RASSEGNA DELLE SEZIONI UNITE CIVILI DELLA CASSAZIONE di Francesco Antonio Genovese

di Francesco Antonio Genovese SEZIONI UNITE 11 GENNAIO 2011, n. 390 AVVOCATO E PROCURATORE - ONORARI - PROCEDIMENTO DI LIQUIDAZIONE - SOMMARIO Opposizione a decreto ingiuntivo ex art. 30 della legge n. 794 del 1942 - Provvedimento conclusivo sentenza od ordinanza - Regime impugnatorio - Individuazione - Criterio della forma consapevolmente adottata dal giudice anche in modo implicito o desumibile dal concreto svolgersi del procedimento - Applicazione - Fattispecie. In tema di opposizione a decreto ingiuntivo per onorari ed altre spettanze dovuti dal cliente al proprio difensore per prestazioni giudiziali civili, al fine di individuare il regime impugnatorio del provvedimento - sentenza oppure ordinanza ex art. 30 della legge 13 giugno 1942, n. 794 - che ha deciso la controversia, assume rilevanza la forma adottata dal giudice, ove la stessa sia frutto di una consapevole scelta, che può essere anche implicita e desumibile dalle modalità con le quali si è in concreto svolto il relativo procedimento. Nella specie, le S.U. hanno cassato la sentenza della Corte territoriale che aveva dichiarato inammissibile il gravame avverso la sentenza emessa dal giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, per somme relative a prestazioni giudiziali civili, reputando che si trattasse, nella sostanza, di ordinanza inappellabile ai sensi dell'art. 30 della legge n. 794 del 1942, nonostante detta sentenza fosse stata emanata all'esito di un procedimento svoltosi completamente nelle forme di un ordinario procedimento civile contenzioso . Sulla forma degli atti del giudice e sul loro regime impugnatorio a Sez. L, Sentenza n. 15783 del 2004 poiché il mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere individuato in base alla qualificazione del rapporto giuridico data dal giudice che lo ha emesso, è ammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso una sentenza emessa in procedimento di opposizione a sanzione amministrativa svoltosi non secondo le previsioni di cui agli artt. 442 e seguenti cod. proc. civ., ma ai sensi degli artt. 22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689, pur trattandosi di illeciti conseguenti alla violazione della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 e concernenti la contestata assunzione di lavoratori senza il tramite della competente sezione circoscrizionale per l'impiego dei lavoratori formalmente dipendenti dall'intermediario e l'omessa comunicazione del loro licenziamento b Sez. 3, Sentenza n. 26294 del 2007 L'individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va effettuata facendo esclusivo riferimento alla qualificazione data dal giudice all'azione proposta, con il provvedimento impugnato, a prescindere dalla sua esattezza e dalla qualificazione dell'azione data dalla parte, in base al principio dell'apparenza, e tanto al fine di escludere che la parte possa conoscere ex post , ad impugnazione avvenuta, quale era il mezzo di impugnazione esperibile. Ne consegue che, nel caso di sentenza emessa in sede di opposizione in materia esecutiva a cui non si applica la modifica normativa sopravvenuta per effetto dell'art. 14 della legge n. 52 del 2006, che ha comportato la sostituzione dell'art. 616 cod. proc. civ. , la stessa é impugnabile con l'appello, se l'azione é stata qualificata come opposizione all'esecuzione, mentre é esperibile il ricorso per cassazione, qualora l'azione sia stata definita come opposizione agli atti esecutivi c Sez. 3, Sentenza n. 20811 del 2010 L'identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va operata, a tutela dell'affidamento della parte, con riferimento esclusivo a quanto previsto dalla legge per le decisioni emesse secondo il rito in concreto adottato, con ciò venendo soddisfatte le medesime esigenze di tutela salvaguardate dal c.d. principio dell'apparenza, in riferimento alla qualificazione dell'azione giusta od errata che sia effettuata dal giudice. Nella specie, la S.C. ha ritenuto ammissibile il ricorso per cassazione avverso la decisione impugnata che era stata impropriamente adottata secondo il rito di cui all'art. 152 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 - il quale prevede, per l'appunto, l'immediata ricorribilità per cassazione delle sentenze di merito in materia di trattamento di dati personali - in luogo del rito ordinario, in base al quale il mezzo di impugnazione sarebbe stato l'appello . Sul tema specifico di cui al principio enunciato, Sez. 2, Sentenza n. 3744 del 2006 In tema di liquidazione degli onorari di avvocato, il principio secondo il quale, allorché venga proposta opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore del professionista, il provvedimento conclusivo assume veste, alternativamente, di ordinanza impugnabile con il solo ricorso per cassazione all'esito della speciale procedura camerale - se la controversia involge soltanto la misura del compenso - ovvero