RASSEGNA TAR di Daniele Giannini

di Daniele Giannini TAR PUGLIA, LECCE, SEZ. II 16 AGOSTO 2011, N. 1492 GIURISDIZIONE. Giurisdizione in materia di affidamento degli appalti pubblici di lavori, servizi, forniture - Sui limiti della giurisdizione esclusiva del G.A. - In materia di contratti pubblici. In materia di contratti pubblici, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle controversie successive alla fase di evidenza pubblica di scelta del contraente che si conclude con l'aggiudicazione definitiva , nonché alle controversie insorte nella fase intercorrente tra detta aggiudicazione e la stipulazione del contratto di appalto. Con la sentenza in rassegna, il Tar di Lecce chiarisce che, in materia di contratti pubblici, sussiste la giurisdizione del giudice ordinario in relazione alle controversie successive alla fase di evidenza pubblica di scelta del contraente che si conclude con l'aggiudicazione definitiva , nonché alle controversie insorte nella fase intercorrente tra detta aggiudicazione e la stipulazione del contratto di appalto. A chiarimento dell'assunto, il Consesso spiega che le controversie sopra segnalate non possano rientrare nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, né in base all'art. 6, primo comma, della Legge 21 Luglio 2000 n° 205, né ai sensi dell'art. 33, secondo comma, del Decreto Legislativo 31 Marzo 1998 n° 80, come sostituito dall'art. 7 della stessa Legge n. 205 del 2000. E infatti dette disposizioni, con terminologia sostanzialmente analoga, riferiscono la giurisdizione esclusiva del G.A. a tutte le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria, ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale , oppure alle controversie aventi ad oggetto le procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti all'applicazione delle norme comunitarie o della normativa nazionale o regionale . Secondo l'interpretazione ormai consolidata in giurisprudenza Cfr. ex plurimis Consiglio di Stato V Sezione, 11 Gennaio 2006 n° 39 , con siffatte formule, il legislatore ha inteso circoscrivere la giurisdizione esclusiva de qua alla fase di evidenza pubblica di scelta del contraente che si conclude con l'aggiudicazione definitiva, escludendo invece la fase successiva, anche quella intercorrente tra detta aggiudicazione e la stipulazione del contratto di appalto nella specie mai perfezionata, nonostante la consegna dei lavori alla Ditta aggiudicataria avvenuta in data 16 Dicembre 2002, non seguita, però, dall'effettivo inizio degli stessi in tale fase rientrano, ad esempio, le controversie inerenti la sussistenza delle condizioni legittimanti l'eventuale recesso dell'aggiudicatario ex art. 109, terzo comma, d.p.r. 21 Dicembre 1999 n° 554 per mancato rispetto del termine prescritto per la stipulazione. Ciò posto, il Collegio evidenzia che la situazione sopra riferita non è sostanzialmente mutata a seguito dell'entrata in vigore in data 16 Settembre 2010 del Codice del Processo Amministrativo, il cui articolo 133, primo comma lett. e punto 1, devolve alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale, ivi incluse quelle risarcitorie e con estensione della giurisdizione esclusiva alla dichiarazione di inefficacia del contratto a seguito di annullamento dell'aggiudicazione ed alle sanzioni alternative . Peraltro, il Tar segnala che tale delimitazione della giurisdizione esclusiva va intesa oggi in modo particolarmente rigoroso, alla luce di quanto precisato dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza 6 Luglio 2004 n. 204, che ha escluso sia sufficiente, nel vigente assetto costituzionale, il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia per poterla devolvere in via esclusiva al Giudice Amministrativo, dovendo essere particolari le materie da attribuire a tale giudice, nel senso che in difetto di specifica previsione legislativa rientrerebbero nella giurisdizione generale di legittimità, siccome caratterizzate dall'esercizio dei poteri autoritativi tipici della Pubblica Amministrazione. TAR LAZIO, ROMA, SEZ. III 15 LUGLIO 2011, N. 6385 ACCESSO AGLI ATTI. L'accesso agli atti di gara - caratteri e limiti. L'impresa che ha partecipato ad una gara di appalto, nel richiedere l'accesso alla documentazione della gara stessa dopo il suo espletamento, non deve necessariamente indicare nell'istanza di accesso le ragioni giuridiche sottese alla sua richiesta, posto che in tale ipotesi l'accesso si giustifica ex se , con il diritto di chi ha partecipato alla gara di conoscere le modalità di svolgimento della procedura e le determinazioni adottate in proposito dalla Pubblica Amministrazione. In materia di accesso, la tutela di cui agli artt. 22 e seguenti della legge n. 241/1990 c.d. accesso esoprocedimentale riconosciuta al soggetto estraneo al procedimento amministrativo esige che il richiedente l'accesso dimostri specificamente la titolarità di un interesse giuridicamente rilevante collegato agli atti di cui chieda l'esibizione viceversa, il soggetto partecipante al procedimento amministrativo null'altro deve dimostrare per legittimare l'istanza ostensiva nei confronti dei relativi atti e documenti c.d. accesso endoprocedimentale se non la veste di parte dello stesso procedimento. La partecipazione agli atti di una procedura competitiva costituisce una implicita rinuncia al diritto alla riservatezza, stante che la documentazione presentata fuoriesce dalla sfera di dominio riservato dell'impresa per porsi sul piano della valutazione comparativa rispetto alle offerte presentate da altri concorrenti. Il diritto all'ostensione documentale nell'ambito delle procedure di gara trova un limite nella sussistenza di situazioni giuridiche ostative all'accesso, aventi valenza specifica e