RASSEGNA DELLA CASSAZIONE CIVILE di Maria Rosaria San Giorgio

di Maria Rosaria San Giorgio SEZIONE PRIMA 17 FEBBRAIO 2011, numero 3907 ESPROPRIAZIONE PER PUBBLICO INTERESSE O UTILITÀ - OCCUPAZIONE TEMPORANEA E D'URGENZA - PROTRAZIONE OLTRE IL BIENNIO - IN GENERE. Dichiarazione di pubblica utilità dell'opera pubblica - Irreversibile trasformazione del terreno nel termine previsto - Mancata emissione del decreto di espropriazione - Accessione invertita - Proroga legale del termine di occupazione legittima - Rilevanza - Esclusione. In tema di espropriazione per pubblica utilità, quando la dichiarazione di pubblica utilità contenente i termini per il compimento dei lavori e il completamento della procedura espropriativa riguardi un'opera eseguita entro il termine previsto su un terreno irreversibilmente trasformato, senza che sia stato emesso il decreto di espropriazione, si verifica un'ipotesi di accessione invertita integrante un fatto illecito, non rilevando l'intervenuta proroga per legge del termine di occupazione legittima, che non può legittimare il provvedimento ablativo, essendo l'occupazione temporanea d'urgenza carente di titolo. V., in senso conforme, Cass. 10251/02, 14826/06. La proroga legale del termine dell'occupazione d'urgenza opera nonostante si sia già verificata l'irreversibile trasformazione dell'area occupata, poiché l'acquisto a titolo originario a favore della P.A., dovuto all'occupazione appropriativa, si determina solo alla data di scadenza dell'occupazione legittima, con la conseguenza che, fino a quando tale termine originario o prorogato non sia spirato, il proprietario null'altro può pretendere se non la corresponsione della relativa indennità, ed è sempre possibile l'emanazione del decreto di espropriazione di un'area che continua ad appartenere all'originario proprietario Cass. 556/2010 . SEZIONE PRIMA 17 FEBBRAIO 2011, numero 3905 PROCEDIMENTI SPECIALI - PROCEDIMENTI IN MATERIA DI FAMIGLIA E DI STATO DELLE PERSONE - SEPARAZIONE PERSONALE DEI CONIUGI - COMPARIZIONE PERSONALE DELLE PARTI. Udienza di prima comparizione fissata dinanzi al giudice istruttore designato all'esito della fase presidenziale - Rilevanza ai sensi degli artt. 166, 167 e 180 Cpc - Intervallo temporale inferiore a venti giorni liberi tra il deposito dell'ordinanza presidenziale e la data dell'udienza inferiore - Conseguenze - Decadenza del convenuto - Esclusione - Accettazione del contraddittorio - Sanatoria - Ammissibilità. Nel giudizio di divorzio, per effetto delle modifiche apportate all'art. 4 della legge 898/970 dall'art. 8 della legge 74/1987, l'udienza di prima comparizione rilevante ai sensi degli artt. 166, 167 e 180 Cpc è quella fissata dinanzi al giudice istruttore designato all'esito della fase presidenziale, rispetto alla quale deve essere verificata la regolarità della costituzione del convenuto. Pertanto, il convenuto che si costituisce entro un termine inferiore a quello di venti giorni precedenti l'udienza di comparizione dinanzi al giudice istruttore, se l'intervallo temporale tra la data di deposito dell'ordinanza presidenziale di fissazione di questa udienza e la data dell'udienza stessa sia inferiore al termine suddetto dilatorio, non incorre in decadenza anche ai fini della proposizione di domanda riconvenzionale e, contrariamente alla parte che ha introdotto il giudizio, è legittimato a dolersene ed è facoltizzato ma non tenuto a chiedere al giudice istruttore la fissazione di un termine a difesa che, se richiesto, dev'essergli concesso, non essendogli comunque preclusa la possibilità di rinunciarvi, accettando il contraddittorio e difendendosi nel merito. In tema di separazione tra coniugi, alla natura fin dall'origine contenziosa del procedimento non si accompagna la configurabilità dell'udienza presidenziale di comparizione dei coniugi in termini corrispondenti nel caso di fallimento del tentativo di