RASSEGNA TRIBUTARIA DELLA CASSAZIONE di Francesco Antonio Genovese

di Francesco Antonio Genovese SEZIONE QUINTA 11 APRILE 2011, N. 8208 TRIBUTI ERARIALI DIRETTI - IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE I.R.P.E.F. TRIBUTI POSTERIORI ALLA RIFORMA DEL 1972 - BASE IMPONIBILE - DETERMINAZIONE DEI REDDITI E DELLE PERDITE - ONERI DEDUCIBILI. Contributi corrisposti nel 1999 all'INPDAI, a titolo di prosecuzione volontaria per il conseguimento della pensione - Regime di deducibilità ex art. 13 bis, primo comma, lett. f , del TUIR - Applicabilità - Fondamento. In tema di IRPEF, i contributi corrisposti nel 1999 all'INPDAI, a titolo di prosecuzione volontaria per il conseguimento della pensione, non rientrano tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo imponibile, all'epoca previsti all'art. 10, comma primo, del Dpr 917/1986, in quanto non versati in ottemperanza ad un obbligo previsto dalla legge e sono, invece, detraibili dall'imposta lorda nella misura percentuale del 27 per cento, entro l'importo di £ 2.500.000, in applicazione dell'art. 13 bis, primo comma, lettera f , dello stesso Dpr 917/1986, inserito dal Dl 330/1994 convertito in legge 473/1994 . In senso conforme I Sez. 5, Sentenza 1642/2005 in tema di IRPEF, la deducibilità dal reddito complessivo dei contributi previdenziali, e in particolare delle contribuzioni per il ricongiungimento di posizioni previdenziali, prevista dall'art. 10, primo comma, lett. e , del Dpr 917/1986 nel testo anteriore alla modifica apportata dall'art. 13, primo comma, lett. a , n. 1, del D.Lgs. 47/2000 , è limitata ai casi in cui l'obbligo della contribuzione deriva direttamente ed esclusivamente da disposizioni di legge e non è applicabile nelle ipotesi in cui la contribuzione si riconnetta ad una scelta volontaria del lavoratore. Ne consegue che non sono deducibili i contributi versati all' INPDAI per la ricongiunzione di periodi assicurativi ai sensi della legge 29/1979, poiché l'art. 1 di detta legge prevede la mera facoltà del dipendente di richiedere tale ricongiunzione. Va, inoltre, escluso che il citato art. 13, primo comma, lett. a , n. 1, del D.Lgs. 47/2000 - che ha esteso il beneficio della deducibilità alle contribuzioni facoltative - abbia natura interpretativa, e quindi efficacia retroattiva, senza che ciò, d'altra parte, possa dar adito a dubbi di legittimità costituzionale in riferimento all'art. 3 Cost. II Sez. 5, Sentenza 18518/2005 in tema di IRPEF i contributi corrisposti nel 1993 all'INPDAI, a titolo di prosecuzione volontaria per il conseguimento della pensione, non rientrano tra gli oneri deducibili dal reddito complessivo imponibile, all'epoca previsti alla lettera l dell'art. 10, comma primo, del Dpr 917/1986, in quanto non versati in ottemperanza ad un obbligo previsto dalla legge, e sono, invece, detraibili dall'imposta lorda nella misura percentuale del 27 per cento, entro l'importo base di £ 2.500.000, in applicazione dell'art. 13 bis, primo comma, lettera f , dello stesso Dpr 917/1986, inserito dall'art. 3, comma primo, lett. e , del Dl 330/1994 convertito in legge 473/1994 , che al comma settimo dispone l'applicabilità delle disposizioni di cui al nuovo art. 13 bis a partire dal periodo d'imposta in corso alla data dell'8 dicembre 1993. SEZIONE QUINTA 11 APRILE 2011, N. 8168 TRIBUTI IN GENERALE - CONDONO FISCALE. Calcolo dell'importo da versare - Valore della lite - Riferimento all'imposta indicata nell'atto impositivo opposto - Necessità - Conseguenze in tema di controversie sul reddito di partecipazione a società di persone. In tema di condono fiscale, con riferimento alla chiusura delle liti fiscali pendenti prevista dall'art. 16 della legge 289/2002, il valore della lite da assumere come base per il calcolo dell'importo da versare per ottenere la definizione agevolata va individuato nell'importo dell'imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado, ossia l'imposta indicata nell'atto impositivo opposto con il ricorso introduttivo, restando irrilevante, nell'ipotesi in cui si controverta di reddito di partecipazione a società di persone, l'eventuale