NOVITA’ FISCALI TRA SENTENZE E PRASSI

Rapporti Fisco-contribuenti sempre più tesi, come dimostra l’attualità. A maggior ragione se l’atto impositivo è illegittimo. In questo caso, però – e così apriamo le ‘novità’ di questo week-end –, è a carico del contribuente – afferma la Cassazione – la dimostrazione che il ritardo dell’ufficio nell’annullamento dell’atto gli abbia provocato un pregiudizio. Rimanendo in piazza Cavour, riportiamo ulteriori spunti di riflessione arrivati da pronunciamenti della Suprema Corte placet per l’accertamento basato sull’acquisto di quote sociali confisca possibile per le quote della società con sede in un ‘paradiso fiscale’ cartelle pre giugno 2008 valide anche senza firma del responsabile sanzioni disapplicabili se il contribuente dimostra la confusione delle norme soci danneggiati e accuse all’amministratore. Fronte altrettanto interessante è quello delle Commissioni tributarie territoriali. Anche in questo caso è ampio il range delle tematiche in ballo competenza del giudice tributario per la disapplicazione di una norma antielusiva contratto simulato e annullabilità dell’accertamento disconoscimento dei costi antieconomici tassazione per il finanziamento ‘anomalo’. Per chiudere, infine, spazio all’Agenzia delle Entrate, con una risoluzione che ‘limita’ il cosiddetto ‘realizzo controllato’ solo alle plusvalenze. Realizzo controllato solo per le plusvalenze Ris. Ag. Entrate n. 38/E del 20 aprile 2012 Il c.d. realizzo controllato” di cui all’art. 177 del TUIR è applicabile solo alle plusvalenze. Nessuna deroga al valore normale, invece, per le minusvalenze. In risposta ad un interpello, l’Agenzia ha così precisato che non essendovi un esplicito riferimento alla determinazione della minusvalenza in tal senso, né nella norma in cui si fa riferimento alla determinazione del reddito del conferente” , né, tantomeno, nella suddetta relazione illustrativa nella quale viene meglio chiarito il concetto di reddito”, già esistente nella precedente versione della norma, specificando che il meccanismo basato sulla differenza tra il valore iscritto dalla conferitaria” e l’ultimo valore fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote” si applica unicamente per la determinazione della plusvalenza” in capo al soggetto conferente , si evince che per essa la deroga non operi. In assenza di una espressa previsione normativa, è lecito rifarsi, pertanto, al principio generale sopra esposto valore normale” e ritenere realizzate e fiscalmente riconosciute solo quelle minusvalenze determinate ai sensi dell’articolo 9 del TUIR ”. Nessun sequestro per il denaro Cassazione n. 15513 del 23 aprile 2012 I soldi sono beni fungibili e possono essere sequestrati solo se direttamente correlati con l’attività criminale. Non è possibile quindi effettuare alcun sequestro probatorio nei confronti dell’imprenditore su cui pende un’accusa di dichiarazione fraudolenta e falsa fatturazione. Per la Cassazione, in particolare, In ordine alla somma di denaro sequestrata, a parte il fatto che è difficilmente sostenibile che essa potesse ricomprendersi in quanto indicato nel provvedimento di sequestro del P.M., non vi è alcun elemento non viene neppure ipotizzato che si trattasse di corpo di reato o di cosa, comunque, pertinente al reato. Come ha ricordato anche il ricorrente, secondo la giurisprudenza di questa Corte, una somma di denaro può essere considerata corpo del reato, ai sensi dell’art. 253 cod. procomma pen., solo ove sia proprio quella acquisita attraverso l’attività criminosa cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 25871 dell’8.5.2003 Cass. sez. 5 n. 30328 del 22.6.2004 Cass. sez. 5 n. 41210 . Più specificamente si è ritenuto che le provviste di denaro esistenti su conti correnti non costituiscono corpo di reato ai sensi dell’art. 253 cod. procomma pen., in relazione agli illeciti fiscali ipotizzati nella specie omessa annotazione di corrispettivi ai fini IVA ed emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti , sicché il sequestro di esse è illegittimo” Cass. pen. sez. 3 n. 588 del 7.2.1996 tali provviste, infatti, non possono essere considerate provento del reato, cioè il quantum di imposta versata all’erario” Cass. pen. sez. 3 n. 3131 del 2.10.1997 . Sotto il profilo, poi, delle esigenze probatorie si è, comunque, escluso che una somma