di sentenza emessa all'esito di un normale giudizio contenzioso soggetta ai normali mezzi di impugnazione - se la questione ha ad oggetto non soltanto quella misura, ma gli stessi presupposti del diritto vantato dall'opposto - trova un limite nel caso in cui, essendo insorta tra le parti una controversia circa l'ordine del processo e il provvedimento conclusivo di esso, lo stesso giudice abbia espressamente qualificato tale provvedimento, sia pur anticipatamente e al limitato fine si stabilire le modalità di trattazione della causa ovvero di disporre per l'ulteriore corso del procedimento , senza con ciò risolvere questioni di competenza né così emettendo una pronuncia potenzialmente idonea a risolvere la lite suscettibile, come tale, di passare in giudicato . In tal caso, difatti, ai fini delle impugnazione esperibili, al principio della natura sostanziale del provvedimento si sostituiscono quelli dell'affidamento e della certezza, con la conseguenza che la qualificazione data dal giudice al provvedimento de quo , giusta o meno che sia, determina ipso facto anche il tipo di impugnazione legittimamente proponibile, senza che rilevi, in contrario, la circostanza per cui la qualificazione intervenga, nella specie, con un provvedimento ordinatorio diverso e precedente rispetto a quello da impugnare. SEZIONI UNITE 27 DICEMBRE 2010, N. 26129 GIURISDIZIONE CIVILE - GIURISDIZIONE ORDINARIA E AMMINISTRATIVA - IN GENERE Difetto di giurisdizione - Eccezione - Proposizione da parte dell'attore davanti al giudice di appello - Ammissibilità - Fondamento. L'eccezione di difetto di giurisdizione non è preclusa alla parte per il solo fatto di avere adito un giudice nella specie, il Tar che lo stesso attore ritiene successivamente privo di giurisdizione ben può quindi, detta parte proporre l'eccezione per la prima volta in appello nella specie, davanti al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia , essendo la questione di giurisdizione preclusa solo nel caso in cui sulla stessa si sia formato il giudicato esplicito o implicito. Si veda, Sez. L, Sentenza n. 12002 del 2003 Il difetto di giurisdizione deve essere rilevato in ogni stato e grado del giudizio solo nel caso in cui sia mancata una statuizione sulla giurisdizione, giacché il sistema delle preclusioni poste a salvaguardia dell'ordinato svolgimento del processo comporta che, qualora una delle parti abbia eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito, ma non abbia poi ritualmente espresso le proprie doglianze contro la decisione sfavorevole emessa sul punto, questa passa in giudicato e preclude ogni ulteriore contestazione. SEZIONI UNITE 27 DICEMBRE 2010, N. 26129 GIURISDIZIONE CIVILE - GIURISDIZIONE ORDINARIA E AMMINISTRATIVA - DETERMINAZIONE E CRITERI - DIRITTI SOGGETTIVI Contributi e sovvenzioni pubbliche - Emanazione dell'atto di concessione - Successiva decadenza per fatti sopravvenuti - Giurisdizione del giudice ordinario - Fondamento - Fattispecie in relazione alla legge n. 433 del 1991. In materia di contributi e sovvenzioni pubbliche, con l'emanazione dell'atto di concessione del contributo, ancorché non ancora erogato, il richiedente diviene titolare di un diritto soggettivo, per cui sul provvedimento di decadenza per fatti sopravvenuti, a causa di inadempimenti contestati al beneficiario, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario. Fattispecie riguardante il contributo previsto dalla legge 31 dicembre 1991, n. 433 per la ricostruzione e la rinascita delle zone colpite dal terremoto del 1990 in Sicilia . In precedenza, Sez. U, Sentenza n. 19806 del 2008 In materia di contributi e sovvenzioni pubbliche, appartiene al giudice ordinario la controversia nella quale si chiede il riconoscimento del contributo pubblico, prima concesso e poi revocato dall'amministrazione, qualora, sulla base della legge che disciplina il contributo nella specie, della Regione Veneto n. 12 del 1987 , l'intervento dell'amministrazione in sede di revoca ha avuto per oggetto solo la verifica di condizioni predeterminate dalla normativa, senza valutazioni discrezionali in ordine alla sussistenza di un interesse pubblico, con conseguente posizione di diritto soggettivo in capo al privato, come nel caso dell'accertamento della condizione relativa all'inizio dei lavori essendo richiesto dall'art. 3 legge cit. che i lavori non fossero iniziati al momento della richiesta . SEZIONI UNITE 27 DICEMBRE 2010, N. 26128 PROCEDIMENTI SOMMARI - D'INGIUNZIONE - DECRETO - OPPOSIZIONE - IN GENERE Domanda di adempimento azionata con il procedimento monitorio - Domanda di arricchimento introdotta dall'opposto in comparsa di risposta - Ammissibilità - Limiti - Fondamento. PROCEDIMENTO CIVILE - DOMANDA GIUDIZIALE - MODIFICAZIONI Domanda di adempimento azionata con il procedimento monitorio - Domanda di arricchimento introdotta dall'opposto in comparsa di risposta - Ammissibilità - Limiti - Fondamento. PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - OBBLIGAZIONI - ARRICCHIMENTO SENZA CAUSA Domanda di adempimento azionata con il procedimento monitorio - Domanda di arricchimento introdotta dall'opposto in comparsa di risposta - Ammissibilità - Limiti - Fondamento. Le domande di adempimento contrattuale e di arricchimento senza causa, quali azioni che riguardano entrambe diritti eterodeterminati, si differenziano, strutturalmente e tipologicamente, sia quanto alla causa petendi esclusivamente nella seconda rilevando come fatti costitutivi la presenza e l'entità del proprio impoverimento e dell'altrui locupletazione, nonché, ove l'arricchito sia una P.A., il riconoscimento dell'utilitas da parte dell'ente , sia quanto al petitum pagamento del corrispettivo pattuito o indennizzo . Ne consegue che, nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo - al quale si devono applicare le norme del rito ordinario, ai sensi dell'art. 645, secondo comma, e, dunque, anche l'art. 183, quinto comma, cod. proc. civ. - è ammissibile la domanda di arricchimento senza causa avanzata con la comparsa di costituzione e risposta dall'opposto che riveste la posizione sostanziale di attore soltanto qualora l'opponente abbia introdotto nel giudizio, con l'atto di citazione, un ulteriore tema di indagine, tale che possa giustificare l'esame di una situazione di arricchimento senza causa. In ogni altro caso, all'opposto non è consentito di proporre, neppure in via subordinata, nella comparsa di risposta o successivamente, un'autonoma domanda di arricchimento senza causa, la cui inammissibilità è rilevabile d'ufficio dal giudice. Si richiamano i Sez. 2, Sentenza n. 7201 del 1995 Si ha mutamento della causa petendi, con conseguente introduzione di domanda nuova in appello, quando il fatto costitutivo della pretesa sia modificato nei suoi elementi materiali, con la prospettazione di circostanze precedentemente non dedotte, mentre non costituisce mutamento della domanda una diversa prospettazione giuridica del medesimo petitum ovvero una diversa qualificazione dell'originaria pretesa, i cui fatti costitutivi siano rimasti inalterati. Pertanto, la domanda di indebito arricchimento può essere proposta per la prima volta in appello, purché prospettata sulla base delle medesime circostanze di fatto fatte valere in primo grado. ii Sez. L, Sentenza n. 10168 del 2004 La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa integra, rispetto a quella di adempimento contrattuale originariamente formulata, una domanda nuova, come tale inammissibile nel giudizio di appello a norma dell'art. 345 cod.proc.civ., in quanto dette domande non sono intercambiabili e non costituiscono articolazioni di un'unica matrice, riguardando entrambe diritti cosiddetti eterodeterminati per la individuazione dei quali è indispensabile il riferimento ai relativi fatti costitutivi, che divergono sensibilmente tra loro ed identificano due distinte entità , e l'attore, sostituendo la prima alla seconda, non solo chiede un bene giuridico diverso indennizzo, anziché il corrispettivo pattuito , così mutando l'originario petitum , ma, soprattutto, introduce nel processo gli elementi costitutivi della nuova situazione giuridica proprio impoverimento ed altrui locupletazione e, in caso di domanda di arricchimento proposta contro la P.A., anche il riconoscimento della utilitas della prestazione , che erano privi di rilievo, invece, nel rapporto contrattuale. iii Sez. 3, Sentenza n. 11368 del 2006 Nell'ordinario giudizio di cognizione che si instaura a seguito dell'opposizione a decreto ingiuntivo, l'opponente, nella sua sostanziale posizione di convenuto, propone, ove muti le ragioni in base alle quali chiede la revoca dell'ingiunzione, domande riconvenzionali o diverse e nuove eccezioni, che sono ammissibili nei limiti del disposto degli artt. 167 e 345 cod. proc. civ Per contro l'opposto, rivestendo la qualità sostanziale di attore, non può proporre domande diverse da quella fatta valere con l'ingiunzione, a meno che su di esse non venga accettato il contraddittorio dall'altra parte. Fattispecie, in controversia instaurata anteriormente alla riforma del rito civile ordinario, relativa a domanda di arricchimento senza causa sulla quale vi era stata accettazione del contraddittorio . iv Sez. 3, Sentenza n. 21245 del 2006 Nell'ordinario giudizio di cognizione, che si instaura a seguito dell'opposizione a decreto ingiuntivo, solo l'opponente, in via generale, nella sua posizione sostanziale di convenuto, può proporre domande riconvenzionali, ma non anche l'opposto, che, rivestendo la posizione sostanziale di attore, non può avanzare domande diverse da quelle fatte valere con l'ingiunzione, potendo a tale principio logicamente derogarsi solo quando, per effetto di una riconvenzionale formulata dall'opponente, la parte opposta si venga a trovare a sua volta in una posizione processuale di convenuto cui non può essere negato il diritto di difesa, rispetto alla nuova o più ampia pretesa della controparte, mediante la proposizione