lamentava l'omessa valutazione da parte del giudice di pace della spettanza di un permesso di soggiorno . Secondo Cass. ord. 18555/08, il decreto di espulsione dello straniero adottato dal magistrato di sorveglianza a titolo di misura di sicurezza, ai sensi dell'art. 15 del d.lgs. 286/1998, nel testo novellato dall'art. 14 della legge 189/2002, può essere eseguito dal questore sia a mezzo di accompagnamento coattivo alla frontiera, sia, nel caso in cui non sia possibile l'esecuzione coattiva, ricorrendo all'intimazione di allontanamento prevista dall'art. 14, comma 5 bis, del citato decreto in tale ultima ipotesi, nei confronti dello straniero che violi tale intimazione esponendosi, peraltro, alle responsabilità penali previste dal comma 5 ter del citato articolo , il prefetto può emettere un nuovo decreto di espulsione, ai sensi di tale ultima disposizione, che può essere sindacato dal giudice di merito solamente per motivi inerenti la preesistenza ed effettività del correlato decreto di espulsione, fatte salve, ovviamente, eventuali sopravvenute ragioni di divieto dell'espulsione stessa. SECONDA SEZIONE 14 LUGLIO 2011, N. 15501 IMPUGNAZIONI CIVILI APPELLO DOMANDE NON RIPROPOSTE DECADENZA . Disciplina ex art. 346 c.p.c. Inapplicabilità alle eccezioni rilevabili d'ufficio Limiti. Il principio secondo cui l'art. 346 c.p.c. decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte in appello non si applica con riferimento alle questioni rilevabili d'ufficio deve coordinarsi con il sistema delle preclusioni e con l'art. 342 c.p.c. circa la specificità dei motivi d'impugnazione , in virtù dei quali la libera iniziativa del giudice con riguardo alle questioni rilevabili d'ufficio trova un limite nel caso in cui una di tali questioni sia stata espressamente decisa nel precedente grado di giudizio ed il relativo punto non abbia formato oggetto di impugnazione ovvero, nel caso di parte praticamente vittoriosa, non sia stato comunque riproposto al giudice di appello. V., in senso conforme, Cass. 4009/01. Cass. 14673/09 specifica che la disposizione dell'art. 346 c.p.c., secondo cui le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado si intendono rinunciate se non espressamente riproposte in appello, è dettata per la parte vittoriosa, la quale, non onerata dall'impugnazione per difetto di interesse, deve tuttavia riproporre specificamente nell'atto di costituzione in secondo grado, oltreché le domande, le questioni non accolte dal primo grado, tra cui i fatti che per il loro rilievo giuridico siano serviti a contrastare l'altrui pretesa, come quelli giustificativi del licenziamento impugnato dal lavoratore. SECONDA SEZIONE 14 LUGLIO 2011, N. 15501 DIVISIONE DIVISIONE EREDITARIA FATTA DEL TESTATORE NORME PER LA FORMAZIONE DELLE PORZIONI. Cosiddetta divisione regolata Nozione Ripartizione in quote del patrimonio immobiliare mediante individuazione dei beni Cosiddetta divisio inter liberos Configurabilità Effetti Erede escluso dall'assegnazione del cespite Carenza di legittimazione passiva per estraneità all'oggetto del giudizio. SANZIONI AMMINISTRATIVE APPLICAZIONE OPPOSIZIONE PROCEDIMENTO IN GENERE. Tempestività del ricorso Mancato deposito del provvedimento opposto insieme al ricorso Conseguenze Dichiarazione di inammissibilità del ricorso con ordinanza in limine litis Legittimità Esclusione. Quando il testatore provvede alla ripartizione in quote tra gli eredi del suo patrimonio immobiliare, individuando i beni destinati a far parte di ciascuna di esse, non si configura l'ipotesi della cosiddetta divisione regolata art. 733 c.c. , che ricorre se il de cuius si limita a dettare norme per la formazione delle porzioni nello scioglimento della comunione ereditaria, in previsione del sorgere di tale status per effetto dell'apertura della successione, bensì si verte in tema di cosiddetta divisio inter liberos art. 734 c.c. , ossia di divisione fatta dal testatore attraverso la specificazione dei beni destinati a far parte di ciascuna quota, che, avendo effetto attributivo diretto dei beni al momento dell'apertura della successione, impedisce il sorgere della comunione ereditaria ed il conseguente compimento di operazioni divisionali. Ne consegue che l'erede escluso dall'assegnazione del cespite cui si riferisce la controversia nel corso della quale si è verificato il decesso del dante causa è carente di legittimazione passiva per