RASSEGNA DEL CONSIGLIO DI STATO

CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA PLENARIA, SENTENZA 09 LUGLIO 2020, N. 13 CONTRATTI PUBBLICI – AVVALIMENTO – PROGETTISTA Il progettista di cui all’art. 53, comma 3, del d.lgs. n. 163/2006 non può ricorrere all’avvalimento. Con la sentenza in esame l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato chiarisce che il progettista indicato dall’impresa inteso nell’accezione e nella terminologia dell’articolo 53, comma 3, del decreto legislativo n. 163 del 2006 va qualificato come professionista esterno incaricato di redigere il progetto esecutivo. Posta tale qualificazione giuridica, ad avviso della Plenaria il predetto progettista non rientra nella figura del concorrente né tanto meno in quella di operatore economico, nel significato attribuito dalla normativa interna e da quella dell’Unione europea sicché egli non può utilizzare l’istituto dell’avvalimento per la duplice ragione che il suddetto istituto è riservato all’operatore economico in senso tecnico e che l’avvalimento cosiddetto a cascata” era escluso anche nel regime del codice dei contratti pubblici, ora abrogato e sostituito dal d.lgs. n. 50 del 2016, che espressamente lo vieta. L’Alto Consesso giunge alla riferita conclusione all’esito di un articolato percorso argomentativo teso a stabilire se sia legittimo, o meno, che un professionista non offerente” ma solamente indicato” da un’impresa offerente possa avvalersi di altro soggetto in possesso dei requisiti di cui egli sia invece sprovvisto. Al riguardo il Collegio precisa che la posizione giuridica del progettista indicato dall’impresa è quella di un prestatore d’opera professionale, il quale non entra a far parte della struttura societaria che si avvale della sua opera né rientra nella struttura societaria quando essa formula l’offerta tale situazione non muta neppure nel caso di appalto c.d. integrato, nel quale l’oggetto negoziale è unico e non vi è una doppia gara una per la progettazione e l’altra per l’esecuzione dei lavori , poiché il contratto viene sottoscritto unicamente dall’aggiudicatario. Ciò posto, il Consiglio di Stato ritiene che il professionista indicato dall’impresa offerente non rientri nel novero dei soggetti legittimati ad utilizzare l’istituto dell’avvalimento, non essendo riconducibile né alla figura di concorrente né a quella di operatore economico nel senso indicato dalla disciplina dei contratti pubblici v. artt. 49 e 53 del d.lgs. n. 163/2006 . Secondo il Collegio, peraltro, sebbene nel d.lgs. n. 163/2006 non esistesse un divieto espresso di avvalimento a cascata”, la giurisprudenza maggioritaria già propendeva per la non ammissibilità di tale schema contrattuale, ritenendolo in contrasto con l’esigenza di assicurare garanzie idonee alla stazione appaltante in relazione alla corretta esecuzione del contratto. A tanto la Plenaria aggiunge che, in linea con la richiamata tendenza evolutiva, la legge delega 28 gennaio 2016, n. 11, ha dettato uno specifico criterio di delega per l’avvalimento [v. art. 1, comma 1, lett. zz , in attuazione dell’art. 63 della Direttiva 2014/24/UE], sia escludendo la possibilità di fare ricorso al cosiddetto avvalimento a cascata”, sia fissando il divieto che oggetto dell’avvalimento possa essere il possesso della qualificazione dell’esperienza tecnica e professionale necessarie per eseguire le prestazioni da affidare”. Le suddette prescrizioni sono poi confluite nell’art. 89, comma 6, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, il quale vieta espressamente l’avvalimento a cascata”, consentendo invece quello plurimo e frazionato. CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE III, SENTENZA 08 LUGLIO 2020, N. 4372 INTERDITTIVA ANTIMAFIA L’informativa antimafia è un provvedimento a carattere preventivo e anticipatorio. Con la sentenza in rassegna il Consiglio di Stato ricostruisce il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento in materia di interdittiva antimafia. In particolare, il Collegio chiarisce che gli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d.lgs. n. 159 del 2011 disegnano l’informativa antimafia come un provvedimento a carattere preventivo, finalizzato ad attestare la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi gestionali della società od impresa interessata. Attesa la descritta finalità preventiva ed anticipatoria dell’interdittiva antimafia, il Consiglio di Stato perviene alle seguenti quattro conclusioni a i poteri inibitori attribuiti all’Autorità di Pubblica Sicurezza sono esercitabili già in uno stadio preliminare del procedimento penale, anche in presenza di condotte non penalmente rilevanti e persino nell’ipotesi in cui il procedimento penale si sia concluso con un’archiviazione o un’assoluzione b l’impianto motivazionale del provvedimento