eventuale di una reconventio reconventionis . v Sez. 1, Sentenza n. 17007 del 2007 La domanda di indennizzo per arricchimento senza causa e quella di adempimento contrattuale non sono intercambiabili, non costituendo articolazioni di un'unica matrice, ma riguardando diritti per l'individuazione dei quali è indispensabile il riferimento ai rispettivi fatti costitutivi, i quali divergono tra loro, identificando due diverse entità nel primo caso, infatti, l'attore non solo chiede un bene giuridico diverso, e cioè un indennizzo in luogo del corrispettivo pattuito, ma introduce nel giudizio gli elementi costitutivi di una diversa situazione giuridica, consistenti nel proprio depauperamento con altrui arricchimento e nel riconoscimento dell'utilità della prestazione, che sono privi di rilievo nel rapporto contrattuale. La sostituzione, nel corso del giudizio di primo grado, della domanda di adempimento contrattuale originariamente formulata con quella di indennizzo per arricchimento senza causa integra pertanto la proposizione di una domanda nuova, come tale inammissibile a norma dell'art. 184 cod. proc. civ., qualora, nel regime vigente anteriormente all'entrata in vigore della legge 26 novembre 1990, n. 353, la controparte non abbia rinunciato ad eccepirne la novità, accettando, anche implicitamente, il contraddittorio. vi Sez. 3, Sentenza n. 14646 del 2009 Nel procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo, emesso per il pagamento di somme a titolo di corrispettivo di forniture in favore di un ente pubblico territoriale, la proposizione da parte dell'opposto dell'azione di arricchimento senza causa, in via subordinata rispetto alla domanda principale, al fine di contrastare le eccezioni dell'opponente, senza immutazione o alterazione del fatto costitutivo del diritto dedotto in giudizio, non costituisce mutatio libelli , ma semplice emendatio , sicché non viola il divieto di domande nuove, previsto dagli artt. 183 e 184 cod. proc. civ. SEZIONI UNITE 27 DICEMBRE 2010, n. 26126 TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1972 - IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO I.V.A. - SANZIONI - SANZIONI PECUNIARIE - VIOLAZIONI DELL'OBBLIGO DI FATTURAZIONE Cessionario o committente - Obbligo di regolarizzazione dell'operazione ex art. 41, quinto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 nel testo anteriore all'entrata in vigore del d.lgs. n. 471 del 1997 - Inosservanza - Conseguenze - Previsione del - Natura - Sanzione - Affermazione - Fondamento - Successione di leggi nel tempo - Applicazione della norma posteriore più favorevole. In tema di IVA, l'art. 41, comma sesto, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 nel testo in vigore , anteriore all'intervento abrogativo e sostitutivo operato dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 , nel disporre che al cessionario di beni o committente di servizi si applichino, in caso di omessa o irregolare fatturazione e mancata regolarizzazione, %& lt %& lt le pene pecuniarie previste dai primi tre commi, oltre al pagamento della imposta& gt & gt , considera tale prelievo, compreso quello d'importo pari all'imposta, quale sanzione, ferme restando le obbligazioni verso l'erario del cedente di beni o prestatore di servizi per l'imposta, le sanzioni a suo carico e le dichiarazioni annuali. Pertanto, in virtù del principio di legalità stabilito dall'art. 3, comma terzo, d.lgs. n. 472 del 1997, anche riguardo a detto prelievo, qualificato dall'art. 41, cit., si applica la norma posteriore e cioè l'art. 6 del d.lgs. n. 471 del 1997 , più favorevole al contribuente. In senso conforme, Sez. 5, Sentenza n. 5268 del 2005 In tema di IVA, l'art. 41, comma sesto, d.P.R. n. 633 del 1972 nel testo in vigore , anteriore all'intervento abrogativo e sostitutivo operato dal D.Lgs. n. 471 del 1997 , nel disporre che al cessionario di beni o committente di servizi si applichino, in caso di omessa o irregolare fatturazione e mancata regolarizzazione, %& lt %& lt le pene pecuniarie previste dai primi tre commi, oltre al pagamento della imposta& gt & gt , considera tale prelievo, compreso quello d'importo pari all'imposta, quale sanzione, ferme restando le obbligazioni verso l'erario del cedente di beni o prestatore di servizi per l'imposta, le sanzioni a suo carico e le dichiarazioni annuali. Pertanto, in virtù del principio di legalità stabilito dall'art. 3, comma terzo, D.Lgs. n. 472 del 1997, anche riguardo a detto prelievo, qualificato dall'art. 41, cit., si applica la norma posteriore, più favorevole al contribuente In applicazione di tale principio, la Corte ha accolto il ricorso del contribuente contro la sentenza di merito, che aveva disatteso le sue deduzioni in ordine al silenzio tenuto dall'Amministrazione finanziaria con riguardo alla richiesta di rimborso delle somme versate ai sensi dell'art. 41, comma sesto, d.P.R. n. 633 del 1972, che era stato abrogato dall'art. 16, comma primo, lett. a del D.Lgs. n. 471 