RASSEGNA DELLA CASSAZIONE CIVILE di Maria Rosaria San Giorgio

di Maria Rosaria San Giorgio SEZIONE PRIMA 10 DICEMBRE 2010, N. 24991 FAMIGLIA - MATRIMONIO - SCIOGLIMENTO - DIVORZIO - OBBLIGHI - VERSO L'ALTRO CONIUGE - ASSEGNO - IN GENERE. Decorrenza - Dal passaggio in giudicato della pronuncia di divorzio - Potere del giudice di disporre la decorrenza dalla data della domanda - Obbligo di adeguata motivazione - Necessità. L'assegno di divorzio, trovando la propria fonte nel nuovo status delle parti, rispetto al quale la pronuncia del giudice ha efficacia costitutiva, decorre dal passaggio in giudicato della statuizione di risoluzione del vincolo coniugale. A tale principio ha introdotto un temperamento l'art. 4, comma decimo, della legge 898/1970, come sostituito dall'art. 8 della legge 74/1987, conferendo al giudice il potere di disporre, in relazione alle circostanze del caso concreto, ed anche in assenza di specifica richiesta, la decorrenza dello stesso assegno dalla data della domanda di divorzio peraltro il giudice, ove si avvalga di tale potere, è tenuto a motivare adeguatamente la propria decisione. Nella specie, il mero generico rinvio ad un orientamento costante della giurisprudenza si è ritenuto non soddisfare l'obbligo di adeguata motivazione. Cass. 18321/07 ha chiarito che Il principio secondo cui il giudice del merito può far decorrere l'assegno di divorzio, ove ne ricorrano le condizioni, dal momento della domanda, ha una portata generale ed è quindi applicabile non solo nell'ipotesi, espressamente prevista, in cui sia pronunciato il divorzio con sentenza non definitiva, ma anche in quella in cui con la stessa decisione sia dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio senza che sia necessaria sul punto un'apposita domanda. SEZIONE PRIMA 13 DICEMBRE 2010, N. 25182 OBBLIGAZIONI IN GENERE - OBBLIGAZIONI PECUNIARIE - INTERESSI - SAGGIO DEGLI INTERESSI. Pattuizione di interessi ultra legali - Illiceità - Esclusione - Limiti - Fattispecie anteriore alla legge 108/1996. In tema di usura, e con riferimento a fattispecie anteriore all'entrata in vigore della legge 108/1996, la pattuizione di interessi ultra legali non è di per sé viziata da nullità, essendo consentito alle parti di determinare un tasso d'interesse diverso e superiore a quello legale, purché ciò avvenga in forma scritta e sussistendo l'illiceità del negozio soltanto nel caso in cui si ravvisino gli estremi del reato di usura. Conseguentemente, può ritenersi l'illiceità del contratto solo se ricorrano un vantaggio usurario, lo stato di bisogno del mutuatario e l'approfittamento di tale stato da parte del mutuante. V., in senso conforme, Cass. 8138/09. SEZIONE PRIMA 16 DICEMBRE 2010, N. 25516 FIDEJUSSIONE - VALIDITÀ. Domanda del fideiussore opponente di nullità od inefficacia della fideiussione - Mancata contestazione circa la validità del contratto concluso dal debitore principale - Esonero di controparte dall'onere della relativa prova - Sussistenza - Dichiarazione d'ufficio della nullità del contratto concluso dal debitore principale - Vizio di ultrapetizione - Configurabilità. Sussiste violazione dell'art. 112 Cpc allorché il giudice, a fronte della domanda di nullità, proposta dal fideiussore opponente, di una clausola del contratto di fideiussione e di inefficacia dello stesso, abbia, invece, rilevato d'ufficio la mancanza di prova circa la forma scritta del contratto di conto corrente concluso dal debitore principale e la conseguente nullità del medesimo, ai sensi dell'art. 1421 cc, posto che, essendo onere del convenuto nel caso di decreto ingiuntivo, dell'opponente quello di prendere posizione sui fatti posti a fondamento della domanda, dal mancato assolvimento di tale onere discende che i fatti