di denaro, pur qualificata come corpo del reato fattispecie in tema di traffico di stupefacenti possa essere sottoposta a sequestro probatorio in quanto la prova del reato non discende dalla res sequestrata, ma dagli atti di indagine circa il suo rinvenimento” cfr. Cass. pen. sez. 6 n. 19771 del 9.4.2009 infatti, come si legge in motivazione, la provenienza illecita del denaro non ha alcuna valenza dimostrativa del reato stesso. In tale fattispecie il denaro poteva essere sequestrato ai sensi dell’art. 321 comma 2 c.p.p.” ”. Pregiudizio per ritardo dell’ufficio? Sì, ma da provare Cassazione n. 6283 del 20 aprile 2012 Onere a carico del contribuente dimostrare che il ritardo dell’ufficio nell’annullamento di un atto impositivo illegittimo ha cagionato un pregiudizio nei proprio confronti. La Cassazione ha rigettato il ricorso del contribuente che richiedeva, nonostante la sentenza avversa del Tribunale, il riconoscimento dei danni subiti sul fronte esistenziale e delle spese sostenute per il professionista che aveva dovuto assisterlo nella causa. Ma i giudici della Suprema Corte la pensano in modo differente. In particolare, si legge nelle motivazioni, La questione che ha originato il ricorso è già stata ripetutamente indagata da questa Corte, il cui orientamento è ormai consolidato nel ritenere confronta, per tutte, Cass. Sez. III, n. 5120 del 2011 che l’attività della P.A., anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti della legge e dal principio primario del neminem laedere”, di cui all’art. 2043 c.c. è, pertanto, consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato, da parte della stessa P.A., un comportamento doloso o colposo, che, in violazione della norma e del principio indicati abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo. Infatti, stanti i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione di cui all’art. 97 Cost., la P.A. è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall’art. 2043 c.c., ponendosi tali principi come limiti esterni alla sua attività discrezionale. Orbene, la sentenza impugnata è conforme a tale orientamento, atteso che il Tribunale ha testualmente affermato che nel semplice fatto di avere richiesto un tributo non dovuto dal contribuente la responsabilità non è in re ipsa, deve accertarsi se l’Agenzia delle entrate non si è attenuta ai criteri di imparzialità, correttezza e buona amministrazione”. Merita, tuttavia, di essere corretta l’affermazione del Tribunale circa il carattere facoltativo dello sgravio in sede di autotutela, poiché essa contrasta con il sopra enunciato peraltro riconosciuto anche dalla sentenza impugnata dovere della P.A. di conformarsi alle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione. È evidente che le predette regole impongono alla P.A., una volta informata dell’errore in cui è incorsa, di compiere le necessarie verifiche e poi, accettato l’errore, di annullare il provvedimento riconosciuto illegittimo o, comunque, errato. Non vi è, dunque, spazio alla mera discrezionalità poiché essa verrebbe necessariamente a sconfinare nell’arbitrio, in palese contrasto con l’imparzialità, correttezza e buona amministrazione che sempre debbono informare l’attività dei funzionari pubblici. Questo principio vale anche allorché il contribuente - compiendo una scelta di strategia difensiva il cui esito eventualmente negativo non può che imputare a se stesso - abbia lasciato scadere il termine utile per impugnare il provvedimento avanti alla Commissione Tributaria, giudice competente ad accertarne l’illegittimità e, quindi, sia stato costretto ad affidarsi all’autotutela della P.A. L’errore in cui è incorso il Tribunale non comporta l’annullamento della sentenza, ma soltanto la correzione della sua motivazione, in quanto in concreto l’Agenzia delle Entrate ha emesso il provvedimento di sgravio ”. Richiesta di rimborso oltre il termine Cassazione n. 6253 del 20 aprile 2012 Ampi spazi concessi al contribuente per la presentazione dell’istanza di rimborso delle imposte versate che può avvenire anche oltre il termine di presentazione della dichiarazione del periodo successivo. A confermarlo la Cassazione nella sentenza in cui trova conferma il principio di diritto già da questa Corte affermato con specifico riferimento all’Irap v. Cass. n. 14932/2011 , vale a dire che il contribuente, in