del 1997 e sostituito dall'art. 6 dello stesso D.Lgs. n. 471, previsione quest'ultima più favorevole al contribuente . Si veda altresì, Sez. 5, Sentenza n. 12678 del 2005 In materia di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie, l'art. 3 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, applicabile ai procedimenti in corso alla data dell'1 aprile 1998, a condizione nella specie sussistente che il provvedimento di irrogazione della sanzione non sia divenuto definitivo, ha sancito il principio del favor rei , sicché la sanzione meno grave, più favorevole al trasgressore, ha portata retroattiva nei giudizi pendenti. Tale normativa di carattere generale è applicabile anche alle violazioni in materia di IVA, tenuto conto che il nuovo regime sanzionatorio introdotto dal d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 ed entrato in vigore l'1 aprile 1998 prevede una sistematica repressiva meno onerosa rispetto al precedente sistema. In particolare, l'art. 16 ha abrogato, fra l'altro, l'art. 41 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e l'art. 6, ottavo comma, ha determinato i margini del quantum della pena pecuniaria dovuta in ipotesi di omessa autofatturazione da parte del cessionario o del committente, senza però riproporre, neppure nella riformulazione contenuta nel d. lgs. 5 giugno 1998, n. 203, il pagamento dell'imposta avente anch'esso, nel regime dell'abrogato art. 41, natura sanzionatoria . SEZIONI UNITE 13 DICEMBRE 2010, N. 25091 ORDINAMENTO GIUDIZIARIO - DISCIPLINA DELLA MAGISTRATURA - IN GENERE Esimente del fatto di scarsa rilevanza - Accertamento della sussistenza stessa - Valutazione ex post dell'assenza di offensività del comportamento tenuto - Necessità - Condotta disciplinare irrilevante - Individuazione - Fattispecie. In tema di illeciti disciplinari riguardanti i magistrati, la norma di cui all'art. 3 bis del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, aggiunta dall'art. 1 della legge 24 ottobre 2006, n. 269, secondo cui l'illecito disciplinare non è configurabile quando il fatto è di scarsa rilevanza , introduce nella materia disciplinare il principio di offensività, proprio del diritto penale, secondo il quale la sussistenza dell'illecito va, comunque, riscontrata alla luce della lesione o messa in pericolo del bene giuridico tutelato dalla norma, con accertamento in concreto, effettuato ex post tale bene giuridico va considerato unico per tutte le ipotesi di illecito disciplinare ed è identificabile - secondo quanto emerge esplicitamente dall'art. 3, lett. h , e dall'art. 4, lett. d , del d.lgs. n. 109 cit. - con la compromissione dell'immagine del magistrato. Pertanto, ai sensi dell'art. 3-bis citato, la condotta disciplinare irrilevante va identificata, una volta accertata la realizzazione della fattispecie tipica, in quella che non compromette l'immagine del magistrato. In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza della Sezione disciplinare del CSM che aveva prosciolto, per scarsa rilevanza del fatto ex art. 3 bis del d.lgs. n. 109 del 2006, un magistrato incolpato di non avere celebrato un certo numero di udienze, pur fissate in calendario, sulla scorta sia di considerazioni riguardanti l'elemento soggettivo sia dell'accertata laboriosità dell'incolpato . Si veda anche Sez. U, Sentenza n. 15314 del 2010 In tema di illeciti disciplinari riguardanti i magistrati, l'esimente di cui all'art. 3 bis del d.lgs n. 109 del 2006 presuppone che la fattispecie tipica si sia realizzata ma che, per particolari circostanze, anche non riferibili all'incolpato, il fatto risulti di scarsa rilevanza. SEZIONI UNITE 9 DICEMBRE 2010, N. 24851 CIRCOLAZIONE STRADALE - SANZIONI - IN GENERE Violazioni del codice della strada - Termine per la notifica del verbale di contestazione - Decorrenza - Mutamento di residenza del destinatario - Dichiarazione resa solo all'anagrafe comunale e non anche al P.R.A. - Idoneità di tale circostanza a differire il dies a quo di decorrenza del termine per la notifica del verbale - Esclusione - Fondamento. SANZIONI AMMINISTRATIVE - APPLICAZIONE - CONTESTAZIONE E NOTIFICAZIONE Violazioni del codice della strada - Termine per la notifica del verbale di contestazione - Decorrenza - Mutamento di residenza del destinatario - Dichiarazione resa solo all'anagrafe comunale e non anche al P.R.A. - Idoneità di tale circostanza a differire il dies a quo di decorrenza del termine per la notifica del verbale - Esclusione - Fondamento. In tema di violazioni del codice della strada, il dies a quo del termine di 150 giorni per la notifica del verbale di contestazione dell'infrazione nel caso in cui il destinatario abbia mutato residenza provvedendo a far ritualmente annotare la relativa variazione con Ìindicazione dei dati relativi ai veicoli di appartenenza soltanto negli atti dello stato civile e non anche nel Pubblico Registro Automobilistico, decorre dalla data di annotazione della variazione di residenza negli atti dello stato