non contestati devono ritenersi non controversi e non richiedenti specifiche dimostrazioni. L'art. 167 Cpc, imponendo al convenuto l'onere di prendere posizione sui fatti costitutivi del diritto preteso dalla controparte, considera la non contestazione un comportamento univocamente rilevante ai fini della determinazione dell'oggetto del giudizio, con effetti vincolanti per il giudice, che dovrà astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale e dovrà, perciò, ritenerlo sussistente, in quanto l'atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti. SEZIONE TERZA 9 DICEMBRE 2010, N. 24864 RISARCIMENTO DEL DANNO - PATRIMONIALE E NON PATRIMONIALE DANNI MORALI . Danno biologico - Scomposizione in varie voci di danno - Esclusione - Liquidazione in modo omnicomprensivo - Necessità - Conseguenze. Poiché il danno biologico ha natura non patrimoniale, e dal momento che il danno non patrimoniale ha natura unitaria, è corretto l'operato del giudice di merito che liquidi il risarcimento del danno biologico in una somma omnicomprensiva, posto che le varie voci di danno non patrimoniale elaborate dalla dottrina e dalla giurisprudenza danno estetico, danno esistenziale, danno alla vita di relazione, ecc. non costituiscono pregiudizi autonomamente risarcibili, ma possono venire in considerazione solo in sede di adeguamento del risarcimento al caso specifico, e sempre che il danneggiato abbia allegato e dimostrato che il danno biologico o morale presenti aspetti molteplici e riflessi ulteriori rispetto a quelli tipici. La pronuncia si ispira alla decisione delle Sezioni Unite della Cassazione 26972/08, che aveva chiarito che il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici, con la conseguenza che è inammissibile, perché costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica , come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale. Nello stesso senso v. anche Cass. 4484/10, secondo la quale, In caso di lesioni conseguenti a infortunio stradale, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, rientrando tra i diritti fondamentali della persona, in quanto riguardante il diritto alla salute, spetta a tutte le persone, indipendente dalla cittadinanza italiana, comunitaria ed extracomunitaria e, quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato, spetta alla vittima nella sua più ampia accezione, comprensiva del danno morale, inteso come sofferenza soggettiva causata da reato, del quale il giudice dovrà tener conto nella personalizzazione del danno biologico, non essendo consentita una liquidazione autonoma. Sulla base di tale principio, la Corte, in detta occasione, ha cassato con rinvio la sentenza di merito che, in un caso di gravi lesioni subite da persona extracomunitaria, aveva riconosciuto il danno alla salute, ma non il danno morale. V. anche, sul punto, Cass. 25236/09, che ha applicato i medesimi principi ad una fattispecie in cui un lavoratore - che era stato collocato a riposo nonostante l'assenza dei requisiti contributivi utili per la maturazione del diritto a pensione, a causa di erronee informazioni date dal datore di lavoro e dall'ente previdenziale - aveva chiesto il risarcimento del danno derivatogli, oltre che all'integrità psicofisica, anche alla sua esistenza, modificata per la necessità, dopo sette anni di pensionamento, di riprendere l'attività lavorativa per altri dieci anni, al fine di conseguire il diritto a pensione la Corte ha cassato sul punto la sentenza di merito che aveva riconosciuto il risarcimento del danno da lesione di diritti individuali e relazionali costituzionalmente protetti. SEZIONE TERZA 9 DICEMBRE 2010, N. 24869 COMPETENZA CIVILE - COMPETENZA PER TERRITORIO - ACCORDO DELLE PARTI - IN GENERE. Foro convenzionale per le