base all’art. 2, co. 8-bis, del d.p.r. n. 322/1998, è titolare della generale facoltà di emendare i propri errori mediante apposita dichiarazione integrativa, la quale, peraltro, agli effetti dei termini di decadenza e stante la mancanza di modifiche allo specifico e autonomo regime delle restituzioni, non interferisce sull’effettivo esercizio del diritto al rimborso sicché l’istanza di rimborso può essere proposta anche oltre il termine di presentazione della dichiarazione del periodo d’imposta successivo ”. Ok all’accertamento basato sull’acquisto di quote sociali Cassazione n. 6222 del 20 aprile 2012 Rigettando i controricorsi presentati dai contribuenti, ed avversi gli avvisi di accertamento per maggior reddito relativo al 1996 ai fini Irpef, Ilor ed accessori, la Cassazione ha stabilito che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’art. 38, quarto comma del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 - nel vigore del testo originario - consente all’ufficio di determinare sinteticamente un imponibile maggiore rispetto a quello ricavabile dalla valutazione analitica, in presenza di fatti che, provando un certo ammontare di spesa, presuppongono la disponibilità di un corrispondente reddito. Al fine indicato, pertanto, può essere utilizzata anche la titolarità di azioni societarie, ove essa evidenzi, in relazione agli esborsi necessari agli acquisti, un previo accumulo di redditi superiori a quelli analiticamente determinabili V. pure Cass. sentenze n. 16284 del 23/07/2007, n. 5599 del 11/05/1992 . Peraltro va pure rilevato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, gli elementi e le circostanze di fatto utilizzati per l’accertamento sintetico di cui all’art. 38, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre n. 600, non debbono necessariamente riferirsi all’anno in contestazione, ma possono essere accaduti in anni diversi, allorché si riflettano sul periodo fiscale interessato, traducendosi in ulteriori ed autonomi indici contributivi Cfr. anche Cass. sentenze n. 10371 del 01/07/2003, n. 9099 del 2002 ”. Soci danneggiati. Per l’amministratore l’accusa è di false comunicazioni sociali Cassazione n. 14759 del 17 aprile 2012 La Cassazione punisce con maggiore severità chi, nella fattispecie l’amministratore delegato di un noto istituto di credito, danneggia non solo l’azienda ma anche i soci attraverso distorte rappresentazioni della situazione finanziaria. È una lunga sentenza quella della Suprema Corte in cui, nel passaggio centrale, viene stabilito che se l’attribuzione al della penale responsabilità ex art. 2622 cod. civ. fosse dipesa esclusivamente dalla affermata ascrivibilità delle conseguenze dannose riversatesi sulla società, la sentenza di condanna non potrebbe sfuggire ad annullamento per violazione dell’art. 521, comma 2, cod. procomma pen. così invece non è, in quanto la configurabilità del reato è stata ravvisata dalla Corte di merito anche in considerazione del danno patrimoniale risentito dai soci, sul duplice versante del deprezzamento delle azioni e del sopravvenuto - e necessitato - mutamento di destinazione dell’aumento di capitale deliberato in funzione della scalata alla Banca Onde, l’aver constatato la produzione di effetti pregiudizievoli anche per la società, ha costituito nulla più che l’accertamento di un quid pluris, non influente sul giudizio di sussistenza del reato, ma legittimamente valutabile nell’ambito di quel complessivo apprezzamento della gravità del fatto che, ai sensi dell’art. 133 cod. pen., deve concorrere con gli altri criteri alla modulazione della pena ”. Ne consegue che L’illecito di cui all’art. 2622 cod. civ. è un reato proprio dell’amministratore, direttore generale, sindaco o liquidatore, che, nell’assetto conseguito all’entrata in vigore dell’art. 1 d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, si caratterizza per essere costituito, sul versante oggettivo, da una condotta di falsa esposizione di fatti materiali - ancorché oggetto di valutazioni - nelle comunicazioni sociali, ovvero dall’omissione di informazioni la cui comunicazione è dovuta per legge si richiede, altresì, che tale condotta sia idonea a indurre in errore i destinatari sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società o del gruppo al quale essa appartiene e che ne derivi un danno patrimoniale