conciliazione, intervenuta tra la società e l'amministrazione, avente ad oggetto l'Ilor accertata in capo alla società. Il principio, nella sua prima parte, è stato sostanzialmente già posto da Sez. 5, Sentenza 7788/2006 in tema di condono fiscale, con riguardo alla definizione delle liti pendenti regolata dall'art. 16 della legge 289/2002, il valore della lite da assumere a base del calcolo per la definizione, ai sensi del comma 3, lettera c , è rappresentato dall'importo dell'imposta soggetto a contestazione in primo grado, al netto delle eventuali sanzioni collegate al tributo , senza che sia richiesto, per la sussistenza di detto collegamento , che il provvedimento d'irrogazione della sanzione sia fisicamente contiguo a quello di accertamento e liquidazione dell'imposta evasa ipotesi, anzi, positivamente esclusa dalla norma, che dispone di non tener conto neppure delle sanzioni irrogate con separato provvedimento, se sono comunque collegate al tributo . Ne consegue che, quando la pretesa fiscale di una maggiore imposta sia venuta meno per qualsiasi ragione nella specie, per compensazione , la sanzione per infedele dichiarazione non cessa di essere collegata al tributo da cui dipende, e non è dunque passibile di calcolo per l'applicazione del beneficio. SEZIONE QUINTA 11 APRILE 2011, N. 8155 TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1972 - IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO I.V.A. - OGGETTO - PRESTAZIONE DI SERVIZI - ESENZIONI. Servizi di vigilanza - Esenzione prevista dall'art. 10, primo comma, n. 26 del Dpr 633/1972 mod. dall'art. 5 del Dl 953/1982 - Presupposti - Servizi prestati direttamente dalle guardie giurate quali lavoratori autonomi - Necessità - Questione di legittimità costituzionale - Manifesta infondatezza. In tema di IVA, l'esenzione dall'imposta prevista in materia di servizi di vigilanza dall'art. 10, primo comma, n. 26, del Dpr 633/1972, come modificato dall'art. 5 del Dl 953/1982 convertito in legge 53/1983 deve intendersi limitata alle sole prestazioni rese direttamente dalle guardie particolari giurate ai privati ed agli enti, in qualità di lavoratori autonomi, mentre non spetta relativamente alle prestazioni fornite, quand'anche a mezzo di guardie giurate, dagli istituti di vigilanza privata previsti dal Rdl 2144/1936, senza che tale interpretazione della norma contrasti manifestamente con gli artt. 41 e 53 Cost., in quanto il differente e più gravoso trattamento fiscale riservato dall'ordinamento agli istituti di vigilanza, rispetto a quello previsto per lo svolgimento del medesimo servizio da parte delle guardie particolari giurate, si giustifica sotto il profilo della ragionevolezza con la necessaria presenza, nel primo caso, di un'organizzazione di apprezzabile dimensione economica. In tal senso già Sez. 5, Sentenza 1998/2003 dopo le modifiche apportate, alla disciplina di cui all'art. 10, n. 26, del Dpr 633/1972, dall'art. 5 del Dl 953/1982 convertito in legge 53/1983 , l'esenzione dell'IVA in essa prevista in materia di servizi di vigilanza, va intesa come limitata alle prestazioni fornite direttamente dalle guardie giurate ai privati ed agli enti, in qualità di lavoratori autonomi da ciò consegue che essa non spetta invece alle prestazioni fornite - quand'anche a mezzo di guardie giurate - dagli istituti di vigilanza privata previsti dal Rdl 2144/1936 Nell'enunciare il principio indicato, la Corte ha ritenuto ininfluente la sentenza della Corte di Giustizia CEE del 31 maggio 2001, che ha condannato l'Italia per la previsione del necessario possesso della cittadinanza italiana ai fini dello svolgimento dell'attività di guardia particolare giurata . SEZIONE QUINTA 11 APRILE 2011, N. 8145 TRIBUTI IN GENERALE - AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA - IN GENERE. Statuto del contribuente - Fondamento e portata - Rango superiore alla legge ordinaria - Esclusione - Conseguenze - Disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con il suddetto Statuto - Esclusione - Fattispecie. Le norme della legge 212/2000 c.d. Statuto del contribuente , emanate