cause inerenti il contratto - Interpretazione della clausola - Formulazione cumulata di domanda contrattuale ed aquiliana - Competenza del foro convenzionale per ambedue le domande. La clausola con la quale le parti di un contratto demandino ad un foro convenzionale tutte le controversie inerenti il contratto , e non già le sole controversie fondate sul o scaturenti dal contratto, deve essere interpretata nel senso che attraverso essa le parti abbiano inteso derogare alla competenza ordinaria sia per le controversie in cui il contratto sia fonte della pretesa, sia per quelle in cui il contratto sia solo un fatto costitutivo della pretesa, congiunto ad altri. Ne consegue che ove una delle parti invochi contro l'altra tanto la responsabilità aquiliana quanto quella contrattuale, fondandole ambedue sui medesimi fatti materiali, resta devoluta alla competenza del foro convenzionale sia l'azione contrattuale, sia quella extracontrattuale. La pronunzia si discosta, con l'affermazione del principio di cui alla prima massima, dalla precedente Cass. 11122/99, la quale aveva affermato che l'accordo con il quale le parti di un rapporto contrattuale stabiliscono convenzionalmente il foro territorialmente competente a conoscere delle controversie che dovessero insorgere in relazione al contratto non può che riferirsi a cause aventi ad oggetto il rapporto contrattuale stesso, traendone la conseguenza che, ove il petitum, in relazione alla causa petendi, esuli dall'ambito della competenza territoriale convenzionale, come nel caso in cui una delle parti si dolga di atti di concorrenza sleale attribuiti all'altra , atti che si configurano come illeciti, non sussiste alcun collegamento con la clausola di deroga alla competenza territoriale, che, pertanto, non trova applicazione, e ciò a prescindere dall'ampiezza della formula usata al riguardo nell'accordo tra le parti. SEZIONE TERZA 9 DICEMBRE 2010, N. 24869 PROCEDIMENTI CAUTELARI - PROVVEDIMENTI D'URGENZA - PROCEDIMENTO. Competenza - Mancata contestazione in sede cautelare - Conseguenze - Consolidamento della competenza anche ai fini del giudizio di merito - Esclusione. L'omessa rilevazione dell'incompetenza derogabile od inderogabile da parte del giudice o l'omessa proposizione della relativa eccezione ad opera delle parti nel procedimento cautelare ante causam non determina il definitivo consolidamento della competenza in capo all'ufficio adito anche ai fini del successivo giudizio di merito, non operando nel giudizio cautelare il regime delle preclusioni relativo alle eccezioni e al rilievo d'ufficio dell'incompetenza, stabilito dall'art. 38 Cpc, in quanto applicabile esclusivamente al giudizio a cognizione piena. Ne consegue che il giudizio proposto ai sensi degli artt. 669 octies e novies Cpc, all'esito della fase cautelare ante causam, può essere validamente instaurato davanti al giudice competente, ancorché diverso da quello della cautela. Sulla questione di cui alla seconda massima, v., in senso conforme, Cass. 2505/10. SEZIONE TERZA 13 DICEMBRE 2010, N. 25116 IGIENE E SANITÀ PUBBLICA - ATTIVITÀ SOGGETTE A VIGILANZA SANITARIA - IN GENERE. Cosmetici - Pericolosità per la salute - Nozione - Riferimento all'uso normale - Necessità - Conseguenze - Risarcimento del danno - Onere della prova - Dimostrazione che il danno sia derivato dal prodotto in relazione all'uso normale - Necessità. La circostanza che un prodotto cosmetico nella specie, gel abbronzante abbia arrecato danni alla salute dell'utilizzatore non è di per sé sufficiente per ritenere sussistente la responsabilità del produttore, ai sensi del combinato disposto degli artt. 5 Dpr 224/1988 e dell'art. 7 della legge 713/1986 applicabili ratione temporis, essendo oggi la prima di tali norme