RASSEGNA DELLE SEZIONI UNITE CIVILI DELLA CASSAZIONE di Francesco Antonio Genovese

di Francesco Antonio Genovese SEZIONI UNITE 9 MAGGIO 2011, N. 10070 AVVOCATO E PROCURATORE - GIUDIZI DISCIPLINARI - IN GENERE. Denuncia da parte di altro avvocato - Giudizio disciplinare conseguente - Archiviazione da parte del Consiglio dell'Ordine - Impugnazione avanti al Consiglio Nazionale Forense - Legittimazione del denunciante - Insussistenza - Fondamento - Fattispecie. In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati e procuratori, l'art. 50 del r.d.l. 1578/1933 indica, come soggetti legittimati ad impugnare con ricorso davanti al Consiglio nazionale forense - introduttivo di una fase giurisdizionale - le decisioni in materia dei Consigli dell'ordine locale nella specie una delibera di archiviazione , l'interessato - con ciò chiaramente facendo riferimento al solo professionista sottoposto a procedimento disciplinare - ed il P.M. presso la Corte d'appello ne consegue che anche l'eventuale avvocato denunciante, il quale assuma di essere stato leso da un comportamento poco corretto tenuto nei suoi confronti dall'avvocato denunciato, non è legittimato al predetto ricorso, perché privo della qualità di parte nel procedimento disciplinare, ferma restando la facoltà di rivolgersi al giudice civile o penale per far valere i propri interessi. Nell'affermare detto principio, confermando il provvedimento impugnato, ma correggendone la motivazione, le S.U. hanno rilevato che il Consiglio Nazionale Forense avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso davanti ad esso promosso dall'avvocato denunciante, per difetto di legittimazione all'impugnazione, trattandosi di questione rilevabile d'ufficio in via pregiudiziale, anche in sede di legittimità . In senso conforme, Sez. U, Ordinanza 16874/2007 l'art. 50 del r.d.l. 1578/1933 indica, come soggetti legittimati ad impugnare con ricorso davanti al Consiglio nazionale forense - introduttivo di una fase giurisdizionale - le decisioni in materia disciplinare dei Consigli dell'ordine locale, l'interessato - con ciò chiaramente facendo riferimento al professionista sottoposto a procedimento disciplinare - e il P.M. presso la Corte d'appello. Ne consegue che l'eventuale denunciante, cui non è riconosciuta la qualità di parte, non è legittimato al ricorso, ferma restando la facoltà di rivolgersi al giudice civile o penale per far valere i propri interessi. SEZIONI UNITE 5 MAGGIO 2011, N. 9840 GIURISDIZIONE CIVILE - GIURISDIZIONE ORDINARIA E AMMINISTRATIVA - GIURISDIZIONE IN MATERIA TRIBUTARIA. Richiesta di pagamento del contributo unificato per atti giudiziari - Impugnazione - Giurisdizione del giudice tributario - Configurabilità - Ragioni. Il ricorso avverso una cartella esattoriale con cui l'Amministrazione chiede il pagamento del contributo unificato per atti giudiziari va presentato al giudice tributario, avendo tale contributo natura di entrata tributaria. In senso conforme, Sez. U, Sentenza 3008/2008 ai sensi dell'art. 12, comma 2, della legge 448/2001, i ricorsi avverso gli atti con cui l'Amministrazione chiede il pagamento delle spese di giustizia anticipate dall'erario non rientrano nella giurisdizione del giudice tributario ma in quella del giudice ordinario. Nella specie si trattava di una cartella esattoriale in cui la richiesta dell'Amministrazione, enunciata con le contraddittorie indicazioni tasse e imposte dirette , discendeva dall'esecuzione di una sentenza penale e riguardava il recupero delle spese di giustizia anticipate dallo Stato . SEZIONI UNITE 5 MAGGIO 2011, N. 9839 ARBITRATO - PROCEDIMENTO ARBITRALE - NORME APPLICABILI. Arbitrato - Natura privatistica - Sussistenza - Estraneità alla giurisdizione - Conseguenze - Disciplina della procura ad litem prevista dal codice di rito civile - Estensione automatica al procedimento arbitrale - Esclusione - Introduzione del giudizio arbitrale tramite lettera raccomandata - Validità - Condizioni - Fattispecie. In considerazione della natura privatistica dell'arbitrato - che rinviene il suo fondamento nel potere delle parti di disporre liberamente dei propri diritti e che, perciò, non è riconducibile alla giurisdizione - deve