RASSEGNA DELLA CASSAZIONE CIVILE di Maria Rosaria San Giorgio

di Maria Rosaria San Giorgio SEZIONE PRIMA 12 MAGGIO 2011, N. 10486 FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - EFFETTI - SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI AI CREDITORI - AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE - IN GENERE. Revocatoria fallimentare nei confronti di convenuto già dichiarato fallito - Richiesta di revoca di pagamenti e di condanna alla loro restituzione - Ammissibilità - Esclusione - Ragioni - Conseguenze. Non è ammissibile l'azione revocatoria fallimentare, allorché la domanda - volta alla dichiarazione di revoca di pagamenti fatti da una prima società ad una seconda allorché entrambe erano ancora in bonis - sia diretta, oltre che alla relativa dichiarazione di inefficacia, altresì alla pronuncia di condanna alla restituzione della corrispondente somma, non trovando applicazione la regola di cui all'art. 24 legge fallimentare sulla competenza funzionale del tribunale fallimentare , essendo preclusa la stessa proponibilità di un'azione revocatoria, ordinaria o fallimentare, nei confronti di un fallimento stante il principio di cristallizzazione del passivo alla data di apertura del concorso ed il carattere costitutivo della predetta azione, il patrimonio del fallito è infatti insensibile alle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca posteriore alla dichiarazione di fallimento e, dunque, poiché l'effetto giuridico favorevole all'attore in revocatoria si produce solo a seguito della sentenza di accoglimento, tale effetto non può essere invocato contro la massa dei creditori ove l'azione sia stata esperita, come nella specie, dopo l'apertura della procedura stessa. In ipotesi di vittorioso esperimento della revocatoria fallimentare relativa ad un pagamento eseguito dal fallito nel periodo sospetto , l'obbligazione restitutoria dell'accipiens soccombente in revocatoria ha natura di debito di valuta e non di valore, atteso che l'atto posto in essere dal fallito è originariamente lecito e la sua inefficacia sopravviene solo in esito alla sentenza di accoglimento della revocatoria, dovendosi ritenere la natura costitutiva di tale sentenza e perciò qualificare come diritto potestativo e non come diritto di credito la situazione giuridica facente capo al curatore fallimentare che agisce in revocatoria ne consegue che gli interessi sulla somma da restituirsi da parte del soccombente decorrono dalla data della domanda giudiziale e che il risarcimento del maggior danno conseguente al ritardo con cui sia stata restituita la somma di denaro oggetto della revocatoria spetta solo ove l'attore alleghi specificamente tale danno e dimostri di averlo subito Cass. S.U. 437/00 . Cass. 887/06 ha ritenuto che, poiché in ipotesi di esperimento dell'azione revocatoria per i casi di cui al primo comma dell'art. 67 della legge fallimentare, come per quelli di cui al secondo comma dello stesso decreto, l'atto contro il quale viene esperita la revocatoria è originariamente valido ed efficace e solo a seguito dell'accoglimento della revocatoria, in ragione della natura di azione costitutiva di quest'ultima, avente ad oggetto l'esercizio di un diritto potestativo e non di un diritto di credito, diviene privo di effetti nei confronti della massa fallimentare, l'obbligazione restitutoria pecuniaria nascente dalla revocatoria stessa, in dipendenza della natura dell'atto revocato, non ha ad oggetto un debito di valore, ma un debito di valuta. Ne consegue che gli interessi sulla somma da restituire decorrono dalla domanda giudiziale, e il risarcimento del maggior danno conseguente al ritardo con cui sia stata restituita la somma di danaro, oggetto della revocatoria, spetta solo ove l'attore alleghi specificamente tale danno e dimostri di averlo subito. SEZIONE PRIMA 12 MAGGIO 2011, N. 10485 COMPETENZA CIVILE - IN GENERE. Pretese creditorie nei confronti di debitore fallito - Domanda introduttiva - Questioni in ordine all'autorità giurisdizionale - Competenza - Esclusione - Questioni attinenti al rito - Configurabilità - Conseguenze - Domanda proposta nelle forme ordinarie - Pronuncia di improcedibilità da parte del giudice adito - Appello - Ammissibilità - Fondamento. Le questioni concernenti l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale va introdotta una pretesa creditoria