RASSEGNA DELLE SEZIONI UNITE CIVILI DELLA CASSAZIONE di Francesco Antonio Genovese

di Francesco Antonio Genovese SEZIONI UNITE SENTENZA 24 NOVEMBRE 2010, N. 23780 ORDINAMENTO GIUDIZIARIO - DISCIPLINA DELLA MAGISTRATURA - PROCEDIMENTO DISCIPLINARE - IN GENERE. Decorrenza del termine per l'azione disciplinare - Notizia del fatto formante oggetto dell'addebito - Estremi - Conoscenza certa di tutti gli elementi dell'illecito - Necessità - Fattispecie. In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrato, il termine di un anno entro il quale deve essere iniziata l'azione disciplinare, ai sensi dell'art. 15 del d.lgs n. 109 del 2006, inizia a decorrere soltanto dalla conoscenza certa di tutti gli elementi dell'illecito e, quindi, dal momento in cui può procedersi ad un'esauriente formulazione del capo di incolpazione. In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto che il termine non andasse computato dall'invio di un esposto al Ministro della Giustizia in cui un cittadino si limitava ad indicare presunti illeciti commessi da un magistrato in via ipotetica, ma dal momento in cui gli illeciti denunciati avevano trovato concretezza e certezza a seguito delle indagini svolte dall'autorità giudiziaria a cui era stato poi inviato il medesimo esposto . Si vedano i seguenti precedenti a Sez. U, Sentenza n. 7947 del 2003 In tema di procedimento disciplinare a carico di magistrato, la notizia del fatto che forma oggetto dell'addebito, che segna la decorrenza del termine per l'azione disciplinare ai sensi dell'art. 59, sesto comma, del d.P.R. 16 settembre 1958, n. 916, va intesa come conoscenza certa di tutti gli elementi costitutivi dell'illecito, non rilevando al suddetto fine l'acquisizione di dati insufficienti ad un'esauriente formulazione dell'incolpazione ed alle corrispondenti esigenze di difesa dell'accusato. Ne deriva che una siffatta conoscenza qualificata non può ritenersi derivante dalla comunicazione ai titolari dell'azione disciplinare dell'avvio di un procedimento penale a carico del magistrato, quando non risulti che dalla medesima emergano tutti gli elementi dell'illecito di natura disciplinare successivamente contestato. Enunciando il principio di cui in massima, le S.U. hanno cassato con rinvio la decisione della Sezione disciplinare del CSM, la quale, nel dichiarare di non doversi procedere perché l'azione non era stata promossa nei termini di legge, non aveva indicato con ragionevole sicurezza la decorrenza del termine per il relativo esercizio, finendo con il gravare il Procuratore generale presso la Corte di cassazione, titolare dell'azione disciplinare, di un dovere di iniziativa al fine di procurarsi notizie più dettagliate sulla vicenda che, nella specie, aveva visto l'instaurarsi di un procedimento penale a carico del magistrato successivamente incolpato . b Sez. U, Sentenza n. 15597 del 2009 Ai fatti commessi in epoca anteriore all'entrata in vigore del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, ma oggetto di procedimento disciplinare successivo al 19 giugno 2006, non è applicabile la disposizione di cui all'art. 59 del d.P.R. 19 giugno 1958, n. 916, che fa decorrere il termine per il promovimento dell'azione disciplinare dalla data di acquisizione della notizia dell'illecito, dovendosi applicare, per effetto dell'art. 32-bis del d.lgs. n. 109 del 2006, la norma più favorevole di cui all'art. 15 del medesimo d.lgs., la quale, ai fini dell'esercizio dell'azione disciplinare, richiede, a differenza della previgente disposizione, che la notizia del fatto sia circostanziata . SEZIONI UNITE SENTENZA 24 NOVEMBRE 2010, N. 23778 ORDINAMENTO GIUDIZIARIO - DISCIPLINA DELLA MAGISTRATURA - PROCEDIMENTO DISCIPLINARE - IN GENERE. Rapporti tra giudizio penale e giudizio disciplinare - Accertamento dei fatti contenuto in sentenza penale passata in giudicato - Efficacia nel giudizio disciplinare - Nuova valutazione dei fatti materiali - Ammissibilità - Limiti - Valutazioni del giudice penale riguardanti la commisurazione della pena - Efficacia vincolante - Esclusione. In tema di rapporti fra procedimento penale e procedimento disciplinare riguardante i magistrati, il giudicato penale non preclude in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, essendo diversi i presupposti delle rispettive responsabilità, fermo restando il solo limite dell'immutabilità dell'accertamento dei fatti nella loro materialità, operato da quest'ultimo, cosicché, se è inibito al giudice disciplinare di ricostruire l'episodio posto a fondamento dell'incolpazione in modo diverso da quello risultante