alla società, ai soci o ai creditori. Sul versante soggettivo deve concorrere col dolo generico, afferente la coscienza e volontà dell’azione - od omissione - illecita e dell’evento dannoso, anche il dolo specifico sub specie dello scopo di conseguire un ingiusto profitto nonché il dolo intenzionale costituito dall’intento di ingannare i soci o il pubblico ”. Il paradiso” non salva dalla confisca Cassazione n. 11121 del 21 marzo 2012 La società con sede nel paradiso fiscale non salva la confisca delle quote in caso di frode fiscale. E la confisca si applica anche nel caso in cui il soggetto evasore non sia il titolare bensì ne abbia solo la disponibilità quale risultato di incroci societari e scatole cinesi”. Per la Cassazione Il sequestro preventivo del quale era stata domandata revoca si inscrive nella regolazione dell’art, 322 ter cp. in combinato con l’art. 321 cpp. La confisca per equivalente è certamente sganciata dalla esistenza di un titolo di proprietà dell’imputato sui beni destinati alla confisca e dunque la indicazione di elementi sintomatici utilizzati dal provvedimento impugnato per individuare la relazione di fatto disponibilità esistente tra imputati e beni assoggettati a sequestro preventivo in funzione di confisca per equivalente, è indicazione adeguata, coerente ai fatti e agli indici selettivamente indicati, e utilizza congrua misura di ragionevolezza nell’impiego di criteri di interpretazione e qualificazione dei fatti ritualmente acquisiti al processo. Il titolo di proprietà è titolo formale al di là del quale opera la misura specifica del sequestro preventivo per equivalente funzionale alla confisca. La disponibilità del bene individua una situazione di fatto che è considerata dalla legge come condizione adeguata per l’applicazione del provvedimento che non tollera intralci di schermi formali. La coesistenza di una situazione di disponibilità di un bene in capo al soggetto o ai soggetti imputati, e di titolo proprietario in capo a soggetti terzi non imputati, trova nella legge un asse regolativo che privilegia la relazione di fatto rispetto alla relazione meramente cartolare o documentale ”. Revoca delle sanzioni se è provata la confusione delle norme Cassazione n. 4031 del 14 marzo 2012 Sanzioni disapplicabili solo se il contribuente prova la confusione delle norme in materia. Per la Cassazione, in particolare, ha stabilito che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme alle quali la violazione si riferisce, potere conferito dall’art. 8 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, e ribadito, con più generale portata, dall’art. 6. comma 2, del d.lgs. 18 dicembre 1997. n. 472, e quindi dall’art. 10, comma 3. del d.lgs. 27 luglio 2000, n. 212, deve ritenersi sussistente quando la disciplina normativa, della cui applicazione si tratti, si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi di confusione, se esistenti, grava sul contribuente, sicché va escluso che il giudice tributario di merito debba decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, né, per conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto Cass. n. 22890 del 2006 7502 del 2009 . Nel caso di specie questa pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione non è rilevabile nella normativa applicabile ”. Senza Tarsu solo il luogo di culto Cassazione n. 4027 del 14 marzo 2012 Esenzione TARSU per gli istituti ecclesiastici esclusivamente se adibiti al culto in senso stretto”. In piena polemica ICI la Cassazione sferra un altro colpo ai privilegi degli enti religiosi. In particolare, si legge nelle motivazioni della sentenza, L’art. 16 del Trattato lateranense - che non ha subito modificazioni a seguito dell’Accordo di Villa Madama del 1984 con il quale è stata attuata la c.d. revisione concordataria” - stabilisce che l’immobile adibito a sede dell’ X , come gli altri immobili nella stessa norma elencati e adibiti a sedi di istituti pontifici, non sarà mai assoggettato a vincoli o ad espropriazioni per causa di pubblica utilità, se non previo accordo con la Santa Sede, e sarà esente da tributi sia ordinari che straordinari tanto verso lo Stato quanto verso qualsiasi altro ente. Si tratta di una norma programmatica che impegna lo Stato a darvi attuazione. A tanto lo Stato ha provveduto, ad esempio, per quanto riguarda l’imposta sui redditi