civile, a nulla rilevando che l'interessato non abbia provveduto a far annotare la variazione anche nel Pubblico Registro Automobilistico. Ne consegue che deve ritenersi intempestiva la notifica del predetto verbale quando siano trascorsi più di 150 giorni dalla annotazione all'anagrafe del cambio di residenza del trasgressore corredata dell'indicazione dei dati relativi ai veicoli di appartenenza , ma meno di 150 dalla relativa annotazione nel P.R.A. o nell'Archivio Nazionale Veicoli. La sentenza ha composto il precedente contrasto. In senso difforme si era pronunciata Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15831 del 2008 In tema di violazione del codice della strada, la notificazione del verbale di contestazione al proprietario dell'autoveicolo presso la residenza risultante dal pubblico registro automobilistico P.R.A. è valida ed efficace, anche se la residenza non corrisponde a quella effettiva, se il destinatario della contestazione non abbia provveduto ex art. 94 del Codice della Strada a comunicarne la modifica entro 60 gg. dal cambiamento, incombendo su di esso un obbligo di collaborazione la cui omissione integra un illecito amministrativo. Nella fattispecie, la Corte ha cassato la sentenza del giudice di pace che aveva ritenuto invalida la notificazione del verbale di contestazione e della cartella esattoriale perché l'autore della violazione amministrativa non era più convivente col padre al momento della notifica, senza considerare gli obblighi di diligenza su di esso incombenti ex lege . In senso conforme, invece, vi erano state a Sez. 2, Sentenza n. 16185 del 2009 In tema di violazioni del codice della strada, la disposizione contenuta nell'art. 247 del Regolamento di esecuzione approvato con d.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, nel prevedere che le comunicazioni al P.R.A. del cambio di residenza, già dichiarato dal proprietario all'anagrafe comunale, debbano essere eseguite a cura della P.A., comporta - anche in ragione del fatto che non esiste più una norma simile a quella di cui all'art. 59 del d.P.R. 15 giugno 1959, n. 393 Codice della strada abrogato , che imponeva all'interessato la comunicazione del cambio di residenza - che la notifica effettuata, in forza dell'art. 201, comma 3, ultimo periodo, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 985, al precedente indirizzo del contravventore risultante dagli archivi, ove questi non siano aggiornati, non possa ritenersi validamente eseguita, atteso che il ritardo dell'Amministrazione nell'aggiornare i propri archivi non può produrre effetti negativi nella sfera giuridica del cittadino non inadempiente. b Sez. 2, Sentenza n. 653 del 2010 In tema di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada, per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 201 del medesimo codice v. sentenza Corte Cost. n. 198 del 1996 , qualora l'interessato abbia provveduto alla tempestiva comunicazione della variazione anagrafica e l'Amministrazione non abbia proceduto all'aggiornamento dei relativi archivi, la notifica della contestazione effettuata al precedente indirizzo del contravventore risultante dagli archivi non aggiornati non può ritenersi correttamente eseguita, non potendo il ritardo dell'Amministrazione nell'aggiornare i propri dati produrre effetti negativi nella sfera giuridica del cittadino non inadempiente. SEZIONI UNITE ORDINANZA 2 DICEMBRE 2010, N. 24421 GIURISDIZIONE CIVILE - REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE - IN GENERE Regolamento d'ufficio - Applicabilità sin dall'entrata in vigore della legge - Sussistenza - Rilevanza della data di inizio del giudizio - Esclusione - Fondamento. Il regolamento di giurisdizione d'ufficio, introdotto dall'art. 59 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in vigore dal 4 luglio 2009, è immediatamente proponibile, dopo l'entrata in vigore della legge stessa, indipendentemente dalla data d'inizio del giudizio in relazione al quale il regolamento venga presentato, come palesa la collocazione della norma, sita dopo la disciplina transitoria prevista dall'art. 58, cui, pertanto, la norma sul regolamento d'ufficio resta estranea. In senso conforme, già Sez. U, Ordinanza n. 23109 del 2010 Anche nei giudizi instaurati prima dell'entrata in vigore della legge 18 giugno 2009, n. 69 può essere chiesto d'ufficio il regolamento di giurisdizione, ai sensi dell'art. 59, comma 3, della legge stessa, sia perché quest'ultima, all'art. 58, limita l'applicazione nei giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore alle sole disposizioni che modificano il codice di procedura civile e le relative norme di attuazione, in tal modo facendo ritenere, secondo un'interpretazione letterale, che per l'art. 59, in difetto di esplicite previsioni contrarie, vale il principio per il quale le regole di natura processuale diverse da quelle specificamente indicate dal predetto art. 58 sono di immediata applicazione, sia perché lo strumento processuale