abrogata dal D.Lgs. 206/2005, e la seconda modificata dall'art. 5 del D.Lgs. 126/1997 il combinato disposto delle norme appena ricordate pone, infatti, a carico del produttore una presunzione di responsabilità a condizione che il danno risulti arrecato dal prodotto in condizioni di impiego normale, per tale intendendosi quello corrispondente alle caratteristiche del prodotto ed alle istruzioni fornite dal produttore. Nell'ipotesi di responsabilità civile da prodotti difettosi, disciplinata dal Dpr 224/1988, il danneggiato deve provare il danno, il rapporto causale con l'uso del prodotto e che questo uso ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative, tali da evidenziare la mancanza della sicurezza che ci si poteva legittimamente attendere, ai sensi dell'art. 5 del Dpr citato, mentre il produttore è tenuto a dimostrare che il difetto non esisteva quando il prodotto è stato messo in circolazione Cass. 20985/07 fattispecie relativa allo svuotamento di una protesi mammaria, avvenuta circa due anni dopo il suo inserimento nel corpo della danneggiata . SEZIONE TERZA 13 DICEMBRE 2010, N. 25117 TRASPORTI - CONTRATTO DI TRASPORTO DIRITTO CIVILE - DI COSE - RESPONSABILITÀ DEL VETTORE - AVARIE E PERDITE. Messa a disposizione delle cose trasportate - Obbligazione del vettore - Deroga convenzionale - Ammissibilità - Contratto di appalto collegato o complementare a quello di trasporto - Configurabilità - Caratteri - Fondamento - Conseguenze. La messa a disposizione prevista dall'articolo 1687 cc è un'operazione inerente al trasporto, consistente nel mettere a terra la cosa trasportata nel luogo di destinazione indicato nel contratto, cui è normalmente obbligato il vettore, che può essere peraltro convenzionalmente posta a carico del destinatario, ovvero costituire oggetto di un contratto d'appalto - collegato o complementare a quello di trasporto - con il quale il vettore si assuma l'obbligo di eseguire le operazioni di scarico della cosa trasportata con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio, particolarmente quando tali operazioni siano talmente complesse da richiedere l'impiego di mezzi straordinari, di cui il vettore normalmente non dispone, da effettuare con personale specializzato. V., in senso conforme, Cass. 11598/05. Cass. 4195710 ha precisato che quando non sia possibile effettuare la consegna delle cose al momento del loro arrivo a destinazione per fatto imputabile al destinatario, il vettore ha l'onere, per liberarsi dal suo persistente obbligo di conservare e custodire la merce, di chiedere istruzioni al mittente, ai sensi dell'art. 1690, primo comma, cc. Nella specie, alla stregua dell'enunciato principio, la Corte, con la citata sentenza, ha rigettato il ricorso della ditta autotrasportatrice che, eseguito il trasporto fino a destinazione, aveva lasciato la merce nei rimorchi di cui la stessa aveva l'esclusiva disponibilità, merce che era stata trafugata da ignoti nell'area di parcheggio, prima che venisse scaricata nel luogo indicato dal destinatario, con la conseguenza che, fino al compimento di tale prestazione, essa si sarebbe dovuta considerare rimasta ancora nella sfera di detenzione e, perciò, di sorveglianza dello stesso vettore . SEZIONE TERZA 13 DICEMBRE 2010, N. 25126 PRESCRIZIONE CIVILE - TERMINE - PRESCRIZIONI BREVI - RISARCIMENTO DEL DANNO - FATTO DANNOSO COSTITUENTE REATO. Azione di risarcimento del danno derivato dalla circolazione stradale - Estinzione del reato per causa diversa dalla prescrizione morte del reo - Termine di prescrizione biennale - Decorrenza - Dalla data di estinzione del reato dalla morte del reo - Sussistenza. In tema di risarcimento del danno derivato dalla circolazione stradale, qualora il fatto illecito sia considerato