estraneità all'oggetto del giudizio. Nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione di pagamento di sanzioni amministrative, la mancata produzione, insieme al ricorso, del provvedimento opposto determina un'impossibilità di verificare la tempestività dell'impugnativa soltanto provvisoria, comunque superabile attraverso la produzione dell'atto nel corso del giudizio e, pertanto, non giustifica l'adozione, in limine litis, dell'ordinanza di inammissibilità del ricorso, di cui all'art. 23, comma primo, della legge 689/1981, la quale presuppone l'esistenza di una prova certa della tardività dell'opposizione. Nel senso che l'ipotesi della cosiddetta divisione regolata art. 733 c.c. ricorre se il de cuius si limita a dettare norme per la formazione delle porzioni nello scioglimento della comunione ereditaria, in previsione del sorgere di tale status per effetto dell'apertura della successione, v. Cass. 6110/81. La decisione si uniforma a Cass. S.U. 1006/02, la quale seguita da Cass. 1279/07 ha affermato che in tema di opposizione all'ordinanza/ingiunzione di pagamento di sanzioni amministrative, la mancata allegazione della relata di notifica del provvedimento opposto non costituisce, di per sè, prova della non tempestività dell'opposizione, tale da giustificare, per effetto, una dichiarazione di inammissibilità del ricorso con ordinanza pronunciata in limine litis , ai sensi dell'art. 23, comma primo, della legge 689/1981, perché tale provvedimento postula, pur sempre, l'esistenza di una prova certa ed inconfutabile della intempestività della detta opposizione, e non una mera difficoltà di accertamento delle tempestività con la conseguenza che, soltanto ove in prosieguo di giudizio, a causa della mancata acquisizione della copia dell'ordinanza notificata, permanga e diventi definitiva l'impossibilità di controllo anche di ufficio della tempestività dell'opposizione, il ricorso andrà dichiarato, con sentenza, inammissibile. SECONDA SEZIONE 12 LUGLIO 2011, N. 15309 COMUNIONE DEI DIRITTI REALI CONDOMINIO NEGLI EDIFICI CONTRIBUTI E SPESE CONDOMINIALI IN GENERE. Vendita di unità immobiliare Obbligo relativo alle spese di straordinaria manutenzione per riparare un danno Insorgenza Titolarità passiva Soggetto rivestente la qualità di condomino al momento dell'accertamento dell'emergenza conservativa o emendativa di danni a terzi. In caso di alienazione di un immobile di proprietà esclusiva in condominio, nel quale siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione per riparare un danno già cagionato ad un singolo condomino, eseguiti successivamente alla compravendita, al fine dell'identificazione del soggetto obbligato alla contribuzione alle spese condominiali, deve considerarsi che l'accertamento stesso dell'emergenza conservativa o emendativa di danni a terzi, compiuto dal condominio, determina l'insorgenza dell'obbligo conservativo in capo a tutti i condomini, e pone l'eventuale successiva approvazione delle relative spese in una prospettiva meramente esecutiva ed esterna rispetto alla già compiuta individuazione della persona dell'obbligato. Cass. 24654/10 aveva già affermato che nella ipotesi in esame, qualora venditore e compratore non si siano diversamente accordati in ordine alla ripartizione delle relative spese, è tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell'immobile al momento della delibera assembleare che abbia disposto l'esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione, con la conseguenza che, ove le spese in questione siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione del contratto di vendita, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che le opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente, e l'acquirente ha diritto di rivalersi, nei confronti del medesimo, di quanto pagato al condominio per tali spese, in forza del principio di solidarietà passiva di cui all'art. 63 disp. att. cod. civ. ciò in quanto, come sottolineato già da Cass. 15288/05, l'obbligo dei condomini di contribuire al pagamento delle spese condominiali sorge per effetto della delibera dell'assemblea che approva le spese stesse e non a seguito della successiva delibera di ripartizione, volta soltanto a rendere liquido un debito preesistente, e che può anche mancare ove esistano tabelle millesimali, per cui l'individuazione delle somme concretamente dovute dai singoli condomini sia il