RASSEGNA DELLA CORTE COSTITUZIONALE

13 AGOSTO 2020, N. 197 CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE TRA POTERI DELLO STATO. Elezioni – elezioni suppletive, amministrative e regionali per l’anno 2020 – estensione del c.d. election day, in sede di conversione del decreto-legge n. 26 del 2020, allo svolgimento del referendum popolare confermativo della legge costituzionale in materia di riduzione del numero dei parlamentari – ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri proposto dal senatore Gregorio De Falco – lamentata menomazione delle prerogative spettanti ai parlamentari nonché estraneità del contenuto della legge di conversione rispetto a quello del decreto-legge – inammissibilità. Il ricorso per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato depositato il 28 luglio 2020 dal senatore Gregorio De Falco, in relazione all’indizione del referendum costituzionale, pur asserendo la violazione di plurimi principi costituzionali inerenti sia il procedimento legislativo sia quello di revisione costituzionale, non chiarisce quali attribuzioni costituzionali del singolo parlamentare siano state in concreto lese nel corso di tali procedimenti e nemmeno enuncia quali siano, in astratto, tali attribuzioni. Per questo insieme di ragioni, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 176 del 2020 affinché il ricorso per conflitto tra poteri dello Stato presentato dal singolo parlamentare risulti ammissibile, è necessario che il ricorrente alleghi una sostanziale negazione o un’evidente menomazione delle proprie funzioni costituzionali. 31 LUGLIO 2020, N. 191 PROCESSO PENALE. Misure cautelari – criteri di scelta – custodia cautelare in carcere – presunzione assoluta di adeguatezza in relazione a specifici delitti nella specie associazione con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico – possibilità di applicare misure meno afflittive, in relazione a elementi specifici del caso concreto – omessa previsione – denunciata ingiustificata parificazione ai delitti di mafia, violazione dei principi in materia di libertà personale e di funzione della pena – infondatezza. La presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare a carico dei soggetti indagati per reati di terrorismo, disposta dall’art. 275, co. 3, cod. proc. pen., appare sostenuta da una congrua base empirico-fattuale, sì da sottrarsi al giudizio di irragionevolezza. Basti pensare, alle recenti e ben note esperienze di sanguinosi attentati terroristici eseguiti senza alcuna particolare pianificazione ed, anzi, con mezzi di fortuna agevolmente reperibili anche da parte di chi si trovi agli arresti domiciliari. Sull’argomento, cfr. Corte Cost., n. 265/2010 la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere, da un lato, non può essere considerata intrinsecamente ragionevole per la sola gravità astratta del reato, e, dall’altro, non potrebbe rinvenire la sua fonte di legittimazione nell’esigenza di contrastare situazioni causa di allarme sociale. Non è dubitabile, in effetti, che il legislatore possa e debba rendersi interprete dell’acuirsi del sentimento di riprovazione sociale verso determinate forme di criminalità, avvertite dalla generalità dei cittadini come particolarmente odiose e pericolose, quali indiscutibilmente sono quelle considerate. Ma a tale fine deve servirsi degli strumenti appropriati, costituiti dalla comminatoria di pene adeguate, da infliggere all’esito di processi rapidi a chi sia stato riconosciuto responsabile di quei reati non già da una indebita anticipazione di queste prima di un giudizio di colpevolezza. Ciò che rende costituzionalmente inaccettabile la presunzione di adeguatezza della sola custodia cautelare a carico dei soggetti indagati per determinati gravi reati è il suo carattere assoluto, che si risolve in una indiscriminata e totale negazione di rilievo al principio del minore sacrificio necessario, anche quando sussistano specifici elementi da cui desumere, in positivo, la sufficienza di misure diverse e meno rigorose della custodia in carcere. 31 LUGLIO 2020, N. 190 REATI E PENE. Rapina impropria – trattamento sanzionatorio – equiparazione a quello della rapina propria – denunciata violazione dei principi di uguaglianza, di offensività e di proporzionalità della pena – infondatezza. Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di Torino con ordinanza del 9 maggio 2019 r.o. n. 130 del 2019 in ordine alla fattispecie di rapina impropria di cui all’art. 628, co. 2, cod. pen., per il ritenuto contrasto di detta fattispecie incriminatrice con i principi di uguaglianza, offensività e proporzionalità della pena. Sull’argomento, cfr. Cass. Pen., n. 39131/2016 con riferimento al delitto di rapina impropria, la prossimità cronologica vale a rendere inequivoca l’attinenza al reato delle cose o delle tracce riferibili all’agente, senza che, in proposito, siano necessarie particolari indagini o indicazioni di terzi. In difetto, la condizione di flagranza deve essere esclusa. 