dalla legge come reato e questo sia estinto per una causa diversa dalla prescrizione nella specie, per morte del reo , il termine di prescrizione è biennale, ai sensi dell'art. 2947 cc, e decorre dalla data in cui il reato si è estinto nella specie, dalla data della morte del reo e non già da quella in cui l'estinzione è stata dichiarata o, a maggior ragione, da quella in cui il danneggiato ha avuto notizia della causa di estinzione. Cass. 24808/05 ha affermato che qualora il fatto illecito sia considerato dalla legge come reato e questo sia estinto per amnistia, il termine di prescrizione, biennale, decorre dalla data di entrata in vigore del decreto concessivo di amnistia e non dal provvedimento del giudice che la dichiara, ancorché trattisi di amnistia rinunciabile. SEZIONE TERZA 13 DICEMBRE 2010, N. 25126 PRESCRIZIONE CIVILE - INTERRUZIONE - ATTI INTERRUTTIVI - IN GENERE. Atto di riassunzione del processo - Efficacia interruttiva come atto giudiziale - Esclusione - Fondamento - Natura di atto di costituzione in mora - Configurabilità - Condizioni e limiti. L'atto di riassunzione del processo, essendo un atto di impulso processuale destinato essenzialmente a riattivare il corso del processo, non ha l'autonoma e distinta efficacia interruttiva della prescrizione attribuita agli atti indicati nei primi due commi dell'art. 2943 cc i suoi effetti, pertanto, restano assorbiti e travolti dalla successiva estinzione del processo che con esso sia tardivamente riassunto, a meno che lo stesso possa essere considerato, ricorrendone gli estremi, come atto di costituzione in mora, a tal fine necessitando, però, la notificazione dell'atto stesso alla parte personalmente od al suo rappresentante sostanziale e non già al suo procuratore ad litem, il cui potere di rappresentanza è circoscritto all'esplicazione delle attività rientranti nella tutela del processuale del diritto controverso. SEZIONE TERZA 13 DICEMBRE 2010, N. 25130 ASSICURAZIONE - VEICOLI CIRCOLAZIONE - ASSICURAZIONE OBBLIGATORIA - OBBLIGO DELL'ASSICURAZIONE - CERTIFICATO DI ASSICURAZIONE. Azione diretta del danneggiato nei confronti dell'assicuratore del responsabile - Sussistenza di un valido rapporto assicurativo - Necessità - Esclusione - Esistenza di un contrassegno autentico - Sufficienza - Contrassegno falsificato o contraffatto - Esonero di responsabilità dell'assicuratore - Configurabilità - Limiti - Assenza di un comportamento colposo dell'assicuratore ingenerante l'affidamento del danneggiato - Necessità. In forza del combinato disposto dell'art. 7 della legge 990/1969 attuale art. 127 del D.Lgs. 209/2005 e dell'art. 1901 cc, il rilascio del contrassegno assicurativo da parte dell'assicuratore della r.c.a. vincola quest'ultimo a risarcire i danni causati dalla circolazione del veicolo, quand'anche il premio assicurativo non sia stato pagato, ovvero il contratto di assicurazione non sia efficace, giacché, nei confronti del danneggiato, quel che rileva, ai fini della promovibilità dell'azione diretta nei confronti dell'assicuratore del responsabile è l'autenticità del contrassegno, non la validità del rapporto assicurativo. Tuttavia, posto che la disciplina del citato art. 7 mira alla tutela dell'affidamento del danneggiato e copre, pertanto, anche l'ipotesi dell'apparenza del diritto, per escludere la responsabilità dell'assicuratore in ipotesi di contrassegno contraffatto o falsificato occorre che questi provi l'insussistenza di un proprio comportamento colposo, tale da ingenerare l'affidamento erroneo del danneggiato stesso. Cass. 16726/09, nell'affermare il medesimo principio di diritto secondo il quale, ai fini della promovibilità dell'azione diretta nei confronti dell'assicuratore del responsabile da parte del danneggiato