frutto di una semplice operazione matematica. In precedenza, anche Cass. 12013/04 aveva affermato che, in tema di spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni, poiché l'obbligo di ciascun condomino di contribuirvi insorge nel momento in cui si rende necessario provvedere ai lavori che giustificano la spesa, e non quando il debito viene determinato in concreto, qualora sia pronunciata sentenza di condanna nei confronti del condominio per inosservanza dell'obbligo di conservazione delle cose comuni, il condomino creditore che intenda agire in executivis contro il singolo partecipante per il recupero del proprio credito accertato dalla sentenza, deve rivolgere la propria pretesa, sia per il credito principale, che per quello, accessorio, relativo alle spese processuali, contro chi rivestiva la qualità di condomino al momento in cui l'obbligo di conservazione è insorto, e non contro colui che tale qualità riveste nel momento in cui il debito viene giudizialmente determinato. SECONDA SEZIONE 12 LUGLIO 2011, N. 15308 COMUNIONE DEI DIRITTI REALI CONDOMINIO NEGLI EDIFICI INNOVAZIONI SU PARTI COMUNI DELL'EDIFICIO IN GENERE. Innovazione vietata Inservibilità del bene all'uso o al godimento Estremi Inutilizzabilità secondo la naturale fruibilità Rilevanza di specificità Presupposti. Nell'identificazione del limite all'immutazione della cosa comune, disciplinato dall'art. 1120, comma secondo, c.c., il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione coessenziale al concetto di innovazione ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità si può tener conto di specificità che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo. La fattispecie riguardava la installazione di un impianto di ascensore, recante pregiudizio alla fruibilità di un pianerottolo e di un appartamento. Cass. 20902/10 ha ritenuto legittima la delibera dell'assemblea di condominio che, con la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, quinto comma, c.c., richiamato dall'art. 1120 c.c., deliberi l'installazione di un ascensore nel vano scala condominiale a cura e spese di alcuni condomini soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri condomini di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi di tale innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dell'impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera, ed ove risulti che dalla stessa non derivi, sotto il profilo del minor godimento delle cose comuni, alcun pregiudizio a ciascun condomino ai sensi dell'art. 1120, secondo comma, c.c., non dovendo necessariamente derivare dall'innovazione un vantaggio compensativo per il condomino dissenziente. La condizione di inservibilità del bene comune all'uso o al godimento anche di un solo condomino, che, ai sensi dell'art. 1120, comma secondo, c.c., rende illegittima e quindi vietata l'innovazione deliberata dagli altri condomini, è riscontrabile anche nel caso in cui l'innovazione produca una sensibile menomazione dell'utilità che il condomino precedentemente ricavava dal bene Cass. 20639/05 nella specie, in applicazione di tale principio, è stato ritenuta illegittima la delibera condominiale che, nel restringere il vialetto di accesso ai garages, rendeva disagevole il transito delle autovetture . In precedenza, Cass. 10445/98 aveva ritenuto che l'installazione utile a tutti i condomini tranne uno di un'autoclave nel cortile condominiale, con minima occupazione di una parte di detto cortile, non può ritenersi innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120, secondo comma, c.c. prevedente il divieto di innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino , atteso che il concetto di inservibilità espresso nel citato articolo va interpretato come sensibile menomazione dell'utilità che il condomino ritraeva secondo l'originaria costituzione della comunione, con la conseguenza che pertanto devono ritenersi consentite quelle innovazioni che, recando utilità a tutti i condomini tranne uno, comportino per quest'ultimo un pregiudizio limitato e che non sia tale da superare i limiti della tollerabilità. SECONDA SEZIONE 12 LUGLIO 2011, N. 15301 OBBLIGAZIONI IN GENERE OBBLIGAZIONI NATURALI. Trasmissibilità per effetto di successione mortis causa Esclusione Obbligazione naturale dell'erede Ammissibilità Eventuale promessa di pagamento Irrilevanza. L'obbligazione naturale non è trasmissibile per via