conciliazione a quelli dell'udienza prevista dall'art. 180 Cpc sicché, a tutti i fini che concernono i termini per la costituzione del coniuge convenuto e la decadenza dello stesso dalla formulazione delle domande riconvenzionali, deve intendersi quale udienza di prima comparizione, rilevante ai sensi del citato art. 180 Cpc e degli artt. 166 e 167 Cpc, esclusivamente quella innanzi al giudice istruttore nominato all'esito della fase presidenziale Cass. 2625/06 . SEZIONE PRIMA 14 FEBBRAIO 2011, numero 3587 CALAMITÀ PUBBLICHE - CALAMITÀ NATURALI - TERREMOTI. Prestazioni di soccorso effettuate da terzi a seguito di delibera comunale - Disposizioni del sindaco nella qualità di ufficiale di governo - Pagamento del corrispettivo - Legittimazione del Comune - Esclusione - Legittimazione del Ministero della protezione civile - Fondamento. In tema di assistenza alle popolazioni colpite da calamità naturali, con riguardo alle prestazioni di soccorso effettuate da terzi a seguito di delibere dell'Amministrazione comunale di affidamento di servizi nella specie, di trasporto presso strutture di accoglienza , da effettuarsi su disposizione del sindaco, ai sensi dell'art. 16 del Dpr 16/1981, la domanda di pagamento del corrispettivo non va proposta nei confronti della stessa Amministrazione, ma del Ministero della protezione civile per cui conto l'obbligazione è assunta, operando il sindaco nella qualità di ufficiale di governo e, quindi, come organo decentrato dell'Amministrazione statale. L'attività svolta dal sindaco non implica automatica responsabilità del Comune per l'adempimento delle conseguenti obbligazioni, atteso che il sindaco stesso cumula in sé la qualità di capo dell'amministrazione comunale e quella di ufficiale di governo, con la conseguenza che, al fine dell'imputazione della suddetta responsabilità, occorre verificare, di volta in volta ed in base alla disciplina normativa di riferimento, l'appartenenza dello specifico interesse pubblico perseguito, risultando riferibile l'attività svolta allo Stato o al Comune, a seconda della titolarità dell'interesse medesimo. Cass. 26691/05 nella specie, enunciando tale principio, la Corte ha confermato la sentenza di merito impugnata che aveva escluso la responsabilità comunale - ritenendo, perciò, il difetto di legittimazione passiva del Comune, avendo il sindaco agito quale organo locale del servizio di protezione civile - ed affermato la sussistenza di quella dello Stato, in persona del Commissario Straordinario di Governo, rispetto alla domanda di pagamento, avanzata da una società appaltatrice, degli interessi da ritardato pagamento di compensi per lavori di demolizione, puntellamento, transennamento di fabbricati, nonché di rimozione di materiale, effettuati, all'indomani ed in conseguenza del sisma del 1980, per incarico del Comune, sulla scorta di contratto stipulato tra la ditta ed il sindaco, nella sua veste di Ufficiale di Governo, nel periodo gennaio-giugno 1981, prima della data di entrata in vigore del Dl 57/1982, convertito nella legge 187/1982 . SEZIONE PRIMA 14 FEBBRAIO 2011, numero 3585 FALLIMENTO ED ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI - FALLIMENTO - CESSAZIONE - CONCORDATO FALLIMENTARE - OMOLOGAZIONE GIUDIZIO DI - IN GENERE. Assenza di opposizioni - Decreto di omologazione ex art. 129, comma 4, legge fallimentare - Non assoggettabilità a gravame - Portata - Reclamabilità avanti alla corte d'appello - Esclusione - Ricorribilità immediata per cassazione - Configurabilità - Ragioni. In tema di concordato fallimentare, mentre contro il decreto di omologazione che abbia altresì deciso sulle opposizioni proposte ex art. 129, comma 3, legge fallimentare, è ammissibile il reclamo avanti alla corte d'appello ex art. 131 legge fallimentare, lo stesso rimedio è precluso se detto decreto sia pronunciato in assenza di opposizioni, ai sensi dell'art. 129, comma 