del regolamento di giurisdizione chiesto d'ufficio trova la sua ragion d'essere nella divisione funzionale ed organizzativa delle giurisdizioni che, non diversamente da quanto previsto per la competenza, ed anzi a maggior ragione, non ammette la possibilità che il giudice di un ordine diverso, negando di avere nel caso giurisdizione, possa poi imporla al diverso giudice che egli indica. SEZIONI UNITE 2 DICEMBRE 2010, N. 24419 URBANISTICA - GIURISDIZIONE Contratto di cessione in proprietà di aree - Previsione dell'obbligo di pagamento del prezzo - Obbligo di pagare una somma ulteriore quale contributo per le opere di urbanizzazione - Maggiorazione per il ritardo nel pagamento - Qualificazione del contratto come convenzione urbanistica - Configurabilità - Sussistenza - Conseguenze in ordine al riparto di giurisdizione - Giurisdizione del giudice amministrativo - Sussistenza - Fondamento. GIURISDIZIONE CIVILE - GIURISDIZIONE ORDINARIA E AMMINISTRATIVA - IN GENERE Contratto di cessione in proprietà di aree - Previsione dell'obbligo di pagamento del prezzo - Obbligo di pagare una somma ulteriore quale contributo per le opere di urbanizzazione - Maggiorazione per il ritardo nel pagamento - Qualificazione del contratto come convenzione urbanistica - Configurabilità - Sussistenza - Conseguenze in ordine al riparto di giurisdizione - Giurisdizione del giudice amministrativo - Sussistenza - Fondamento. Il contratto di cessione in proprietà di aree, posto in essere fra il comune ed un soggetto privato, ai sensi dell'art. 27 della legge 22 ottobre 1971, n. 865 applicabile, nella specie, ratione temporis il quale preveda sia il pagamento di una somma a titolo di prezzo, sia l'obbligo del privato di corrispondere ratealmente, a fronte dei costi di urbanizzazione sostenuti dall'ente pubblico territoriale, un'altra somma, contemplandone un aumento in percentuale in caso di ritardo nel pagamento, costituisce una convenzione urbanistica, essendo volto a disciplinare, con il concorso del privato acquirente dell'area, una delle possibili modalità di realizzazione delle opere di urbanizzazione necessarie per dare al territorio la conformazione prevista dagli strumenti urbanistici nel contratto in questione, il predetto maggiore importo, che l'acquirente dell'area assume l'obbligo di versare, in caso di ritardo nel pagamento, integra non una clausola penale, ma una delle possibili sanzioni che la norma menzionata consente siano convenute tra le parti dell'atto di cessione. Tale convenzione va, quindi, assimilata ad un accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo ed è, pertanto, soggetta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 11, quinto comma, della legge 7 agosto 1990, n. 241 applicabile, nella specie, ratione temporis . In precedenza i Sez. U, Ordinanza n. 9151 del 2009 Nel caso in cui una convenzione urbanistica nella specie, attuativa di un programma integrato di intervento sia modificata con accordo transattivo nel corso del giudizio insorto per la sua mancata esecuzione, appartiene alla giurisdizione esclusiva amministrativa, ai sensi dell'art. 11, comma 5, della legge n. 241 del 1990, la domanda con cui il Comune chieda nei confronti del privato l'accertamento dell'obbligo di realizzare un'opera pubblica nella specie, un centro culturale polivalente e la condanna al risarcimento del danno derivato dalla mancata realizzazione, in quanto l'accordo transattivo e la successiva variante alla convenzione originaria sono comunque collegati a detta convenzione, per cui si tratta di atti - con contenuto riconducibile alle problematiche relative agli oneri di urbanizzazione - endoprocedimentali all'interno di un procedimento amministrativo complesso, finalizzato a consentire al privato di edificare su terreni di sua proprietà, e la controversia non attiene ad aspetti meramente patrimoniali del rapporto concessorio, involgendo invece valutazioni strettamente inerenti a detto rapporto nel momento funzionale. ii Sez. U, Sentenza n. 15388 del 2009 La domanda proposta dal privato di risarcimento dei danni causati dalla condotta inerte del Comune nell'approvazione di una convenzione di lottizzazione - la quale, essendo diretta a disciplinare il successivo rilascio di concessioni edilizie e l'esecuzione concordata tra le parti di opere di urbanizzazione, rientra tra gli accordi sostitutivi del provvedimento, ai sensi dell'art. 11, comma 5, della legge n. 241 del 1990 - appartiene alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essendo la domanda di tutela connessa ad un comportamento dell'ente locale lesivo di interessi legittimi pretensivi alla conclusione positiva del procedimento di approvazione della convenzione, svolto nell'esercizio di un potere autoritativo e discrezionale, tutelabile insieme al conseguenziale diritto al risarcimento del danno. SEZIONI UNITE 2 DICEMBRE 2010, N. 24418 OBBLIGAZIONI IN GENERE - OBBLIGAZIONI PECUNIARIE - INTERESSI - ANATOCISMO Contratto di conto corrente