ritenersi che la disciplina della procura ad litem contenuta nel codice di rito civile non sia estensibile automaticamente al procedimento arbitrale, salvo diversa volontà delle parti espressamente manifestata nell'atto di conferimento del potere agli arbitri ne consegue che, ove manchi tale esplicito richiamo, l'atto introduttivo del giudizio arbitrale può essere effettuato, in conformità a quanto previsto nell'apposita clausola compromissoria, anche tramite lettera raccomandata proveniente dall'avvocato di una delle parti sfornito di procura alle liti. Principio enunciato in riferimento ad una fattispecie regolata, ratione temporis , dalla legge 25/1994, di riforma dell'arbitrato, prima che sulla materia intervenisse la successiva riforma di cui agli artt. 20-25 del d.lgs. 40/2006 . Si vedano I Sez. 1, Sentenza 2472/2003 in tema di giudizio arbitrale, l'atto introduttivo del relativo procedimento può ritenersi soggetto alle disposizioni di cui all'art. 163 c.p.c. - dettate in tema di citazione dinanzi al giudice ordinario - soltanto nell'ipotesi in cui le parti o gli arbitri abbiano disposto che il procedimento stesso si svolga secondo la disciplina del processo ordinario, sicché, in mancanza di regole procedimentali stabilite dalle parti o dagli arbitri a pena di nullità, può denunciarsi l'invalidità del lodo soltanto se la formulazione dei quesiti, oggetto di giudizio, sia stata effettuata senza rispettare il principio del contraddittorio. II Sez. 1, Sentenza 2201/2007 quando le regole del giudizio arbitrale sono fissate convenzionalmente con richiamo delle norme sul processo ordinario, appare corretto affermare la nullità del lodo per qualsiasi inosservanza delle disposizioni che, con idonee prescrizioni procedurali, assicurano la tempestiva informazione e la possibilità di difesa attiva di tutti i soggetti coinvolti nella lite, come, in particolare, nel caso in cui la formulazione dei quesiti, oggetto di giudizio, sia stata effettuata senza rispettare le norme del codice di rito sul processo di cognizione disciplinanti l'introduzione della causa art. 163 c.p.c. e ss. e tendenzialmente finalizzate a garantire il contraddittorio tra le parti. È indubbio, tuttavia, che, laddove tali regole non siano adattabili al procedimento arbitrale, debba farsi riferimento alle modalità di tutela del diritto di difesa da esse delineate. Quindi, se non può invocarsi nel giudizio arbitrale il disposto di cui all'art. 163 bis c.p.c., trattandosi di norma inapplicabile a tale processo, le cui modalità di attivazione divergono da quelle stabilite per l'introduzione della causa nel giudizio ordinario, viene comunque in rilievo l'esigenza espressa dalla norma in questione e riconducibile al principio del contraddittorio, nel senso che chi è chiamato a confrontarsi in un giudizio deve poter conoscere per tempo le pretese azionate nei suoi confronti ed essere così messo nella condizione di plasmare conseguentemente il proprio atto introduttivo. Peraltro, detta esigenza, riferita al processo arbitrale, non può considerarsi automaticamente e irrimediabilmente insoddisfatta ove non sia assicurato un adeguato sfalsamento temporale tra la formulazione dei quesiti di chi ha promosso il giudizio e la formulazione dei quesiti di chi vi è stato chiamato anche nel procedimento arbitrale, come in quello ordinario, deve aversi riguardo al modo in cui le parti hanno potuto confrontarsi in giudizio in relazione alle pretese ivi esplicate, giacché il vizio di violazione del contraddittorio non ha un rilievo meramente formale, ma consegue alla concreta menomazione del diritto di difesa. Nella specie, enunciando siffatto principio, la S.C. ha in parte qua ritenuto corretta la sentenza della corte di appello, che aveva escluso la violazione del contraddittorio, nonostante nell'atto di accesso al giudizio arbitrale mancasse la specificazione dei quesiti e per la relativa formulazione fosse stato concesso un unico termine alle parti, essendo emerso che il collegio arbitrale aveva concesso alle parti altro termine per produrre ulteriori documenti e depositare memorie con eventuale integrazione dei quesiti e delle richieste istruttorie, cosicché la parte convenuta era stata