nei confronti di un debitore assoggettato a fallimento, anche se impropriamente formulate in termini di competenza, sono, in realtà, attinenti al rito pertanto, proposta una domanda volta a far valere, nelle forme ordinarie, una pretesa creditoria soggetta, invece, al regime del concorso ex artt. 52 e 93 legge fallimentare , il giudice erroneamente adito è tenuto a dichiarare non la propria incompetenza ma l'inammissibilità, l'improcedibilità o l'improponibilità della domanda, siccome proposta secondo un rito diverso da quello previsto come necessario dalla legge, per cui la relativa pronuncia non è assoggettabile a regolamento d'incompetenza. In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato con rinvio la decisione impugnata, con cui la Corte d'Appello aveva dichiarato inammissibile l'appello avverso la dichiarazione di improcedibilità della domanda di revoca e di pretesa di pagamento di una somma di danaro, proposta dalla curatela del fallimento di una società avverso il fallimento di altra società per pagamenti fatti dalla prima alla seconda. I crediti iscritti a ruolo ed azionati da società concessionarie per la riscossione seguono, nel caso di avvenuta dichiarazione di fallimento del debitore, l' iter procedurale prescritto per gli altri crediti dagli articoli 92 e seguenti della legge fallimentare, legittimandosi la domanda di ammissione al passivo, se del caso con riserva ove vi siano contestazioni , sulla base del solo ruolo, senza che occorra la previa notifica della cartella esattoriale al curatore fallimentare. Ove ciò non accada, e sia introdotto un giudizio innanzi a giudice diverso da quello fallimentare, la questione concernente l'autorità giudiziaria dinanzi alla quale va introdotta una pretesa creditoria nei confronti di un debitore assoggettato a fallimento, anche se impropriamente formulata in termini di competenza, essendo in realtà questione attinente al rito, è rilevabile in ogni stato e grado, ed anche oltre i limiti temporali stabiliti con riferimento al rilievo dell'incompetenza Cass. 5063/08 . SEZIONE PRIMA 10 MAGGIO 2011, N. 10187 CAPACITÀ DELLA PERSONA FISICA - CAPACITÀ DI AGIRE - IN GENERE. Amministratore di sostegno - Rimozione e sostituzione da parte del giudice tutelare - Decreto della corte d'appello emesso in sede di reclamo - Ricorso per cassazione ex art. 111 Cost. - Inammissibilità - Fondamento. È inammissibile il ricorso per cassazione, a norma dell'art. 720 bis, ultimo comma, Cpc, avverso i provvedimenti emessi in sede di reclamo in tema di rimozione e sostituzione ad opera del giudice tutelare di un amministratore di sostegno, avendo tali provvedimenti carattere meramente ordinatorio ed amministrativo e dovendo riferirsi tale norma soltanto ai decreti, quali quelli che dispongono l'apertura o la chiusura dell'amministrazione, di contenuto corrispondente alle sentenze pronunciate in materia di interdizione ed inabilitazione, a norma dei precedenti art. 712 e seguenti, espressamente richiamati dal primo comma dell'art. 720 bis. Analogamente, In materia di incapacità legale, Cass. 11019/10 ha stabilito che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto ai sensi dell'art. 111 Cost. contro il decreto con il quale il tribunale provveda in sede di reclamo avverso il provvedimento del giudice tutelare di revoca di un tutore, trattandosi di provvedimento che, adottato nell'ambito di un procedimento di volontaria giurisdizione, è privo del carattere della decisorietà, configurandosi come intervento di tipo ordinatorio ed amministrativo, insuscettibile di passare in cosa giudicata, essendo sempre revocabile e modificabile per la sopravvenienza di nuovi elementi di valutazione. SEZIONE PRIMA 9 MAGGIO 2011, N. 10077 DIVORZIO - OBBLIGHI - VERSO L'ALTRO CONIUGE - ASSEGNO - IN GENERE. Richiesta di revisione dell'assegno - Domanda riconvenzionale di riduzione dello stesso proposta dal coniuge convenuto - Ammissibilità - Sussistenza - Fondamento. Nel procedimento di revisione dell'assegno di divorzio, nella specie oggetto di domanda, proposta ex art. 9, primo comma, della legge 898/1970, ai fini dell'adeguamento del predetto alla rivalutazione monetaria, deve ritenersi altresì ammissibile la domanda riconvenzionale, che sia introdotta dal coniuge convenuto ed ai fini della riduzione dell'assegno stesso, poiché si tratta di pretesa strettamente collegata