in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. e qualificate espressamente come principi generali dell'ordinamento tributario, sono, in alcuni casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell'Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell'ordinamento, criteri guida per il giudice nell'interpretazione delle norme tributarie anche anteriori , ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse. In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza della Commissione tributaria regionale che aveva disapplicato il Dl 253/2002 con cui erano stati sospesi i crediti di imposta per gli investimenti in aree svantaggiate, previsti dall'art. 8 della legge 388/2000, ritenendolo in contrasto con l'art. 3, comma 2, della legge 212/2000 . La soluzione era già stata adottata da Sez. 5, Ordinanza 8254/2009 le norme della legge 212/2000 c.d. Statuto del contribuente , emanate in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. e qualificate espressamente come principi generali dell'ordinamento tributario, sono, in alcuni casi, idonee a prescrivere specifici obblighi a carico dell'Amministrazione finanziaria e costituiscono, in quanto espressione di principi già immanenti nell'ordinamento, criteri guida per il giudice nell'interpretazione delle norme tributarie anche anteriori , ma non hanno rango superiore alla legge ordinaria conseguentemente, non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse. In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza di merito che aveva disapplicato l'art. 62, comma 1, lett. a della legge 289/2002, ritenendolo contrastante con l'art. 3, comma 2, della legge 212/2000 . SEZIONE QUINTA 11 APRILE 2011, N. 8136 TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI - TRIBUTI ANTERIORI ALLA RIFORMA DEL 1972 - IMPOSTA DI REGISTRO - IN GENERE. Atto di compravendita comprendente più terreni - Qualificazione di alcuni di essi come agricoli - Mancato utilizzo in concreto dei terreni - Irrilevanza - Fondamento - Aliquota del 15% - Applicabilità - Fattispecie. In tema di imposta di registro, deve applicarsi, in base all'art. 23, comma 1, del Dpr 131/1986 secondo cui se una disposizione ha per oggetto più beni o diritti, per i quali sono previste aliquote diverse, si applica l'aliquota più elevata , l'aliquota del 15%, prevista dall'art. 1, comma 2, della tariffa, parte I, Dpr cit., ad un atto di compravendita di alcuni terreni, dei quali almeno una parte abbia destinazione agricola secondo lo strumento urbanistico vigente, senza che rilevi la circostanza che i terreni medesimi siano in concreto incolti in quanto, per determinare se un suolo abbia o meno natura agricola, ai fini dell'imposta di registro, si deve avere riguardo alle previsioni urbanistiche correnti al momento dell'atto, non dovendosi riconoscere significato alcuno all'utilizzazione o all'utilizzabilità concreta del bene stesso. In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza della Commissione tributaria centrale che aveva ritenuto applicabile l'aliquota dell'8%, piuttosto che quella del 15% ritenuta dall'Ufficio, ad un atto di compravendita di più terreni alcuni dei quali destinati ad attività di cava ed altri qualificati come agricoli dal PRG, anche se in concreto non destinati alla coltivazione . Si richiamano a Sez. 5, Sentenza 24568/2005 in tema di imposta di registro e di INVIM, la qualificazione agricola con relativa attribuzione di rendita , non più attuale, di un terreno destinato ad attività industriale estrattiva rende possibile la rettifica del valore dello stesso secondo il valore venale, non coincidendo necessariamente l'attribuzione di rendita con la stima fondiaria, perché un tale errato presupposto interpretativo non tiene conto come ha precisato la Corte costituzionale con sentenza 285/2000 del fatto che l'art. 18 del Rd 1572/1931 esclude comunque le cave dalla stima fondiaria per la determinazione del reddito dominicale, sicché in tali casi le risultanze catastali non corrispondono alla effettiva e giuridica destinazione del terreno, ancorché non sia stata denunciata al catasto la variazione. Pertanto, deve ritenersi inapplicabile