art. 2, D.P.R. n. 601 del 1973, che dichiara gli immobili in questione esenti dall’imposta locale sui redditi e dall’imposta sui redditi e i relativi incrementi di valore esenti dall’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili , la dichiarazione e l’accertamento catastale art. 6, R.D.L. n. 652 del 1939 e art. 38, D.P.R. n. 1142 del 1949 e l’ICI art. 7, lettera e , D.Lgs. n. 504 del 1992 , non per quanto riguarda la tassa sui rifiuti, con ciò convalidando l’ipotesi che l’esenzione di cui trattasi concerna, ed è ragionevole che concerna, esclusivamente le imposte che gravano sui redditi degli immobili in questione. Peraltro, la tassa sui rifiuti” - nonostante le alterne vicende che l’hanno vista passare da tributo a tariffa e da tariffa a tributo nell’evoluzione normativa che ne ha caratterizzato la disciplina dal D.P.R. n. 507 del 1993, al D.Lgs. n. 22 del 1997, al D.Lgs. n. 152 del 2006 e, infine, all’art. 15 del D.L. n. 201 del 2011 c.d. decreto Salva-Italia”, convertito con legge n. 214 del 2011 - ha avuto sempre, e in particolare a partire dalla disciplina dettata con il c.d. decreto Ronchi”, una valenza specifica di corrispettivo di un servizio legato alla qualità e quantità dei rifiuti prodotti dal soggetto passivo, articolandosi in una quota fissa”, commisurata alle necessità pubbliche di erogazione del servizio, ed in una quota variabile”, commisurata ai rifiuti prodotti ”. Tia. Dalla cassazione una nuova conferma di esclusione dall’Iva Cassazione n. 3756 del 9 marzo 2012 Che sia 1 o 2 la Cassazione non cambia la propria interpretazione e conferma l’esclusione della Tariffa di Igiene Ambientale dall’assoggettamento all’IVA. Infatti, si legge nelle motivazioni, è sufficiente richiamare i principi affermati dalla Corte Costituzionale - in sintesi non è fondata, in riferimento all’art. 102, comma 2, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, nella parte in cui dispone che appartengono alla giurisdizione tributaria le controversie relative alla debenza del canone per lo smaltimento di rifiuti urbani e, quindi, della tariffa di igiene ambientale t.i.a. prevista dall’art. 49 d.lg. 5 febbraio 1997 n. 22 la tariffa di igiene ambientale t.i.a. , infatti, costituisce una mera variante della t.a.r.s.u. disciplinata dal d.P.R. n. 507 del 1993 e successive modificazioni e conserva la qualifica di tributo propria di quest’ultima sent. n. 238/2009 e ord. nn. 300/2009 e 64/2010 e infine accolti dalle sezioni unite di questa Corte a mezzo dell’affermazione che la tariffa di igiene ambientale t.i.a. , disciplinata dall’art. 49 d.lg. n. 22 del 1997, costituisce non già una entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della t.a.r.s.u. disciplinata dal d.P.R. n. 507 del 1993 e conserva la qualifica di tributo, propria di quest’ultima, con la conseguenza che le controversie aventi a oggetto la debenza della t.i.a. hanno natura tributaria e sono da attribuire alla cognizione delle commissioni tributarie senza che ciò si ponga in contrasto con l’art. 102, comma 2, Cost. per tutte sez. un. n. 14903/2010 sez. un. n. 25929/2011 ”. Finché Fisco non vi separi Cassazione n. 3526 del 7 marzo 2012 La responsabilità solidale dei coniugi si estende ben oltre i redditi dichiarati. È questa, in sintesi, la conclusione della Cassazione che nella vicenda ha riconosciuto in capo alla moglie un maggior debito IRPEF accertato, in via induttiva, al marito-imprenditore e relativo alla propria attività imprenditoriale. Infatti, si legge nelle motivazioni, La giurisprudenza di questa Corte è unanime nel ritenere che qualora i coniugi non legalmente ed effettivamente separati presentino, a norma della legge 13 aprile 1977, n. 114, art. 17, su un unico modello la dichiarazione dei redditi di ciascuno di essi”, i relativi accertamenti in rettifica, aventi ad oggetto, perciò, i redditi di ciascuno di essi”, sono effettuati a nome di entrambi i coniugi e notificati” nei confronti del marito, cui è notificata la cartella dei pagamenti dell’imposta sul reddito delle persone fisiche iscritta nei ruoli” per il pagamento dell’imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito”, all’esito del detti accertamenti in rettifica, i coniugi sono responsabili in solido. La responsabilità solidale dei coniugi, pertanto, è riferita ai redditi di ciascuno di essi” come accertati