di successione mortis causa, perchè, non avendo giuridicità prima e fuori dell'adempimento, non ha carattere patrimoniale nè fa parte del coacervo di diritti ed obblighi nei quali subentra l'erede, senza che possa rilevare in contrario un'eventuale promessa di pagamento, non essendo quest'ultima comunque idonea a trasformare un'obbligazione naturale in un debito giuridicamente vincolante. Cass. 7064/86, nell'affermare il medesimo principio della intrasmissibilità mortis causa della obbligazione naturale, aveva osservato che l'erede può tuttavia assolvere, alla stregua dei principi etici e sociali, in via originaria ad una sua propria obbligazione naturale, sorta di riflesso, in dipendenza di quella del de cuius e del rapporto di successione. SECONDA SEZIONE 12 LUGLIO 2011, N. 15300 PROVA CIVILE ONERE DELLA PROVA IN GENERE. Valutazione delle prove da parte del giudice d'appello Utilizzazione di elementi di prova non presi in considerazione dal giudice di primo grado Necessità di specifica deduzione Esclusione Principio di acquisizione processuale Operatività. Il giudice di appello, pur in mancanza di specifiche deduzioni sul punto, deve valutare tutti gli elementi di prova acquisiti, quand'anche non presi in considerazione dal giudice di primo grado, poichè in materia di prova vige il principio di acquisizione processuale, secondo il quale le risultanze istruttorie comunque ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice. Il principio dell'onere della prova chiarisce Cass. 9592/98 non implica affatto che la dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto preteso debba ricavarsi esclusivamente dalle prove offerte da colui che è gravato dal relativo onere, senza poter utilizzare altri elementi probatori acquisiti al processo, poiché nel vigente ordinamento processuale trova applicazione il principio di acquisizione, secondo il quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell'altro e, quindi, senza che possa escludersi l'utilizzazione di una prova fornita da una parte per trarne elementi favorevoli alla controparte. In senso conforme alla decisione in rassegna v. Cass. 13430/08 e 9917/08. SECONDA SEZIONE 11 LUGLIO 2011, N. 15206 LAVORO LAVORO AUTONOMO CONTRATTO D'OPERA PROFESSIONI INTELLETTUALI COMPENSO ONORARIO IN GENERE. Contratto d'opera Determinazione del compenso Pattuizione tra le parti Validità Persistenza anche nel caso di recesso del cliente Legge 143/1949 Applicabilità Esclusione. Nel contratto di prestazione d'opera intellettuale nella specie, tra architetti ed una società privata , quando esista una valida intesa fra le parti per determinare convenzionalmente il compenso, la pattuizione resta valida anche nel caso di recesso del cliente con l'unica conseguenza della riduzione del corrispettivo pattuito per l'intera opera, in proporzione della parte realizzata, senza che possano applicarsi le disposizioni dell'art. 10 della l. 143/1949 circa la maggiorazione del compenso, operando le stesse solo in mancanza di determinazione pattizia. V., in tal senso, già Cass. 2342/81. SECONDA SEZIONE 11 LUGLIO 2011, N. 15180 SOCIETÀ FUSIONE EFFETTI. Fusione per incorporazione Art. 2504-ter c.c.previgente Notificazione dell'impugnazione alla società incorporata Nullità Costituzione dell'incorporante Sanatoria Limiti. La fusione per incorporazione costituita ai sensi dell'art. 2504-ter c.c., nel testo vigente anteriormente alla modifica introdotta con il d.lgs 6/2003, determina l'estinzione automatica della società incorporata, con la conseguenza che l'impugnazione della sentenza di primo grado proposta nei confronti di tale società è affetta da nullità sanabile mediante la costituzione in giudizio del successore a titolo universale. L'effetto sanante, tuttavia, non può verificarsi nell'ipotesi in cui la costituzione in giudizio dell'incorporante sia intervenuta dopo il decorso del termine lungo per impugnare, essendosi già formato il giudicato sulla sentenza impugnata. V., in senso conforme, Cass.14066/08. Sulle ragioni della estinzione della società incorporata quale effetto della fusione per incorporazione, che si sia verificata prima dell'entrata in vigore del novellato art. 2504 bis c.c., v. Cass. S.U. 19509/10, che chiarisce che la nuova disciplina normativa della fusione, introdotta del d.lgs. 6/ 2003, non ha carattere interpretativo ed efficacia retroattiva, ma esclusivamente carattere innovativo.