concretamente messa nella condizione di conoscere tempestivamente le domande formulate dall'avversario, di esporre le proprie ragioni e di proporre eccezioni e istanze, ovverosia di esercitare su un piano di uguaglianza le prerogative processuali . III Sez. 1, Sentenza 5274/2007 il procedimento arbitrale è ispirato alla libertà delle forme, con la conseguenza che gli arbitri non sono tenuti all'osservanza delle norme del codice di procedura civile relative al giudizio ordinario di cognizione, a meno che le parti non vi abbiano fatto esplicito richiamo, nel conferimento dell'incarico arbitrale. In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che il deposito di documenti ad opera di una delle parti in sede di memoria illustrativa avesse comportato una violazione del contraddittorio, in quanto alla controparte era stato consentito di prenderne visione e di svolgere al riguardo opportune difese . IV Sez. 1, Sentenza 24866/2008 è manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale dell'art. 1 della legge 742/1969, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., per la mancata estensione della sospensione dei termini processuali nel periodo feriale al termine per la pronuncia del lodo, previsto dall'art. 820 c.p.c., sia perché, essendo l'arbitrato espressione dell'autonomia privata delle parti e della scelta di rinunciare alla giurisdizione, non si tratta di un termine giudiziario, per cui va esclusa la violazione del principio di eguaglianza rispetto a quelli per i quali opera la sospensione, sia per la ragionevolezza intrinseca dell'esclusione, giustificata dalle esigenze di celerità dell'arbitrato, fondanti la decisione di risolvere la controversia attraverso tale mezzo alternativo alla giurisdizione, sia perché la scelta è effettuata concordemente tra le parti, per cui è escluso che una di esse possa incontrare nell'esercizio del diritto di difesa ingiustificate difficoltà conseguenti alla decisione dell'altra di esercitare l'azione in prossimità della sospensione dei termini, sia, infine, per il carattere suppletivo e derogabile del termine fissato dall'art. 820 c.p.c., che consente alle stesse parti di ponderare nella sua identificazione e di fissarne uno più lungo, qualora ritengano di prevedere una stasi del procedimento nel periodo feriale. V Sez. 2, Sentenza 21585/2009 posto che sia l'arbitrato rituale che quello irrituale hanno natura privata, la differenza tra l'uno e l'altro tipo di arbitrato non può imperniarsi sul rilievo che con il primo le parti abbiano demandato agli arbitri una funzione sostitutiva di quella del giudice, ma va ravvisata nel fatto che, nell'arbitrato rituale, le parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all'art. 825 c.p.c., con l'osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre nell'arbitrato irrituale esse intendono affidare all'arbitro o agli arbitri la soluzione di controversie insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà. Nella specie, la Corte ha qualificato rituale l'arbitrato in un caso in cui, pur in presenza della previsione del necessario accordo delle parti per ricorrervi, il tenore della clausola compromissoria non lasciava dubbi sulla necessità del dissenso o della impossibilità di una delle parti perché si potesse derogare alla clausola medesima . SEZIONI UNITE 21 APRILE 2011, N. 9130 PROCEDIMENTO CIVILE - RIASSUNZIONE, IN GENERE. Translatio iudicii - Regime anteriore a quello di cui all'art. 59 della legge 69/2009 - Atto di prosecuzione del giudizio - Contenuto - Giudizio di tipo impugnatorio e di tipo cognitivo - Riproposizione della domanda e atto di riassunzione - Diversità - Fondamento - Fattispecie. Anche nel regime della translatio iudicii antecedente l'entrata in vigore dell'art. 59 della legge 69/2009, qualora un giudice abbia declinato la propria giurisdizione, l'atto che determina la prosecuzione del giudizio va diversamente regolato a seconda che debba essere proposto davanti ad un giudice la cui giurisdizione abbia o meno le medesime caratteristiche della prima. Pertanto, ove si passi da un giudizio di tipo prevalentemente impugnatorio ad un giudizio esclusivamente di cognizione sul rapporto, o viceversa, l'atto di