dall’amministrazione finanziaria e successivamente iscritti a ruolo, sicché la responsabilità solidale della moglie si estende alle obbligazioni derivanti dall’accertamento, successivo alla dichiarazione congiunta, di un maggior reddito a carico del marito ”. Cartelle ante giugno 2008. Valide anche senza la firma del responsabile Cassazione n. 3283 del 2 marzo 2012 Nessun obbligo di indicare il responsabile del procedimento per le cartelle emesse anteriormente alla data del 1° giugno 2008. Per la Cassazione, infatti, in tema di atti tributari, l’art. 7, comma 2, lett. a della legge 27 luglio 2000, n. 212, il quale dispone che per qualsiasi atto dell’Amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione - e, quindi, anche per le cartelle esattoriali - si debba tassativamente” indicare il responsabile del procedimento, non comporta, nel caso di omissione di tale indicazione, la nullità dell’atto, non equivalendo la predetta espressione ad una previsione espressa di nullità, come confermato anche dall’art. 36, comma 4-ter, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248, convertito nella legge 28 febbraio 2008, n. 31 - norma ritenuta dalla Corte Costituzionale, con sent. n. 58 del 2009, non in contrasto con gli artt. 3, 23, 24, 97 e 111 Cost. - che, nell’introdurre specificamente la sanzione di nullità per le cartelle non indicanti il nome del responsabile del procedimento, fissa la decorrenza di tale disciplina dal 1° giugno 2008, precisando, con portata interpretativa, che la mancata indicazione dei responsabili dei procedimenti nelle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati prima di tale data non è causa di nullità delle stesse” Cfr. anche Cass. sent. n. 8613 del 15/04/2011 SS.UU. n. 11722 del 14/05/2010 ”. Niente eccezioni per il rimborso d’ufficio Cassazione n. 3271 del 2 marzo 2012 Solo gli errori materiali commessi dall’Ufficio Finanziario contemplano il rimborso d’ufficio ex art. 41 DPR 620/73. Sono invece esclusi i rimborsi di imposta che derivano da errori materiali del contribuente. Per la Cassazione, in particolare, È senza dubbio da escludere, infatti, che il contribuente possa invocare il diverso termine previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, - che consente all’amministrazione finanziaria di modificare i risultati della dichiarazione, e quindi l’entità del debito di imposta, con la notifica di accertamenti in rettifica o di accertamenti d’ufficio - dal momento che, attesa l’evidenziata diversità di posizione rivestita dal contribuente e dall’amministrazione nel rapporto giuridico di imposta, al primo non si applicano i termini e le modalità stabiliti per l’azione della seconda ”. Ruolo ok anche senza avviso bonario Cassazione n. 3145 del 29 febbraio 2012 Invito bonario non necessario prima dell’iscrizione a ruolo quando si tratta di mancato pagamento dell’IVA regolarmente dichiarata. Per la Cassazione, si legge nella sentenza, In tema di IVA ed in ipotesi di mancato versamento di imposta dichiarata dallo stesso contribuente, sanzionato dalla legge con l’applicazione di una pena pecuniaria pari al cento per cento dell’importo non versato, la previsione del preventivo invito al pagamento, contenuta nell’art. 60, sesto comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 comma introdotto dall’art. 10 del d.l. n. 323 del 1996, convertito in legge n. 425 del 1996 , quale adempimento necessario e prodromico alla iscrizione a ruolo dell’imposta che aveva quale unica funzione quella di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie della realizzata omissione di versamento , è da ritenersi implicitamente caducata, e comunque priva di conseguenze nel caso di sua inosservanza, per effetto dell’art. 13, primo comma, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, che riducendo la sanzione inizialmente prevista dall’art. 44 del citato D.P.R. n. 633 del 1972 dal cento per cento al trenta per cento dell’importo non versato , ha fatto venir meno ogni interesse del contribuente ad un inadempimento dal quale nessun vantaggio egli potrebbe più trarre” Cass. n. 3359/2006, n. 19161/2003, n. 3450/2002, n. 907/2002 ”. Onlus. Perentorio il termine di risposta alla Dre Ctr Roma n. 99 del 15 febbraio 2012 Il termine di 30 giorni per rispondere ai rilievi della DRE è da considerarsi perentorio anche se la norma non lo