4, legge fallimentare, potendo invece, avverso tale provvedimento, dotato dei caratteri della decisorietà e della definitività perché obbligatorio per tutti i creditori anteriori, compresi quelli che non si sono insinuati al passivo , essere presentato ricorso immediato per cassazione ex art. 111 Cost. trattasi di soluzione che appare imposta da una lettura costituzionalmente orientata della norma ed analoga a quella già seguita in tema di decreto di ammissione alla amministrazione controllata, secondo l'abrogato art. 188 legge fallimentare. Con riguardo al decreto di ammissione alla procedura di amministrazione controllata, Cass. 3099/00 aveva affermato che esso integra un provvedimento di contenuto decisorio, poiché incide sui diritti soggettivi dei creditori, ai quali, dopo la pronuncia del decreto, è impedito l'inizio e la prosecuzione di azioni esecutive, con carattere definitivo, e che, conseguentemente, contro il decreto deve reputarsi ammissibile il ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 secondo comma della Cost. per violazione di legge, dovendosi intendere per tale anche la violazione della legge processuale, costituita dalla mancanza della motivazione art. 132 Cpc , che si verifica sia nei casi di radicale carenza, sia nei casi in cui essa si estrinsechi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi , o fra loro inconciliabili, o obbiettivamente incomprensibili, a condizione che tali deficienze emergano dal provvedimento in sé, restando, viceversa, estranea la verifica sulla sufficienza e razionalità della motivazione in raffronto con le risultanze probatorie. Secondo la Corte, dunque, sarebbe necessario che dalla motivazione del decreto in oggetto emergano l'opinione della capacità dell'impresa di rimanere sul mercato in condizioni di redditività e competitività e di superare lo stato transitorio di crisi grazie alle sue potenzialità strutturali ed operative la situazione economica dell'istante le cause della crisi dell'impresa in atto il programma di risanamento la meritevolezza dell'istanza. SEZIONE PRIMA 14 FEBBRAIO 2011, numero 3573 OBBLIGAZIONI IN GENERE - SOLIDARIETÀ - GIURAMENTO. Deferibilità al debitore fallito o al curatore - Esclusione - Deferibilità al solo fideiussore del debitore fallito. È ammissibile il giuramento decisorio, deferito dal creditore al fideiussore di soggetto fallito, sebbene il giuramento non sia deferibile invece al fallito, che perde la capacità processuale, né al curatore fallimentare, terzo rispetto ai rapporti fra il fallito ed il creditore ed invero, il creditore ha titolo per richiedere l'adempimento per l'intero ad ogni singolo debitore, né sussiste litisconsorzio necessario fra i condebitori solidali, mentre l'art. 1305 cc disciplina le conseguenze, nei confronti degli altri condebitori, del giuramento prestato da uno dei condebitori in solido, ma non postula per il creditore alcun onere di convenire in giudizio tutti i debitori solidali e deferire a tutti il giuramento decisorio. La risalente Cass. 649/69 aveva affermato che, ove il creditore agisca contemporaneamente contro tutti i suoi debitori solidali o contro alcuni di essi, si ha un'ipotesi di litisconsorzio facoltativo e le cause rimangono distinte l'una dall'altra, donde la possibilità che la sentenza che definisce tale processo contenga pronunce contrastanti. Cosi, qualora il creditore abbia deferito, sulla circostanza dell'avvenuta estinzione del credito, giuramento decisorio a tutti i condebitori in solido, il giudice dovrà necessariamente ritenere pienamente provato il fatto rispetto a chi abbia giurato, mentre non potrà non accogliere la domanda nei confronti degli altri litisconsorti che si siano rifiutati di prestare il giuramento. Secondo la successiva Cass. 1699/81, nel caso di litisconsorzio facoltativo, il giuramento suppletorio o decisorio può essere prestato soltanto da alcuni