l'art. 52, quarto comma, del Dpr 131/1986, il quale esclude dalla disciplina generale della c.d. valutazione automatica tutte le fattispecie che - come i terreni sfruttati come cave - non vi rientrano, a prescindere dalla edificabilità o meno dei terreni stessi. b Sez. 5, Sentenza 20385/2006 in tema di imposta di registro, l'acquirente che sia imprenditore industriale non può godere del beneficio dell'aliquota ridotta dell'otto per cento, ai sensi dell'art. 1 della tariffa, parte prima, allegata al Dpr 131/1986, in relazione all'atto traslativo a titolo oneroso della proprietà di un terreno in parte già adibito ad attività industriale estrattiva e che sia stato inserito nel Piano provinciale delle cave, attuativo della legge regione Lombardia 18/1982, immediatamente efficace e dotato di forza prevalente su ogni contraria previsione urbanistica, dovendosi aver riguardo, in base al principio di effettività, alla situazione di fatto esistente al momento della stipula dell'atto. SEZIONE QUINTA 11 APRILE 2011, N. 8135 TRIBUTI ERARIALI DIRETTI - IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE I.R.P.E.F. TRIBUTI POSTERIORI ALLA RIFORMA DEL 1972 - REDDITI DI IMPRESA - DETERMINAZIONE DEL REDDITO - IN GENERE. Sanzioni antitrust irrogate dalla Commisione UE - Costo deducibile - Configurabilità - Esclusione. In tema di imposte sui redditi, le sanzioni irrogate dalla Commissione UE per avere posto in essere una pratica concordata avente l'effetto di falsare in maniera consistente la concorrenza sul mercato nella specie, mercato sul cemento non sono deducibili, ai sensi dell'art. 75, comma 5, del Dpr 917/1986, dal reddito di impresa, in quanto si tratta di costi non funzionali alla produzione del reddito. Si richiamano, a sostegno della soluzione adottata a Sez. 5, Sentenza 7071/2000 in tema di imposte sui redditi, a mente dell'art. 75, comma quinto, del Dpr 917/1986 un costo può essere ritenuto deducibile dal reddito di impresa solo se ed in quanto risulti funzionale alla produzione del reddito. Pertanto, i costi rappresentati dal pagamento di sanzioni pecuniarie, irrogate per infrazioni alle norme sulla circolazione stradale al rappresentante di una persona giuridica e di cui quest'ultima si sia assunta l'onere quale coobligata al pagamento, devono ritenersi indeducibili, dovendosi escludere senz'altro, in tal caso, il predetto rapporto di correlazione fra costo e reddito prodotto. b Sez. 5, Sentenza 7317/2003 in tema di imposte sui redditi, a mente dell'art. 75, comma quinto, del Dpr 917/1986 un costo può essere ritenuto deducibile dal reddito di impresa solo se ed in quanto risulti funzionale alla produzione del reddito. Pertanto, i costi rappresentati dal pagamento di sanzioni pecuniarie, irrogate per infrazioni alle norme sulla circolazione stradale al rappresentante di una persona giuridica e di cui quest'ultima si sia assunta l'onere quale coobbligata al pagamento, devono ritenersi indeducibili, dovendosi escludere senz'altro, in tal caso, il predetto rapporto di correlazione fra costo e reddito prodotto. c Sez. 5, Sentenza 11766/2009 in tema di imposte sui redditi, e con riferimento alla determinazione del reddito d'impresa, gli interessi passivi moratori, ai sensi degli artt. 63 e 75, comma 5, del Dpr 917/1986 nella versione applicabile ratione temporis , sono deducibili se l'operazione cui accedono, per sua natura, sia rapportabile ai ricavi ne consegue che, in difetto di deducibilità della posta principale nella specie, una somma pagata a titolo di sanzione , gli interessi moratori che ad essa accedono sono indeducibili, a prescindere dal giudizio di inerenza. d Sez. 5, Sentenza 5050/2010 in tema di determinazione del reddito di impresa, non può essere considerata sopravvenienza passiva la sanzione pecuniaria di cui all'art. 15 della legge 287/1990 in materia di tutela della concorrenza e del mercato cosiddetta disciplina antitrust , irrogabile dalla Commissione UE o dall'Autorità Garante della concorrenza, poiché essa, pur determinandosi in misura variabile in relazione al 10% dei ricavi dell'anno precedente, non si ricollega a ricavi o