qualifica espressamente come tale. L’inosservanza di tale termine comporta la cancellazione dall’Anagrafe delle ONLUS e la decadenza dalle correlate agevolazioni fiscali. Questo, in estrema sintesi, il contenuto della sentenza della CTR romana. Disconoscimento di un costo per antieconomicità. Tutto da provare Ctr Campania n. 111/12/11 L’ufficio che disconosce un costo perché giudicato antieconomico deve anche dimostrare quale avrebbe dovuto essere il comportamento corretto da tenere per rispettarne la congruità. I giudici campani ribaltano il giudizio di primo grado e stabiliscono che l’ufficio non può esclusivamente limitarsi a generiche ed astratte conclusioni di mancata economicità. L’onere a suo carico è quindi quello di contestualizzare la spesa nell’insieme delle scelte imprenditoriali complessive e spiegare” quale era il percorso più adeguato per rispettare i canoni di congruità ed economicità. Il mancato contraddittorio annulla” l’accertamento Ctr Puglia n. 9/11/12 Senza l’invito al contribuente a comparire personalmente per fornire notizie e dati rilevanti prima dell’avvio del procedimento di accertamento con adesione, quest’ultimo deve ritenersi illegittimo. Per i giudici della CTR pugliese si tratta di uno specifico obbligo di legge previsto dall’art. 38 comma 6 del DPR 600/73 a cui il Fisco non può derogare. Con queste motivazioni, e contrariamente a quanto precedentemente stabilito dalla CTP, i giudici hanno riconosciuto le ragioni del contribuente. Giudice tributario competente per la disapplicazione di una norma antielusiva Ctr Puglia n. 1/22/2012 del 16 gennaio 2012 Impugnabile di fronte al giudice tributario il diniego di disapplicazione di una norma antielusiva, giudice tributario a cui compete anche la decisione circa la fondatezza della domanda di disapplicazione e del riconoscimento dell’agevolazione richiesta. In particolare, scrivono nella sentenza i giudici pugliesi, il diniego di disapplicazione di una legge antielusiva effettuato ai sensi del comma 8 dell’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 da parte della Direzione Regionale delle Entrate è atto impugnabile, ne consegue che il relativo giudizio instaurato dinanzi al giudice tributario, vertendo in materia di diritti soggettivi e non di meri interessi legittimi, è a cognizione piena e si estende, quindi, al merito della pretesa e non è limitato alla mera illegittimità dell’atto stesso per cui, all’esito, potrà essere emessa una decisione sulla fondatezza della domanda di disapplicazione, con conseguente attribuzione, ove ne ricorrano le condizioni applicative, dell’agevolazione richiesta. A tale proposito, occorre osservare che la legge art. 37-bis, comma 8 D.P.R. n. 600 del 1973 cit. prevede la possibilità di disapplicare le norme antielusive restrittive e gravatorie che comportano il pagamento di maggiori imposte ove il contribuente dimostri che l’operazione dal medesimo prospettata non ha la possibilità di porre in essere un comportamento elusivo ”. Da riprendere a tassazione il finanziamento anomalo” Ctp Milano n. 85/16/2012 Qualora il finanziamento erogato da una società alla propria controllante risulti privo di adeguata giustificazione o mostri anomalie ed incongruenze, allora è da ritenersi legittimo riqualificare l’importo come sopravvenienza attiva ex art. 88 DPR 917/86 ed assoggettarlo ad IRES. Per i giudici della CTP lombarda, che hanno respinto il ricorso della società, non è quindi sufficiente iscrivere tale importo nei crediti a breve termine senza dare poi corso ad un rimborso neppure in modo parziale ovvero non è possibile rinunciare ad ogni corrispettivo dalla controllante, in qualità di beneficiaria. Contratto simulato, accertamento annullato Ctp Alessandria n. 38/1/12 dell’8 marzo 2012 Il contratto simulato, ove provato, non dimostra alcun occultamento di elementi della capacità contributiva. Ne consegue che l’accertamento fondato sugli incrementi patrimoniali deve essere annullato. Alla base della decisione della CTP piemontese un atto di vendita simulato che in realtà era una donazione fatta dal genitore al proprio figlio. Il contribuente ha dimostrato che non vi è stato fra le parti trasferimento di danaro e questo fatto è bastato alla CTP per accogliere il ricorso ed annullare l’avviso di accertamento. Seppur con compensazione delle spese. A cura di d.t.