30 LUGLIO 2020, N. 182 STRANIERO. Erogazione dell’assegno di natalità e dell’assegno di maternità – requisiti – permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo – denunciata violazione dei principi di eguaglianza e di ragionevolezza, di quelli a tutela della famiglia, della maternità e dell’infanzia, nonché del diritto all’accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali enunciati dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea CDFUE –connessione inscindibile tra i principi costituzionali evocati e la parità di trattamento tra cittadini di paesi terzi e cittadini degli Stati membri in cui soggiornano, garantita dal diritto dell’Unione europea – necessità conseguente di interpretare l’art. 34 CDFUE – rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Occorre chiedere alla Corte di giustizia se l’art. 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea CDFUE , debba essere interpretato nel senso che nel suo àmbito di applicazione rientrino l’assegno di natalità e l’assegno di maternità, in base all’art. 3, paragrafo 1, lettere b e j , del regolamento CE n. 883/2004, richiamato dall’art. 12, paragrafo 1, lettera e , della direttiva 2011/98/UE, e se, pertanto, il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso di non consentire una normativa nazionale che non estende agli stranieri titolari del permesso unico di cui alla medesima direttiva le provvidenze sopra citate, già concesse agli stranieri titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Sull’argomento, cfr. Corte Giustizia dell’UE, 21 giugno 2017, causa C-449/16, Kerly Del Rosario Martinez Silva l’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori, disciplinato dall’art. 65 della legge n. 448/1998, e concesso agli stranieri a condizione che siano titolari di un permesso per soggiornanti UE di lungo periodo, è riconducibile alle prestazioni di sicurezza sociale, perché attribuito in base a criteri obiettivi che prescindono da ogni valutazione individuale o discrezionale delle esigenze personali, e perché costituisce una prestazione in denaro destinata, attraverso un contributo pubblico al bilancio familiare, ad alleviare gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli. 30 LUGLIO 2020, N. 179 PROCESSO PENALE. Casellario giudiziale – certificato a richiesta dell’interessato ex certificato generale – non menzione della sentenza di condanna per uno dei reati di guida sotto l’influenza dell’alcool dichiarato estinto in seguito al positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, nonché dell’ordinanza di estinzione del medesimo reato – omessa previsione – irragionevole disparità di trattamento e violazione del principio della finalità rieducativa della pena – illegittimità costituzionale parziale. Il lavoro di pubblica utilità, disposto quale sanzione sostitutiva per la contravvenzione di cui all’art. 186 cod. strada, come la messa alla prova, comporta per il condannato un percorso che implica lo svolgimento di un’attività in favore della collettività e, dunque, esprime una meritevolezza maggiore – in caso di svolgimento positivo dell’attività – rispetto a quella espressa da chi si limiti a concordare la propria pena con il pubblico ministero, ovvero non si opponga al decreto penale di condanna, beneficiando per ciò stesso della non menzione nei certificati del casellario richiesti dai privati. Pertanto, l’art. 24 del d.P.R. n. 313/2002 c.d. T.U. casellario giudiziale è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede, tanto nella versione antecedente, quanto in quella successiva alle modifiche intervenute ad opera del d.lgs. n. 122/2018, che nel certificato del casellario giudiziale richiesto dall’interessato non siano riportate le iscrizioni della sentenza di condanna per uno dei reati di cui all’art. 186 cod. strada che sia stato dichiarato estinto in seguito al positivo svolgimento del lavoro di pubblica utilità, nonché dell’ordinanza che dichiara l’estinzione del reato medesimo ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada. In senso conforme, cfr. Corte Cost., n. 231/2018 l’omessa previsione della non menzione dei provvedimenti relativi alla messa alla prova nei certificati del casellario richiesti da privati, è lesiva dell’art. 3 Cost., comportando un trattamento deteriore dei soggetti che beneficiano di questi provvedimenti, orientati anche a una finalità deflattiva con correlativi risvolti premiali per l’imputato, rispetto a coloro che – aderendo o non opponendosi ad altri procedimenti, come il patteggiamento o il decreto penale di condanna, ispirati essi pure alla medesima finalità - beneficiano già oggi della non menzione dei relativi provvedimenti nei certificati richiesti da privati.