dalla sentenza penale dibattimentale passata in giudicato, sussiste tuttavia piena libertà di valutare i medesimi accadimenti nell'ottica dell'illecito disciplinare. Ne consegue che il giudice disciplinare non è vincolato dalla valutazioni contenute nella sentenza penale relative alla commisurazione della pena, alla concessione delle attenuanti generiche e del beneficio della sospensione condizionale, trattandosi di determinazioni riconducibili a finalità del tutto distinte rispetto a quelle del giudizio disciplinare. ORDINAMENTO GIUDIZIARIO - DISCIPLINA DELLA MAGISTRATURA - SANZIONI. Determinazione della sanzione adeguata - Giudizio di proporzionalità tra il fatto addebitato e la sanzione - Ponderazione in concreto - Necessità - Criteri. In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, ove sia riconosciuta la responsabilità dell'incolpato, la scelta della sanzione da applicare va effettuata, da parte della Sezione disciplinare del CSM, non già in astratto, ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, ed implica un vero e proprio giudizio di proporzionalità tra il fatto addebitato e la sanzione che deve essere erogata a tal fine devono formare oggetto di valutazione la gravità dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, la natura e l'intensità dell'elemento psicologico nel comportamento contestato unitamente ai motivi che l'hanno ispirato e, infine, la personalità dell'incolpato, in relazione, soprattutto, alla sua pregressa attività professionale e agli eventuali precedenti disciplinari. Tale valutazione deve essere particolarmente approfondita qualora la scelta si rivolga alla più grave delle sanzioni previste dall'art. 19 del R.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511 la destituzione , sul presupposto che l'illecito contestato al magistrato sia di tale entità che ogni altra sanzione risulti insufficiente alla tutela di quei valori che la legge intende perseguire - con riferimento a qualsiasi comportamento posto in essere in ufficio o fuori art. 18 R.Lgs. cit. - e che sono costituiti dalla fiducia e dalla considerazione di cui il magistrato deve godere nonché dal prestigio dell'Ordine giudiziario. In ordine al primo dei due principi, in precedenza, Sez. U, Sentenza n. 18451 del 2005 I rapporti fra processo penale e procedimento disciplinare a carico di magistrati sono regolati in via esclusiva dall'art. 29 del r.d.lgs. 31 maggio 1946, n. 511, secondo cui nel procedimento disciplinare fa sempre stato l'accertamento dei fatti che formarono oggetto del giudizio penale, risultanti da sentenza passata in giudicato. Tale regola non contrasta con il disposto dell'art. 653 cod. proc. pen., che disciplina l'efficacia nel giudizio disciplinare della sentenza penale di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso, poiché il giudicato penale non preclude in sede disciplinare una rinnovata valutazione dei fatti accertati dal giudice penale, essendo diversi i presupposti delle rispettive responsabilità, fermo restando il solo limite dell'immutabilità dell'accertamento dei fatti nella loro materialità, così come compiuto dal giudice penale, cosicché, se è inibito al giudice disciplinare di ricostruire l'episodio posto a fondamento dell'incolpazione in modo diverso da quello risultante dalla sentenza penale dibattimentale passata in giudicato, sussiste tuttavia piena libertà di valutare i medesimi accadimenti nell'ottica, indubbiamente più rigorosa, dell'illecito disciplinare. Con riferimento al secondo principio, Sez. U, Sentenza n. 15399 del 2003 In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, ove sia riconosciuta la responsabilità dell'incolpato, la scelta della sanzione da applicare va effettuata, da parte della Sezione disciplinare del CSM, non già in astratto, ma con specifico riferimento a tutte le circostanze del caso concreto, ed implica un vero e proprio giudizio di proporzionalità tra il fatto addebitato e la sanzione che deve essere erogata a tal fine devono formare oggetto di valutazione la gravità dei fatti in rapporto alla loro portata oggettiva, la natura e l'intensità dell'elemento psicologico nel comportamento contestato unitamente ai motivi che l'hanno ispirato e, infine, la personalità dell'incolpato, in relazione, soprattutto, alla sua pregressa attività professionale e agli eventuali precedenti disciplinari. Tale valutazione deve essere particolarmente approfondita qualora la scelta si rivolga alla più grave delle sanzioni previste dall'art. 19 del R.D.Lgs. 31 maggio 1946, n. 511 la destituzione , sul presupposto che l'illecito