con quelle oggetto della domanda principale, implicante l'opportunità di un simultaneus processus si tratta invero, pur se nel rito camerale, di un giudizio contenzioso, nel quale il giudice ha il dovere di pronunciarsi sulle domande ritualmente proposte, avendo tra l'altro la possibilità, nell'ambito di una loro trattazione congiunta, di valutare la complessiva situazione determinatasi e così se si siano verificate circostanze tali da giustificare la modifica di una decisione assunta rebus sic stantibus. V., in senso conforme, Cass. 5632/87. Il rito adottato dal legislatore, con l'art. 9 della legge sul divorzio, ai fini della modificazione dell'assegno divorzile, risulta regolato, in via generale, dagli artt. 737 e ss. del Cpc, e, quanto alle forme, in parte risulta disciplinato espressamente da tale normativa, mentre, nella parte non regolata, risulta rimesso nel suo svolgimento - che è attuato con impulso di ufficio - alla disciplina concretamente dettata dal giudice la quale dovrà garantire il rispetto del principio del contraddittorio e di quello del diritto di difesa. Da ciò deriva, quanto al procedimento di primo grado, che in esso non vigano le preclusioni previste per il giudizio di cognizione ordinario, con la conseguenza che in esso 1 potranno essere proposte per tutto il corso di esso domande nuove, anche riconvenzionali, in conformità delle direttive dettate dal giudice nella gestione del processo, senza con ciò peraltro che la loro eventuale mancata proposizione possa impedirne la proposizione in separato giudizio 2 potranno essere ammesse altresì prove nuove, anche in correlazione con i fatti sopravvenuti dedotti nel corso del processo fatti che - peraltro - anche in questo caso il giudice dovrà e potrà prendere in esame se ed ove dedotti e sempre nei limiti delle domande proposte. Più in particolare trattasi di un procedimento svolgentesi nell'interesse delle parti ed anche nel quale - diversamente da quanto accade nel caso in cui si tratti di modifica dell'assegno di mantenimento di figli minori - vige il principio della domanda e della corrispondenza fra il chiesto ed il pronunciato , investendo l' officiosità del procedimento unicamente il profilo dell'impulso al suo svolgimento, ed, in certa misura ai sensi dell'art. 738, comma terzo l'acquisizione di materiale probatorio. Quanto poi al giudizio di secondo grado nascente dal reclamo , fermo che quest'ultimo costituisce un mezzo di impugnazione avente carattere devolutivo e come tale ha per oggetto la revisione della decisione di primo grado nei limiti del devolutum e delle censure formulate ed in correlazione alle domande formulate in quella sede, in esso giudizio, mentre possono essere allegate - stante la libertà di forme proprie del procedimento - fatti nuovi, non possono essere proposte domande nuove, in quanto queste ultime snaturerebbero la natura del reclamo quale mezzo di impugnazione e, come tale, avente la funzione di rimuovere vizi del precedente provvedimento v. Cass. 14022/00 . Cass. 18116/05 ha chiarito poi che il termine di venti giorni prima dell'udienza di comparizione dinanzi al giudice istruttore segna il limite massimo per la proposizione della domanda riconvenzionale di riconoscimento dell'assegno divorzile, senza che ciò escluda la ritualità della richiesta di assegno proposta con la comparsa di risposta dinanzi al presidente del tribunale, in tempo antecedente alla udienza di prima comparizione dinanzi al giudice istruttore di cui all'art. 180 Cpc. SEZIONE PRIMA 6 MAGGIO 2011, N. 1004 PROCEDIMENTO CIVILE - NOTIFICAZIONE - IN GENERE. Consegna all'ufficiale giudiziario dell'atto da notificare - Delega, anche verbale, dal soggetto legittimato ad altra persona - Ammissibilità - Omessa menzione nella relazione di notifica della persona effettuante la consegna o della sua qualità di incaricato del legittimato - Irrilevanza - Validità della notifica - Condizioni - Certezza del riferimento alla parte legittimata - Sufficienza - Fondamento. FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - EFFETTI - SUGLI ATTI PREGIUDIZIEVOLI AI CREDITORI - AZIONE REVOCATORIA FALLIMENTARE - ATTI A TITOLO ONEROSO, PAGAMENTI E GARANZIE - IN GENERE. Fallimento del titolare di conto corrente bancario con scoperto garantito da fideiussione - Accreditamento di somme sul conto, da parte del fideiussore, con riduzione dello