prosecuzione deve avere la forma di una riproposizione della domanda, stante il necessario adattamento del petitum qualora, invece, il giudizio prosegua verso un giudizio con le medesime caratteristiche, l'atto di prosecuzione assume la forma di un atto di riassunzione, regolato dall'art. 125 bis disp. att. del codice di procedura civile. Nella specie, le S.U. hanno cassato la sentenza del Tribunale superiore delle acque pubbliche che - adito come giudice di legittimità, in riassunzione, dopo una pronuncia declinatoria della giurisdizione da parte del TAR - aveva dichiarato l'inammissibilità del ricorso per nullità dell'atto di riassunzione conseguente ad insufficiente descrizione del fatto . In precedenza a Sez. U, Sentenza 4109/2007 sia nel caso di ricorso ordinario ex art. 360, comma primo, n. 1 , c.p.c. - previsto per il solo giudizio ordinario e poi esteso ai sensi dell'art. 111 Cost. a tutte le decisioni, assumendo la veste di ricorso per contestare innanzi alle Sezioni unite la giurisdizione del giudice che ha emesso la sentenza impugnata - sia nel caso di regolamento preventivo di giurisdizione proponibile dinanzi al giudice ordinario, ma anche innanzi al giudice amministrativo, contabile o tributario, opera la translatio iudicii , così consentendosi al processo, iniziato erroneamente davanti ad un giudice che non ha la giurisdizione indicata, di poter continuare davanti al giudice effettivamente dotato di giurisdizione, onde dar luogo ad una pronuncia di merito che conclude la controversia, comunque iniziata, realizzando in modo più sollecito ed efficiente il servizio giustizia, costituzionalmente rilevante. Il principio della translatio iudicii è estensibile anche alle pronunce declinatorie della giurisdizione emesse dai giudici di merito senza che si configuri una violazione dei parametri costituzionale di cui agli artt. 3, 24 e 111 Cost. in relazione all'attuale, impeditiva disciplina processuale, dal momento che, in virtù di una interpretazione adeguatrice del sistema processuale, ancorché la pronuncia del giudice di merito dichiarativo del difetto di giurisdizione, a differenza di quella delle Sezioni unite della Corte di cassazione, non imponga, al giudice del quale è stata affermata la giurisdizione, di conformarvisi, alle parti è dato, per la soluzione dell'eventuale conflitto negativo di giurisdizione, il rimedio del ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 362, comma secondo, Cpc, sicché il meccanismo correttivo della situazione di stallo, consente, di pervenire alla decisione della questione di giurisdizione con effetti vincolanti nei confronti del giudice dichiarato fornito di giurisdizione, innanzi al quale è resa praticabile la translatio iudicii . b Sez. U, Ordinanza 14828/2010 nell'attuale quadro normativo processuale, anche a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 59 della legge 69/2009 contenente la disciplina sulla decisione delle questioni di giurisdizione , si è venuta a realizzare la sostanziale riduzione ad unità del processo dalla fase della domanda a quella della decisione, con la connessa esclusione di ogni rilevanza impeditiva dell'eventuale errore iniziale della parte nella individuazione del giudice provvisto di giurisdizione. Ne consegue che la preclusione del regolamento preventivo di giurisdizione dopo che il giudice di merito abbia emesso una pronuncia declinatoria della propria giurisdizione non può più essere limitata all'ipotesi di proposizione dell'indicato rimedio nell'ambito del giudizio instaurato dinanzi a detto giudice, applicandosi tale preclusione anche nel caso in cui il regolamento venga formulato a seguito della riassunzione del giudizio dinanzi al giudice indicato dal primo come quello fornito di potestas iudicandi , per effetto del giudicato implicito sulla giurisdizione, che si determina in mancanza dell'impugnazione della decisione di difetto di giurisdizione del primo giudice ed in conseguenza della realizzata riassunzione avanti al giudice individuato nella stessa pronuncia. SEZIONI UNITE 18 APRILE 2011, N. 8808 AVVOCATO E PROCURATORE - GIUDIZI DISCIPLINARI - IMPUGNAZIONI. Ricorso del P.G. avverso la decisione del C.N.F. - Deposito, nel termine