prefettizio deve rappresentare compiutamente il quadro degli elementi indiziari di permeabilità criminale in base ai quali ‒ secondo il criterio del più probabile che non” ‒ l’Autorità abbia ritenuto attuale e concreto il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata di tipo mafioso all’interno della società od impresa interessata c qualora la motivazione dell’interdittiva sia incentrata sulla valorizzazione dei legami affettivi o parentali intercorrenti tra esponenti della compagine sociale e soggetti affiliati o vicini alle consorterie criminali, la stessa motivazione deve chiaramente evidenziare gli elementi concreti che abbiano indotto il Prefetto a considerare i suddetti legami come una via d’accesso agevolata alla gestione dell’impresa d l’estraneità formale degli organi direttivi della società od impresa a vicende, anche prive di accertato rilievo penale, ma comunque fortemente indizianti ai fini della prevenzione antimafia, non può da sola bastare a ritenere la stessa società od impresa fuori dal giro”, e cioè fuori dal pericoloso circuito attrattivo o condizionante che la criminalità mafiosa costituisce laddove individua possibilità di profitto. In senso conforme Cons. Stato, sez. III, 11 maggio 2020, n. 2962 Cons. Stato, sez. III, 2 maggio 2019, n. 2855 Cons. Stato, sez. III, 27 novembre 2018, n. 6707 Cons. Stato, sez. III, 28 ottobre 2016, n. 4555. CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE III, SENTENZA 07 LUGLIO 2020, N. 4369 OTTEMPERANZA – ESECUZIONE DELLA SENTENZA DEL G.O. Giudicato silente” e ruolo del giudice amministrativo. Nella decisione in esame il Consiglio di Stato si sofferma sull’istituto del giudicato nell’ambito di una controversia riguardante il riconoscimento del diritto al beneficio di cui all’art. 13, comma 8, della l. 257 del 1992 consistente nel ricalcolo della pensione contributiva percepita dal lavoratore che sia stato esposto all’amianto, effettuato moltiplicando un certo coefficiente per ogni anno di lavoro svolto con esposizione all’amianto , già concesso da una sentenza del giudice ordinario. In primo luogo, il Collegio rimarca il principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto sicché esso riguarda non solo le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio ma anche tutte le possibili questioni proponibili in via di azione o eccezione che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia. Ciò posto, la Sezione evidenzia tuttavia che, nella specie, la questione riguardante il superamento del tetto contributivo non può dirsi in rapporto di implicazione necessaria con la res controversa concernente il riconoscimento del beneficio ex art. 13, comma 8, della L. 257 del 1992, in quanto ad essa logicamente succedanea. In senso conforme Cass. civ., sez. lav., 27 febbraio 2020, n. 5419. In secondo luogo, il Collegio focalizza l’attenzione sul modus operandi del giudice amministrativo che sia chiamato a dare esecuzione ad un giudicato silente” emesso da un organo giudicante appartenente ad altro plesso giurisdizionale. In particolare, il Consiglio di Stato chiarisce che, pure in ossequio al criterio di stretta continenza, il giudice dell’ottemperanza deve procedere ad una applicazione del giudicato che sia la più conforme ai principi ordinamentali, poiché solo per questa via non si determina alcuna impropria manipolazione interpretativa del decisum. Il Collegio conclude quindi nel senso che, in sede di ottemperanza, il G.A. deve colmare lo spazio regolativo lasciato vuoto dal giudicato, senza alterarne il contenuto ma integrandolo nella parte mancante attraverso l’applicazione dei principi generali dell’ordinamento v. art. 12 disposizioni preliminari al codice civile . CONSIGLIO DI STATO, SEZIONE III, SENTENZA 03 LUGLIO 2020, N. 4288 ENTI LOCALI – RENDICONTO DI GESTIONE Mancata approvazione del rendiconto di gestione da parte del Consiglio Comunale. Nella decisione in commento il Consiglio di Stato chiarisce che, in caso di mancata approvazione del rendiconto di gestione da parte del Consiglio Comunale nel termine fissato dalla legge, il Prefetto deve esercitare il potere sostitutivo e convocare il Consiglio comunale, inserendo, all’ordine del giorno di un’adunanza da convocare, l’approvazione del rendiconto. A sostegno dell’assunto il Collegio precisa che, secondo il costante orientamento della giurisprudenza, l'art. 141, comma 2, T.U.E.L. applicabile nell’ipotesi di mancata approvazione del rendiconto di gestione in virtù del richiamo contenuto nell’art. 227, comma 2-bis, dello stesso T.U.E.L. deve essere interpretato nel senso di introdurre un termine acceleratorio ciò in quanto può essere qualificato come perentorio solo il termine espressamente indicato come tale da una previsione normativa. In senso conforme Cons. Stato, sez. V, 25 ottobre 2017, n. 49