contestato al magistrato sia di tale entità che ogni altra sanzione risulti insufficiente alla tutela di quei valori che la legge intende perseguire - con riferimento a qualsiasi comportamento posto in essere in ufficio o fuori art. 18 R.Lgs. cit. - e che sono costituiti dalla fiducia e dalla considerazione di cui il magistrato deve godere nonché dal prestigio dell'Ordine giudiziario. SEZIONI UNITE SENTENZA 1° DICEMBRE 2010, N. 24304 ORDINAMENTO GIUDIZIARIO - DISCIPLINA DELLA MAGISTRATURA - PROCEDIMENTO DISCIPLINARE - IMPUGNAZIONI. Cassazione - Cessazione del rapporto di servizio sopravvenuta nelle more del giudizio di cassazione - Conseguenze. La cessazione dell'appartenenza del magistrato all'ordine giudiziario intervenuta nelle more della definizione del ricorso per cassazione, e quindi prima del passaggio in giudicato della sentenza disciplinare di condanna, comporta la cessazione della materia del contendere, per il venir meno dell'interesse alla definizione del processo in capo all'incolpato, nonché la caducazione della sentenza stessa che diviene giuridicamente inesistente, per la carenza di potere disciplinare in capo al Consiglio superiore della magistratura, con la conseguenza che detta sentenza va cassata senza rinvio, ricorrendo un'ipotesi di carenza di potere, riconducibile alla previsione dell'art. 382, comma terzo, ultima parte, cod. proc. civ. In precedenza, sulla efficacia della dell'appartenenza del magistrato all'ordine giudiziario intervenuta nelle more del giudizio di cassazione avente ad oggetto l'impugnazione della decisione disciplinare a Sez. U, Sentenza n. 5806 del 1995 La cessazione dal servizio per collocamento a riposo del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, sopravvenuta prima del passaggio in giudicato della pronunzia irrogativa della sanzione, comporta, con la cessazione del rapporto di servizio del magistrato medesimo, la cessazione della materia del contendere e, quindi, la inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, del ricorso per cassazione proposto contro la decisione del Consiglio Superiore della Magistratura, con esclusione della possibilità di qualsiasi altra pronunzia applicandosi nel procedimento d'impugnazione instaurato con il ricorso predetto le norme processuali civili . b Sez. U, Sentenza n. 7440 del 2005 La cessazione dal servizio, per collocamento a riposo del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, sopravvenuta prima del passaggio in giudicato della pronunzia che applica la sanzione disciplinare, comporta, la cessazione della materia del contendere e, quindi, l'inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, del ricorso per cassazione proposto contro la decisione della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con esclusione della possibilità di qualsiasi altra pronuncia. c Sez. U, Sentenza n. 26811 del 2009 La cessazione dal servizio per collocamento a riposo del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, sopravvenuta nelle more del giudizio di legittimità, e quindi prima del passaggio in giudicato della pronuncia che gli abbia irrogato una sanzione, comporta la cessazione della materia del contendere e, per l'effetto, l'inammissibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del ricorso per cassazione proposto contro la decisione della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura. Nella specie, avendo insistito il magistrato sulla persistenza dell'interesse alla definizione del ricorso, sotto il profilo della permanenza di effetti negativi su una carriera intemerata, conseguente al passaggio in giudicato della decisione disciplinare, la Corte ha chiarito che quest'ultimo non ha luogo nel caso di cessazione dal servizio prima della pronuncia definitiva, in quanto la fine dell'appartenenza all'ordine giudiziario del magistrato determina l'estinzione del procedimento disciplinare, con la conseguente caducazione della sentenza disciplinare che, a sua volta, determina la cessazione della materia del contendere nel giudizio di impugnazione . d Sez. U, Sentenza n. 3245 del 2010 La cessazione dal servizio, per collocamento a riposo del magistrato sottoposto a procedimento disciplinare, sopravvenuta prima del passaggio in giudicato della pronunzia che applica la sanzione disciplinare, comporta la cessazione della materia del contendere e, quindi, l'inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, del ricorso per cassazione proposto contro la sentenza della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, con conseguente caducazione della sentenza stessa.