ad altri proventi che abbiano concorso a formare il reddito in precedenti esercizi. SEZIONE QUINTA 11 APRILE 2011, N. 8132 TRIBUTI ERARIALI INDIRETTI RIFORMA TRIBUTARIA DEL 1972 - IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO I.V.A. - DETERMINAZIONE DELL'IMPOSTA - DETRAZIONI. Operazioni soggettivamente inesistenti - Diritto alla detrazione - Condizioni - Onere del contribuente di dimostrare la propria buona fede - Configurabilità. In tema di IVA relativa ad operazioni soggettivamente inesistenti, il committente-cessionario, al quale sia contestata la detrazione dell'IVA, versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente-prestatore, che tuttavia ha emesso la fattura, ha il diritto di detrarre l'imposta soltanto se provi che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un'operazione fraudolenta ed in particolare se dimostri almeno una di queste due circostanze e cioè di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il cedente ed il fatturante in ordine al bene ceduto oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all'attività professionale svolta in occasione dell'operazione contestata, non sia stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all'operazione. In tema di operazioni inesistenti e riparto dell'onere probatorio I Sez. 5, Sentenza 1950/2007 in tema di IVA, nell'ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell'imposta versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente/prestatore, che ha, tuttavia, emesso la fattura, non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell'avvenuta corresponsione di imposta ivi formalmente indicata, ma richiede altresì, a dimostrazione dell'effettiva inerenza dell'operazione all'attività istituzionale dell'impresa, che il committente/cessionario, il quale invochi la detrazione, fornisca, sul proprio stato soggettivo in ordine all'altruità della fatturazione, riscontri precisi, non esaurientisi nella prova dell'avvenuta consegna della merce e del pagamento della stessa nonché dell'IVA riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto al thema probandum , in rapporto alle peculiarità del meccanismo dell'IVA e dei relativi, possibili, abusi. II Sez. 5, Sentenza 5719/2007 in tema di IVA, l'emissione della fattura da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione non è riconducibile alla fattispecie, prevista dall'art. 41, terzo comma, del Dpr 633/1972, dell'emissione di fattura recante indicazioni incomplete o inesatte, né a quella, prevista dall'art. 21, secondo comma, n. 1, del medesimo Dpr, di omissione dell'indicazione dei soggetti tra cui è effettuata l'operazione, ma va qualificata come fatturazione di un'operazione soggettivamente inesistente, per la quale dev'essere versata la relativa imposta, ai sensi dell'art. 21 cit., non essendo consentita la detrazione di fatture emesse da chi non è stato controparte nel rapporto riguardante l'operazione fatturata. III Sez. 5, Sentenza 21953/2007 in tema di accertamento dell'IVA, qualora, l'Amministrazione fornisca validi elementi di prova per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti, è onere del contribuente dimostrare l'effettiva esistenza delle operazioni, tenendo presente, tuttavia, che l'Amministrazione non può limitarsi ad una generale ed apodittica non accettazione della documentazione del contribuente, essendo suo onere quello di indicare specificamente gli elementi, anche indiziari, sui quali si fonda la contestazione ed il giudice di merito deve prendere in considerazione tali elementi, senza limitarsi a dichiarare che essi esistono e sono tali da dimostrare la falsità delle fatture nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza del giudice tributario che, pur in presenza di un provvedimento penale di archiviazione emesso dal P.M., aveva accolto le ragioni dell'Amministrazione - così come risultanti da un processo verbale di constatazione, secondo cui le fatture erano relative ad operazioni inesistenti - senza valutare in alcun modo, nel quadro indiziario complessivo, l'esito favorevole per il contribuente dovuto al provvedimento di archiviazione .