litisconsorti, ma il giudice può da esso dedurre, rispetto a coloro che non l'abbiano prestato, argomenti di prova soltanto in utilibus e non anche in damnosis. L'obbligazione solidale passiva non comporta - sostiene Cass. 5106/98 - sul piano processuale, l'inscindibilità delle cause e non dà luogo a litisconsorzio necessario in quanto, avendo il creditore titolo per rivalersi per l'intero nei confronti di ogni debitore, è sempre possibile la scissione del rapporto processuale, il quale può utilmente svolgersi anche nei confronti di uno solo dei coobbligati. Conseguentemente, nel caso di giudizio di impugnazione proposto da uno solo dei condebitori solidali, la sentenza passa in giudicato nei confronti del condebitore non impugnante. Con riguardo ai soci di società di fatto, Cass. 2375/85 ha affermato che ciascuno di essi, in quanto munito disgiuntamente del potere di rappresentare la società medesima, può essere chiamato a prestare giuramento decisorio o suppletorio, con riguardo a fatti dei quali sia autore o coautore, e con la piena efficacia probatoria di cui all'art. 2738 cc, senza che si renda necessario il contemporaneo ed univoco giuramento degli altri soci indipendentemente dalla circostanza che siano o meno anch'essi presenti in causa . SEZIONE PRIMA 17 FEBBRAIO 2011, numero 3422 FAMIGLIA - MATRIMONIO - SCIOGLIMENTO - DIVORZIO - OBBLIGHI - VERSO L'ALTRO CONIUGE - ASSEGNO - IN GENERE. Accertamento della capacità economica delle parti - Risultanze delle dichiarazioni fiscali - Valore probatorio indiziario. In tema di accertamento della capacità economica dei genitori, ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento dei figli minori in sede di divorzio, alle risultanze delle dichiarazioni fiscali dei redditi deve essere attribuito valore solo indiziario, disponendo il giudice di ampio potere istruttorio giustificato dalla finalità pubblicistica della materia, che gli consente di ancorare le sue determinazioni ad adeguata verifica delle condizioni patrimoniali delle parti e delle esigenze di vita dei figli, prescindendo dalla prova addotta dalla parte istante ed attingendo a tutti i dati comunque facenti parte del bagaglio istruttorio. Anche Cass. 9876/06 aveva affermato che le dichiarazioni dei redditi dell'obbligato, in quanto svolgono una funzione tipicamente fiscale, non rivestono, in una controversia concernente l'attribuzione o la quantificazione dell'assegno di divorzio, relativa a rapporti estranei al sistema tributario, valore vincolante per il giudice, il quale, nella sua valutazione discrezionale, ben può disattenderle, fondando il suo convincimento su altre risultanze probatorie. Con riguardo ai poteri istruttori del giudice in materia di separazione personale dei coniugi, secondo Cass. 18627/06, l'art. 155, settimo comma, cc, disponendo che i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli ed al contributo per il loro mantenimento possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l'assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d'ufficio dal giudice, opera una deroga alle regole generali sull'onere della prova, attribuendo al giudice poteri istruttori d'ufficio per finalità di natura pubblicistica. Tale principio opera anche in materia di revisione delle condizioni della separazione per quanto concerne l'affidamento dei figli. SEZIONE PRIMA 11 FEBBRAIO 2011, numero 3392 MUTUO - IN GENERE NOZIONE, CARATTERI, DISTINZIONI . Mutuo di scopo - Clausola di rinuncia del mutuatario a far valere nei confronti del mutuante l'eccezione di mancata consegna del veicolo - Validità - Limiti - Invalidità per violazione del principio di buona fede - Configurabilità. In tema di contratto di mutuo finalizzato all'acquisto di un veicolo, la clausola di rinuncia del mutuatario a far valere nei confronti del mutuante l'eccezione di mancata consegna del veicolo da parte del venditore, pur astrattamente valida