RASSEGNA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA

EU C 2019 301, C-214/18 10 APRILE 2019 PROCEDURE ESECUTIVE – LIQUIDAZIONE DEI DIRITTI DI ESECUZIONE ALL’UFFICIALE GIUDIZIARIO – IVA. Ufficiale giudiziario – Esecuzione forzata – Diritti di esecuzione determinati dalla legge – Prassi amministrativa delle autorità nazionali competenti secondo cui l’importo di tali diritti di esecuzione include l’IVA – Principi di neutralità e di proporzionalità. Le disposizioni della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2013/43/UE, nonché i principi di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto IVA e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una prassi amministrativa delle autorità nazionali competenti, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, secondo cui l’IVA relativa alle prestazioni di servizi fornite da un ufficiale giudiziario nell’ambito di un procedimento di esecuzione forzata è considerata inclusa nei diritti di esecuzione percepiti da quest’ultimo. La fattispecie risolta riguarda la legge interna polacca sui compensi previsti per l’ufficiale giudiziario per la sua attività nell’esecuzione coatta compenso comprensivo di varie voci sopralluoghi, protezione dei beni, assicurazione per responsabilità civile dell’ufficiale, spese di cancelleria etc. , compresa tra quelle economiche soggette all’IVA. I compensi sono infatti liquidati in base a tariffe stabilite dalla legge, già inclusive d’IVA. Nella fattispecie l’ufficiale giudiziario aveva conteggiato l’IVA come una voce a sé, de facto facendola pagare indebitamente due volte al debitore esecutato che l’aveva contestata innanzi al giudice di rinvio. Si rileva che anche in Italia l’ufficiale giudiziario ha diritto ad un compenso accessorio ex articolo 122 d.P.R. n. 1229/59, così come modificato dalla l. n. 162/14 e parametrato al ricavato della vendita od al valore di assegnazione. Sul tema EU C 2017 28, 2015 201 e 733 nella rassegne del 27/1/17 e del 10/4/15. EU C 2019 136, C-135/17 26 FEBBRAIO 2019 CLAUSOLA STANDSTILL - CONTROLLI FISCALI - LIBERA CIRCOLAZIONE DI CAPITALI VERSO STATI TERZI - SUCCESSIONI DI LEGGI. Redditi di una società stabilita in un paese terzo provenienti dalla detenzione di crediti presso una società stabilita in uno Stato membro e loro inclusione nella base imponibile di un soggetto passivo avente la propria residenza fiscale in uno Stato membro – Restrizione alla libera circolazione dei capitali – Giustificazione. La clausola di standstill prevista all’articolo 64 § .1 TFUE dev’essere interpretata nel senso che l’articolo 63 § .1 TFUE lascia impregiudicata l’applicazione di una restrizione ai movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti implicanti investimenti diretti od indiretti, che fosse in vigore, nella sostanza, alla data del 31/12/93 in virtù di una legislazione di uno Stato membro, sebbene l’ambito applicativo di tale restrizione sia stato esteso, dopo tale data, alle partecipazioni non implicanti un investimento diretto. Questo divieto vige anche nel caso in cui la normativa tributaria nazionale, che lo ha originato, sia stata oggetto, dopo il 31/12/93, di una modifica sostanziale a causa dell’adozione di una legge che è entrata in vigore, ma che è stata sostituita, ancor prima di essere stata applicata in pratica, da una normativa identica, nella sostanza, a quella applicabile al 31/12/93, a meno che l’applicabilità di tale legge sia stata differita in base al diritto nazionale, in modo tale che, nonostante la sua entrata in vigore, quest’ultima non sia stata applicabile ai movimenti transfrontalieri di capitali di cui all’articolo 64 § .1 TFUE, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare. Infine L’articolo 63 § .1 TFUE non osta ad una normativa di uno Stato membro ai sensi della quale i redditi realizzati da una società stabilita in un paese terzo, non derivanti da un’attività propria di tale società, quali quelli qualificati come redditi intermedi da investimento di capitale , in base a questa legge interna, sono inclusi, proporzionalmente alla partecipazione detenuta, nella base imponibile di un soggetto passivo residente in detto Stato membro, qualora tale soggetto passivo detenga una partecipazione pari almeno all’1% in detta società e qualora i redditi stessi siano sottoposti, in detto paese terzo, ad un livello di imposizione inferiore a quello esistente nello Stato membro interessato, salvo che esista un quadro giuridico che preveda, segnatamente, obblighi convenzionali tali da consentire alle autorità tributarie nazionali dello Stato membro in parola di controllare, se del caso, la veridicità delle informazioni relative a questa stessa società, fornite allo scopo di dimostrare che la partecipazione del citato soggetto passivo in quest’ultima non deriva da un’operazione di carattere artificioso. I principi su cui si fonda questa massima sono già stati codificati dalle EU C 2016 896, 2007 804 e 2006 544.