bancario stipulato in data anteriore al 22 aprile 2000 - Clausola di capitalizzazione annuale degli interessi prevista nel primo comma - Interpretazione - Riferimento ai soli interessi maturati a credito del correntista - Applicabilità agli interessi a debito del correntista - Esclusione - Fondamento - Conseguenze - Calcolo degli interessi a debito senza capitalizzazione alcuna - Necessità. È conforme ai criteri legali di interpretazione del contratto, in particolare all'interpretazione sistematica delle clausole, l'interpretazione data dal giudice di merito ad una clausola di un contratto di conto corrente bancario, stipulato tra le parti in data anteriore al 22 aprile 2000, e secondo la quale la previsione di capitalizzazione annuale degli interessi, pattuita nel primo comma di tale clausola, si riferisce ai soli interessi maturati a credito del correntista, essendo, invece, la capitalizzazione degli interessi a debito prevista nel comma successivo, su base trimestrale, con la conseguenza che, dichiarata la nullità della previsione negoziale di capitalizzazione trimestrale, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall'art. 1283 cod. civ. il quale osterebbe anche ad un'eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale , gli interessi a debito del correntista devono essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione. OBBLIGAZIONI IN GENERE - OBBLIGAZIONI PECUNIARIE - INTERESSI - ANATOCISMO Contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente - Clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici - Nullità - Azione di ripetizione dell'indebito - Versamenti eseguiti dal correntista in pendenza di rapporto e aventi mera funzione di repristinatoria della provvista - Prescrizione decennale - Decorrenza dalla chiusura del rapporto - Fondamento. L'azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all'ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre, nell'ipotesi in cui i versamenti abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi illegittimamente addebitati, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati. Infatti, nell'anzidetta ipotesi ciascun versamento non configura un pagamento dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione, giacchè il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell'esecuzione di una prestazione da parte del solvens con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell' accipiens . Sul primo dei due principi, Sez. U, Sentenza n. 21095 del 2004 In tema di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi di conto corrente bancario passivi per il cliente, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell'art. 76, Cost., l'art. 25, comma terzo, D.Lgs. n. 342 del 1999, il quale aveva fatto salva la validità e l'efficacia - fino all'entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 - delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo i principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell'art. 1283, cod.civ., perché basate su un uso negoziale, anziché su un uso normativo, mancando di quest'ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell'ordinamento giuridico opinio juris ac necessitatis . Infatti, va escluso che detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perché non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell'esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l'esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poiché, diversamente, si determinerebbe la consolidazione 'medio tempore' di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l'avrebbero creata. Sul secondo a Sez. 2, Sentenza n. 7651 del 2005 Qualora con sentenza sia dichiarata la nullità del titolo sulla base del quale è stato effettuato un pagamento, la domanda di restituzione dà luogo a un azione di ripetizione di indebito oggettivo il cui termine di prescrizione inizia a decorrere non dalla data della decisione ma da quella del pagamento effettuato al momento della stipula del contratto dichiarato nullo,atteso che la pronuncia di nullità del negozio, essendo di mero accertamento, ha efficacia retroattiva con caducazione fin dall'origine dell'atto e della modifica della situazione giuridica preesistente, e ciò non diversamente da quanto accade nell'ipotesi di ripetizione del pagamento effettuato in base a norma successivamente dichiarata incostituzionale. b Sez. 1, Sentenza n. 2262 del 1984 Il momento iniziale del termine di prescrizione decennale per il reclamo delle somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi su un'apertura di credito in conto corrente nella specie, perché calcolati in misura superiore a quella legale senza pattuizione scritta , decorre dalla chiusura definitiva del rapporto, trattandosi di un contratto unitario che dà luogo ad un unico rapporto giuridico, anche se articolato in una pluralità di atti esecutivi, sicché è solo con la chiusura del conto che si stabiliscono definitivamente i crediti e i debiti delle parti tra loro.