in quanto espressione della libertà negoziale, deve essere valutata alla luce della fattispecie concreta, ben potendo essere considerata invalida quando, violando il principio di buona fede, produca l'effetto di escludere del tutto la possibilità di proporre quella eccezione, stante al riguardo la mancanza di interesse sia del mutuante, il quale potrebbe ripetere la somma dal venditore, sia di quest'ultimo, il quale potrebbe trattenere la somma senza aver consegnato l'auto. Cass. 8253/03 ha ritenuto valida, in tema di contratto di mutuo finalizzato all'acquisto di un veicolo, la clausola che, pur escludendo in modo palese il collegamento negoziale, faccia gravare sul mutuatario il rischio della mancata consegna del bene. In tal caso il contratto di mutuo rimane estraneo alle vicende che interessano quello di vendita ed il mutuatario, che non riceva il veicolo dal venditore, non può opporre al mutuante l'eccezione di inadempimento per rifiutare di pagare le rate del mutuo. Più in generale, secondo Cass. 3589/10, nel contratto di mutuo in cui sia previsto lo scopo del reimpiego della somma mutuata per l'acquisto di un determinato bene, il collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e quello di vendita, in virtù del quale il mutuatario è obbligato all'utilizzazione della somma mutuata per la prevista acquisizione, comporta che della somma concessa in mutuo beneficia il venditore del bene, con la conseguenza che la risoluzione della compravendita ed il correlato venir meno dello scopo del contratto di mutuo, legittimano il mutuante a richiedere la restituzione dell'importo mutuato non al mutuatario ma direttamente ed esclusivamente al venditore. SEZIONE PRIMA 10 FEBBRAIO 2011, numero 3271 CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI - PROCESSO EQUO - TERMINE RAGIONEVOLE - IN GENERE. Irragionevole durata del processo amministrativo - Processo presupposto introdotto prima dell'entrata in vigore dell'art. 54, comma 2, Dl 112/2008 - Omessa presentazione dell'istanza di prelievo - Conseguenze. In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, l'art. 54 del Dl 112/2008, pur disponendo per il futuro, dà rilievo alla circostanza che, nei giudizi amministrativi, l'istanza di prelievo ha da tempo assunto la funzione di segnalare al giudice il permanente interesse della parte alla definizione del giudizio, sovente venuto meno per circostanze sopravvenute alla sua proposizione quali atti di autotutela o sanatorie , con la conseguenza che la mancata presentazione dell'istanza, nonostante il lungo tempo trascorso dalla proposizione della domanda, costituisce indice di scarso interesse alla lite e legittima, pertanto, la liquidazione del risarcimento in misura inferiore rispetto a quella normalmente ritenuta congrua. In tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo amministrativo, l'istituto della perenzione decennale dei ricorsi, introdotto dall'art. 9 della legge 205/2000 - nel testo anteriore alle modifiche di cui all'art. 54 del Dl 112/2008, convertito nella legge 133/2008 - non si traduce in una presunzione di disinteresse per la decisione di merito al decorrere di un tempo definito dopo che la domanda sia stata proposta, ma comporta soltanto la necessità che le parti siano messe in condizione, tramite apposito avviso, di soffermarsi sull'attualità dell'interesse alla decisione e di manifestarlo. Ne consegue che la mancata presentazione dell'istanza di fissazione, rendendo esplicito l'attuale disinteresse per la decisione di merito, giustifica l'esclusione della sussistenza del danno per la protrazione ultradecennale del giudizio, ma non impedisce una valorizzazione dell'atteggiamento tenuto dalle parti nel periodo precedente, quale sintomo di un interesse per la decisione mano a mano decrescente, e quindi come base per una decrescente valutazione del danno e del relativo risarcimento Cass. 6619/10 .