scoperto - Mancata prova di debiti del fideiussore verso il fallito - Presunzione di adempimento del proprio debito fideiussorio da parte del fideiussore - Inefficacia dell'accreditamento ex art. 44 legge fallimentare o revocabilità ex art. 67 legge fallimentare - Esclusione - Fondamento. - L'attività di impulso del procedimento notificatorio - consistente essenzialmente nella consegna dell'atto da notificare all'ufficiale giudiziario - può, dal soggetto legittimato, e cioé dalla parte o dal suo procuratore in giudizio, essere delegata ad altra persona, anche verbalmente, e, in tal caso, l'omessa menzione, nella relazione di notifica, della persona che materialmente ha eseguito la attività suddetta, ovvero della sua qualità di incaricato del legittimato, è irrilevante ai fini della validità della notificazione se, alla stregua dell'atto da notificare, risulta egualmente certa la parte ad istanza della quale essa deve ritenersi effettuata tale principio opera per l'atto di citazione, per il ricorso in Cassazione come nella specie e, in genere, per gli atti di parte destinati alla notificazione, la quale deve essere imputata alla parte medesima, con la conseguenza che le omissioni suddette non danno luogo ad inesistenza o nullità della notificazione. - Il principio di autonomia contrattuale consente che il fideiussore di uno scoperto di conto corrente bancario possa estinguere il proprio debito fideiussorio, oltre che in modo diretto ossia mediante versamento alla banca personalmente , altresì in modo indiretto cioé mediante accreditamento della somma sul conto del garantito, perché la banca se ne giovi ne consegue che quando un terzo versi sul conto corrente del debitore, e dopo il fallimento di costui, una somma a riduzione dello scoperto del conto stesso per il quale esso terzo aveva prestato fideiussione, e non risulti la sussistenza di debiti verso il fallito da parte del terzo, deve ritenersi che questi abbia adempiuto il proprio debito fideiussorio, restando pertanto il relativo accreditamento sottratto alla dichiarazione di inefficacia di cui all'art. 44 legge fallimentare ovvero all'azione revocatoria di cui al successivo art. 67 legge fallimentare. - Con riguardo alla questione di cui alla prima massima, v., in senso conforme, Cass. 8991/01, 9213/99, 8557/98. - Il principio di cui alla seconda massima è già stato affermato da Cass. 7695/98. SEZIONE PRIMA 5 MAGGIO 2011, N. 9970 DELIBAZIONE GIUDIZIO DI - ATTI PUBBLICI STRANIERI. Giudice richiesto del riconoscimento - Potere di controllare la competenza del giudice che ha pronunciato il provvedimento - Esclusione secondo la Convenzione di Bruxelles. In tema di delibazione di sentenze straniere, l'art. 28 della Convenzione di Bruxelles vieta al giudice richiesto del riconoscimento di procedere al controllo della competenza del giudice che ha pronunciato il provvedimento del cui riconoscimento si discute, salvo in caso di violazione delle disposizioni contenute nelle sezioni 3, 4 e 5 cioé negli artt. da 7 a 16 della Convenzione stessa. Il principio è stato enunciato in una fattispecie precedente il Reg. CE 44/2001 entrato in vigore il 1 marzo 2002. In base alle regole desumibili dalla legge 218/1995, di riforma del diritto internazionale privato, la competenza giurisdizionale del giudice straniero, che abbia pronunciato la sentenza del cui riconoscimento in Italia si discuta, deve ritenersi sussistente non solo quando nel Paese straniero il convenuto abbia la residenza o il domicilio o vi abbia un rappresentante autorizzato a stare in giudizio art. 64, comma 1, lettera a, in relazione all'art. 3, comma 1, della legge citata , ma anche quando ricorra uno dei criteri di collegamento previsti dagli artt. 3, comma 2, e 4, della medesima legge, e quindi sia nell'ipotesi in cui sussista una deroga convenzionale della giurisdizione a favore del giudice straniero o vi sia stata accettazione espressa o tacita della giurisdizione stessa da parte del convenuto, sia nell'ipotesi in cui la competenza debba essere affermata in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968, resi esecutivi con la legge 804/1971, e succ. modif., quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione, a prescindere, in quest'ultimo caso, dal fatto che la sentenza sia stata emessa dal giudice di uno Stato aderente alla Convenzione di Bruxelles Cass. 13662/04 .