RASSEGNA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SEZ. V KURT comma AUSTRIA 4 LUGLIO 2019, RIC.62903/05 VIOLENZE DOMESTICHE - OMICIDIO DEL FIGLIO - RESPONSABILITÀ DELLO STATO PER LA MANCATA TUTELA. L’Austria non è venuta meno ai suoi doveri di tutela del figlio contro le violenze del padre. La ricorrente è stata vittima di violenze domestiche e denunciò più volte il marito infliggeva anche punizioni corporali ai figli a suo dire per scopi educativi , ma rifiutò anche di testimoniare contro di lui, pur ottenendo un ordine restrittivo. L’uomo fu condannato a 3 mesi di prigione e 3 anni di libertà vigilata, dopo un anno dalla scarcerazione riprese le minacce ed i maltrattamenti della moglie. Con uno stratagemma si recò alla scuola dei figli 8 e 7 anni all’epoca dei fatti e la maestra, non essendo stata informata sulle violenze domestiche, concesse l’incontro durante il quale l’uomo sparò al figlio davanti alla sorellina rimasta indenne. Il cadavere fu ritrovato ore dopo dalla maestra nei sotterranei della scuola. Il padre si suicidò il giorno stesso. La madre promosse un’azione di responsabilità amministrativa contro lo Stato per la mancata protezione, ma invano fu rigettata in ogni grado sostenendo che, in base alle informazioni reperite all’epoca dei fatti, l’uomo non costituiva un pericolo immediato e reale per la sua famiglia. Quando si tratta di tutelare la vita, valore fondamentale della Cedu, gli Stati hanno oneri positivi e negativi devono adottare un quadro normativo ed amministrativo atto a proteggere un individuo dall’altrui condotta criminale ed attuare misure preventive contro questo pericolo. In questi casi si deve però tenere conto dell’imprevedibilità dell’animo umano e non si possono imporre oneri troppo gravosi agli Stati. Nella fattispecie l’Austria ha assolto ai suoi doveri di protezione e cura e non ha violato l’art. 2 Cedu in base alle informazioni in possesso della autorità interne nulla giustificava una misura alternativa domiciliari etc. all’ordine restrittivo imposto al padre. Sul tema Talpis c. Italia nel quotidiano del 2/3/17 ed Opuz c.Turchia del 2009. SEZ. III GORLOV ED ALTRI comma RUSSIA 2 LUGLIO 2019, RICcomma 27057/06, 56443/09 e 25147/14 TUTELA DELLA PRIVACY - DIRITTI DEI DETENUTI - VIDEOSORVEGLIANZA CONTINUA DELLE CELLE. La videosorveglianza permanente dei detenuti è contraria alla Cedu. Un gruppo di detenuti lamentano di essere posti sotto sorveglianza permanente da parte delle guardie penitenziarie essendo inquadrata tutta la cella, ad eccezione dei servizi igienici, lamentano una carenza di privacy posto che tutte le loro attività spogliarsi, vestirsi etc , si svolgono sotto lo sguardo delle guardie. Violato l’art. 8 da solo ed in combinato con l’art. 13 Cedu. La CEDU ritiene che le norme interne sulla videosorveglianza permanente dei detenuti non siano sufficientemente chiare, dettagliate e precise violando il principio di certezza del diritto e non garantendo alcuna tutela ai detenuti contro gli abusi dei pubblici poteri. Infatti il diritto interno e la prassi, anche di legittimità, considerano questa pratica come un elemento essenziale della pena e come un mezzo necessario per garantire il regime carcerario, l’esecuzione da parte dei detenuti delle loro obbligazioni e per preservare la loro sicurezza e quella del personale del penitenziario. Non vi è però alcun equo bilanciamento tra il diritto dei carcerati alla loro privacy ed a far vagliare da un tribunale se questa misura sia proporzionata o meno, sì che, in definitiva i ricorrenti non avevano alcun rimedio interno per tutelare i loro diritti alla riservatezza. Sul tema Benedik v. Slovenia del 24/4/18, Khoroshenko c. Russia [GC ] del 2015 e Cocchiarella c. Italia [ GC] del 2006.