di legge, del ricorso unitamente alla copia della decisione impugnata e all'atto originale di notificazione a tutti i litisconsorti necessari - Necessità - Omissione - Conseguenze - Inammissibilità - Fondamento. Il ricorso del P.G. presso la Corte d'appello avverso la decisione del Consiglio Nazionale Forense, in materia d'iscrizione agli albi tenuti dai Consigli dell'ordine degli Avvocati, proposto ai sensi dell'art. 56, primo e terzo comma, del r.d.l. 1578/1933, deve essere presentato, a pena d'inammissibilità, unitamente alla copia della decisione impugnata e all'originale della notificazione dell'atto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati, al Consiglio Nazionale Forense e al professionista della cui iscrizione si discute, nei quindici giorni successivi alla notificazione ai sensi del secondo comma dell'art. 66 del r.d.l. 37/1934. Tale onere di deposito a carico del ricorrente ha una natura autonoma rispetto alla successiva previsione di acquisizione officiosa del fascicolo d'ufficio, prevista nel successivo art. 67, essendo palesemente finalizzato alla necessità di accertare la piena osservanza del termine perentorio per la proposizione del ricorso, di cui all'art. 56 del r.d.l. 1578/1933. Si richiamano a Sez. U, Sentenza 18261/2004 in materia di giudizio disciplinare o di iscrizione all'albo degli avvocati, e con riguardo al ricorso per cassazione avverso le decisioni del Consiglio Nazionale Forense, la disciplina disposta dagli artt. 56, terzo comma, del RDl 1578/1933 e 66, primo comma, del r.d.l. 37/1934, che si limitano a fissare il termine perentorio per la notificazione del ricorso stesso ai legittimi contraddittori Consiglio dell'Ordine che ha adottato il provvedimento impugnato e Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione senza nulla stabilire in ordine alla inosservanza di tale termine a seguito della notifica della impugnazione ad uno solo dei detti contraddittori, non comporta deroga alla norma dell'art. 331 c.p.c., con la conseguenza che in tal caso, ove l'impugnazione sia stata tempestivamente notificata ad almeno uno degli indicati contraddittori, va disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti di quello pretermesso. b Sez. U, Sentenza 5410/2011 in relazione all'impugnazione, dinanzi alle Sezioni Unite, di decisione emessa dal Consiglio nazionale forense, il termine di quindici giorni dalla notifica previsto dall'art. 66 del r.d. 37/1934, per il deposito del ricorso presso la cancelleria della Corte di cassazione applicabile, in forza dell'art. 67 del medesimo r.d., in luogo di quello, ordinario, di venti giorni stabilito dall'art. 369 c.p.c. per il deposito in generale del ricorso per cassazione , ha carattere perentorio e la relativa inosservanza determina l'improcedibilità del ricorso medesimo. SEZIONI UNITE 18 APRILE 2011, N. 8806 ORDINAMENTO GIUDIZIARIO - DISCIPLINA DELLA MAGISTRATURA - IN GENERE. Modifica strutturale della norma individuatrice della condotta disciplinarmente rilevante - Valutazione dell'eventuale abolitio criminis - Criteri - Fattispecie. In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, in caso di modifica della norma che individua la condotta disciplinarmente rilevante, per accertare se ricorra una ipotesi di abolitio criminis è sufficiente procedere al confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che tale confronto permette in maniera autonoma di verificare se l'intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di illecito, ovvero, non incidendo sulla struttura dello stesso, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie. Nella specie, la S.C. ha rilevato che l'originaria contestazione ex art. 18 d.lgs. n. 511 del 1946, costituita dalla violazione del dovere di riserbo, correttezza e rispetto per un collega, ricadeva anche nella previsione di cui all'art. 2, primo comma, lett. d del d.lgs. 109/2006 che prevede, quale autonoma e separata ipotesi, quella dei comportamenti gravemente scorretti nei confronti di altri magistrati . Si veda Sez. U, Sentenza 15314/2010 in tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, essendo l'illecito riconducibile al genus degli illeciti amministrativi, non trova