rileva l'autenticità del contrassegno, e non la validità del rapporto assicurativo, ha precisato che il medesimo principio non trova, invece, applicazione nei rapporti tra l'assicuratore del responsabile e gli altri assicuratori che, risarcita la vittima, intendano agire in regresso o surrogazione nei confronti di quello, poiché rispetto a questi ultimi non sussiste alcuna necessità di tutela di un legittimo affidamento. Pertanto, chi intende agire in regresso o surrogazione nei confronti dell'assicuratore del responsabile, non può limitarsi ad invocare l'esistenza di un contrassegno assicurativo formalmente valido, ma deve provare che al momento del sinistro esisteva una copertura assicurativa valida ed efficace. SEZIONE TERZA 13 DICEMBRE 2010, N. 25132 SPESE GIUDIZIALI CIVILI - CONDANNA ALLE SPESE - SOCCOMBENZA - IN GENERE. Giudizio di risarcimento del danno - Appello proposto dal danneggiante - Accertamento in appello di un concorso di colpa del danneggiato - Conseguenze - Condanna dell'appellante alla rifusione sia pure in parte, delle spese - Ammissibilità - Esclusione. In tema di spese processuali, è vittoriosa la parte che, dopo essere stata condannata in primo grado al risarcimento integrale del danno da fatto illecito, ottenga in appello il riconoscimento di un concorso di colpa, a carico del danneggiato ne consegue che, in tal caso, il giudice del gravame non può, neppure in parte, condannare l'appellante a rimborsare le spese del secondo grado all'appellato, il quale ha dato causa al prolungarsi del processo, opponendo all'impugnazione una resistenza rivelatasi ingiustificata, ma può, eventualmente, compensare, in tutto o in parte, tali spese, qualora ne ravvisi i giusti motivi. L'individuazione del soccombente si compie in base al principio di causalità, con la conseguenza che parte obbligata a rimborsare alle altre le spese anticipate nel processo è quella che, col comportamento tenuto fuori del processo stesso, ovvero col darvi inizio o resistervi in forme e con argomenti non rispondenti al diritto, abbia dato causa al processo o al suo protrarsi Cass. 25141/06 . Il giudice di appello, allorché riforma in tutto o in parte la sentenza impugnata, deve procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronuncia di merito adottata, dato che l'onere di esse va attribuito e ripartito tenendo presente l'esito complessivo della lite Cass., 7846/06 . SEZIONE TERZA 16 DICEMBRE 2010, N. 25439 ESECUZIONE FORZATA - ESTINZIONE DEL PROCESSO - RINUNCIA. Riparto delle spese - Criteri - Mancanza di espresso accordo delle parti - Liquidazione delle spese in favore del creditore rinunciante - Ammissibilità - Esclusione - Fattispecie. La disposizione dell'ultimo comma dell'art. 306 Cpc, a norma della quale, se non vi è un diverso accordo, la parte che ha rinunciato agli atti del processo deve rimborsare le spese alle altre parti, è applicabile, in virtù dell'espresso richiamo dell'art. 629 Cpc, anche nel processo esecutivo. In applicazione del principio riportato nella massima, la Corte ha cassato senza rinvio il provvedimento col quale il giudice dell'esecuzione, nel dichiarare estinto il processo, aveva liquidato le spese in favore del creditore rinunciante. In proposito, Cass. 4849/09 ha chiarito che l'ordinanza con cui, a seguito della rinunzia agli atti ed alla conseguente estinzione del processo esecutivo, il giudice dell'esecuzione, nel liquidare le spese ai sensi del combinato disposto degli articoli 306 e 629 Cpc si limiti, in mancanza di diverso accordo tra le parti, a porre le stesse a carico del creditore rinunciante, non incorre nel vizio del difetto di assoluto di motivazione, trattandosi di determinazione rispetto alla quale non sussiste alcun potere discrezionale del giudice.