RASSEGNA DELLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO

SEZ. IV KERESELIDZE comma GEORGIA 28 MARZO 2019, RIcomma 39718/09 EQUO PROCESSO PENALE - CALCOLO DELLA RECIDIVA - DIRITTO ALLA LIBERTÀ. Vietato impedire la difesa del reo, anche se la sua condanna è lecita. Il ricorrente, mentre scontava una pena di 20 anni per un duplice omicidio aggravato, nel marzo 2002 cercò di evadere, perciò nell’aprile 2016 fu condannato ad un’ulteriore pena di 13 anni e mezzo. Si lamenta dei criteri di calcolo della data d’inizio della pena cumulativa una Corte stabilì che il termine decorresse dalla data di commissione del secondo reato ed un’altra da quella della seconda condanna. Inutili i ricorsi e le richieste di rettifica malgrado questo cambio del dies a quo abbia avuto sostanziale impatto sulla durata effettiva della pena, come ricalcolata, non ha avuto la possibilità di presentare osservazioni scritte ed/od orali relative alla procedura di rettifica. Tutto ciò ha portato ad una deroga dell’art. 6 § .1 gli errori nell’esegesi dell’ambigua prassi interna e la scelta di far decorrere la recidiva dalla seconda condanna hanno influito pesantemente sulla durata complessiva della sua pena, ma la procedura di rettifica, come detto, è fortemente limitativa dei diritti di difesa del ricorrente, privandolo, de facto, di un rimedio effettivo. Non vi è stata, però, alcuna violazione del suo diritto alla libertà ed alla sicurezza personale art. 5 § .1 , poiché le condanne per omicidio e per recidiva avevano una base legale questi istituti e reati erano disciplinati dal codice penale ed erano state emesse al termine di un processo. La violazione della libertà, infatti, può avvenire sulla base di una condanna definitiva emessa da un competente tribunale, per tutelare l’interessato da arbitri e da casi di flagrante denegata giustizia non è compito della CEDU, ai sensi di questa norma, valutare, perciò, se la sentenza di condanna era conforme o meno ai dettami dell’art. 6. Si precisi che per flagrante negazione della giustizia si intende una violazione dell’equo processo tale da annullare e/o distruggere l’essenza stessa del diritto garantito dall’art. 6 Cedu, non ravvisabile, però, nella fattispecie. Sul tema Hammerton c. Regno Unito, Dvorski c. Croazia [GC] nelle rassegne del 18/3/16 e 23/10/15 e Nurmagomedov c. Russia del 7/6/07. SEZ. III VALYUZHENICH comma RUSSIA 26 MARZO 2019, RIcomma 10597/13 EQUO PROCESSO PENALE - UDIENZE CHIUSO IN GABBIA – DIVIETO DI TRATTAMENTI DEGRADANTI. È un’umiliazione degradante rinchiudere l’imputato in gabbia durante le udienze. Il ricorrente lamenta che durante il processo per traffico di stupefacenti fu collocato in una gabbia metallica e che non gli fu possibile prendere appunti né parlare col suo legale, senza l’autorizzazione del giudice ed alla presenza di guardie, sì che a suo avviso è stato violato il principio di presunzione d’innocenza. Violato l’art. 3 che assorbe anche le deroghe agli artt. 6 e 13 Cedu mettere il ricorrente in gabbie di metallo durante le udienze dei suoi processi penali o durante la sua detenzione preventiva consentendogli di parteciparvi in videoconferenza è assolutamente incompatibile con gli standard di un comportamento civilizzato che denota una società democratica , come evidenziato dalla costante prassi della CEDU sul punto. L’imputato è stato esposto come una bestia alla gogna sì che è un trattamento inumano e degradante ai sensi dell’art. 3 Cedu, ingenerando un sentimento d’inferiorità e diminuendone la concentrazione e la capacità di replicare alle accuse, violando anche il principio di presunzione di innocenza agli occhi dell’osservatore medio chi è in gabbia è un pericoloso criminale art. 6 Cedu . Non ha alcun reclamo interno per appellarsi contro questa tortura e/o chiedere di essere indennizzato. Sul tema Karachentsev c. Russia del 17/4/18, Pugzylus c. Polonia nella rassegna del 17/6/16 Svinarenko e Slyadnev c. Russia [GC] del 2014.