applicazione il principio del favor rei , così come sancito dall'art. 2 c.p., in forza del quale, in deroga al principio tempus regit actum , l'eventuale abolitio criminis opera retroattivamente, né tale principio è desumibile dalla norma transitoria contenuta nell'art. 32 bis, secondo comma, del d.lgs. 109/2006, il quale non prevede un sistema di regole omologo all'art. 2 C.p., valido sia per la riforma della fattispecie dell'illecito sia per le modifiche del trattamento sanzionatorio, ma si limita a stabilire, per i fatti commessi anteriormente all'entrata in vigore del d.lgs. 109 cit., l'applicazione delle disposizioni di cui all'art. 18 del d.lgs. 511/1946 se più favorevoli . SEZIONI UNITE 14 APRILE 2011, N. 8487 GIURISDIZIONE CIVILE - GIURISDIZIONE ORDINARIA E AMMINISTRATIVA - DETERMINAZIONE E CRITERI - INTERESSI LEGITTIMI. Codice della privacy - Controversia sul rifiuto opposto dal Garante sulla richiesta di autorizzazione ad esigere un contributo dai richiedenti l'accesso ai dati - Devoluzione alla giurisdizione del giudice ordinario - Sussistenza - Fondamento. La controversia tra il titolare del trattamento di dati personali e l'Autorità Garante per la protezione dei dati personali, concernente la legittimità del rifiuto da quest'ultimo opposto alla richiesta, avanzata dal titolare, di autorizzazione ad esigere un contributo dai richiedenti l'accesso ai dati, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dell'art. 152 del d.lgs. 152/2003. Infatti, posto che la chiara scelta operata dal legislatore tramite l'art. 152 citato non contrasta con l'art. 103 Cost., non essendo vietata l'attribuzione al giudice ordinario della cognizione anche degli interessi legittimi, la materia dell'accesso ai dati personali e dei costi di esercizio di tale diritto presenta una inestricabile interferenza tra i diritti ed interessi legittimi, con la netta prevalenza dei primi sui secondi, là dove, inoltre, il bilanciamento che deve operare l'Autorità Garante è, eminentemente, tra interessi privati quelli degli interessati ai dati trattabili e quelli delle imprese detentrici , mancando, quindi, una vera e propria discrezionalità amministrativa. Mancano precedenti in termini. SEZIONI UNITE 8 APRILE 2011, N. 8038 DELIBAZIONE GIUDIZIO DI - DICHIARAZIONE DI EFFICACIA DI SENTENZE STRANIERE - CONDIZIONI - IN GENERE. Riconoscimento di sentenza straniera - Presupposti - Condizione di reciprocità ex art. 64, lettera a , legge 218/1995 - Portata - Fattispecie. In tema di riconoscimento delle sentenze straniere, emesse in un paese extraeuropeo, l'art. 64 lettera a della legge 218/1995, richiede che il giudice che abbia pronunciato tale sentenza fondi la sua competenza giurisdizionale sugli stessi principi in base ai quali, in casi corrispondenti, il giudice italiano esercita la sua giurisdizione nei confronti dello straniero. Ne consegue che può essere riconosciuta l'efficacia in Italia di una sentenza sull'affidamento di un minore, emessa in Cile, paese di residenza, al momento della domanda, dei due convenuti, genitore e minore , di cui uno con doppia cittadinanza italiana e cilena il minore , essendo unico giudice avente competenza giurisdizionale, ai sensi dell'art. 3 della legge richiamata, quello adito il Tribunale della famiglia di Santiago del Cile , in quanto poteva conoscere della causa secondo i principi della competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano art. 64 lettera a legge 218/1995 . In senso conforme Sez. 1, Sentenza 10378/2004 la formulazione prescelta, in tema di presupposti per il riconoscimento in Italia delle sentenze straniere, dalla lettera a dell'art. 64 della legge 218/95 di riforma del sistema di diritto internazionale privato italiano, allorché riprendendo fra l'altro l'analogo requisito fissato dall'ormai abrogato art. 797 n. 1 c.p.c. - richiede che il giudice straniero che abbia pronunciato la sentenza straniera potesse conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano , non intende designare altro concetto che quello secondo cui tali principi non siano altro che quegli stessi in base ai quali, in casi corrispondenti, il giudice italiano esercita la sua giurisdizione nei confronti dello straniero .