normativamente qualificata alla protezione di particolari beni della vita tutelati da altre norme quali il segreto industriale e/o la scoperta scientifica . Nel dettaglio, sono quattro gli aspetti principali affrontati dal Tar capitolino 1. la necessità che l'impresa partecipante ad una gara di appalto indichi, in seno alla domanda di accesso, le ragioni giuridiche sottese alla sua richiesta 2. la differenza tra l accesso esoprocedimentale e l' accesso endoprocedimentale 3. la tutela del diritto alla riservatezza del terzo in caso di accesso agli atti di gara 4. i limiti del diritto di accesso agli atti di gara. Con riferimento al primo tema, il Tar di Roma spiega che l'impresa che ha partecipato ad una gara di appalto, nel richiedere l'accesso alla documentazione della gara stessa dopo il suo espletamento, non deve necessariamente indicare nell'istanza di accesso le ragioni giuridiche sottese alla sua richiesta, posto che in tale ipotesi l'accesso si giustifica ex se , con il diritto di chi ha partecipato alla gara di conoscere le modalità di svolgimento della procedura e le determinazioni adottate in proposito dalla Pubblica Amministrazione in tal senso Tar Sicilia, Palermo, sez. I, 5 luglio 2006, n. 1576 . In merito al secondo aspetto, si osserva che mentre la più generale tutela di cui agli artt. 22 e seguenti della legge n. 241/1990 c.d. accesso esoprocedimentale riconosciuta al soggetto estraneo al procedimento amministrativo esige che il richiedente l'accesso dimostri specificamente la titolarità di un interesse giuridicamente rilevante collegato agli atti di cui chieda l'esibizione, invece il soggetto partecipante al procedimento amministrativo null'altro deve dimostrare per legittimare l'istanza ostensiva nei confronti dei relativi atti e documenti c.d. accesso endoprocedimentale se non la veste di parte dello stesso procedimento cfr. Cons. Stato, sez. VI, 13 aprile 2006, n. 2068 . Con riguardo al tema della tutela del diritto alla riservatezza del terzo in caso di accesso agli atti di gara, il Consesso chiarisce che la partecipazione agli atti di una procedura competitiva costituisce una implicita rinuncia al diritto alla riservatezza, stante che la documentazione presentata fuoriesce dalla sfera di dominio riservato dell'impresa per porsi sul piano della valutazione comparativa rispetto alle offerte presentate da altri concorrenti. Di conseguenza che la società non aggiudicataria ha interesse ad ottenere l'accesso a quegli atti necessari alle finalità di controllo dei requisiti soggettivi ed oggettivi contemplati nel bando di gara, ivi compresa l'offerta presentata dalla impresa risultata aggiudicataria, senza che possano essere opposti motivi di riservatezza, sia perché, una volta conclusasi la procedura concorsuale, i documenti prodotti dalle ditte partecipanti assumono rilevanza esterna, sia in quanto la documentazione prodotta ai fini della partecipazione ad una gara di appalto indetta dalla Pubblica Amministrazione esce dalla sfera esclusiva delle imprese per formare oggetto di valutazione comparativa, essendo versata in un procedimento caratterizzato dai principi di concorsualità e trasparenza ex multis Consiglio di Stato, sez. VI, 7 giugno 2006, n. 3418 T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 4 aprile 2006, n. 2212 T.A.R. Puglia - Bari, sez. II, 6 marzo 2003, n. 1086 T.A.R. Campania - Napoli, sez. V, 27 marzo 2003, n. 3032 . Tuttavia ? precisa il Tar ? il diritto all'ostensione documentale nell'ambito delle procedure di gara trova un limite nella sussistenza di situazioni giuridiche ostative all'accesso, aventi valenza specifica e normativamente qualificata alla protezione di particolari beni della vita tutelati da altre norme quali il segreto industriale e/o la scoperta scientifica . TAR LOMBARDIA, MILANO, SEZ. III 14 LUGLIO 2011, N. 1887 PROCESSO AMMINISTRATIVO DI PRIMO GRADO. Interesse a ricorrere ? Cessazione della materia del contendere - Sulla tutela risarcitoria in caso di cessazione della materia del contendere. Nel caso in cui, nel corso del giudizio, la P.A. tiene un comportamento che soddisfa l'interesse fatto valere in giudizio dal privato ricorrente, dall'accoglimento della domanda di annullamento proposta da quest'ultimo non potrebbe derivare alcun ulteriore vantaggio poiché, nel sistema del nuovo codice del processo amministrativo, siffatta pronuncia non è più necessaria ai fini risarcitori esaurendo la sua utilità negli effetti conformativi e ripristinatori scaturenti dal giudicato, che sono già stati anticipati dal comportamento tenuto dalla p.a. nel corso del giudizio. In capo al ricorrente, però, residua un interesse ad ottenere una pronuncia di accertamento della illegittimità degli atti impugnati in vista di una successiva azione risarcitoria, ai sensi dell'art. 34 comma 3 c.p.a. in questo caso, però, non occorre che il ricorrente formuli una specifica domanda risarcitoria. Con la sentenza in rassegna, il Tar di Milano si chiede se, nonostante una pronuncia giurisdizionale di cessazione della materia del contendere, il soggetto ricorrente possa comunque avere interesse all'accertamento della illegittimità degli atti impugnati. Al quesito innanzi prospettato il Tar offre una risposta positiva, chiarendo quanto segue. Nel caso in cui, nel corso del giudizio, la P.A. tiene un comportamento che soddisfa l'interesse fatto valere in giudizio dal privato ricorrente, dall'accoglimento della domanda di annullamento proposta da quest'ultimo non potrebbe derivare alcun ulteriore vantaggio poiché, nel sistema del nuovo codice del processo amministrativo, siffatta pronuncia non è più necessaria ai fini risarcitori esaurendo la sua utilità negli effetti conformativi e ripristinatori scaturenti dal giudicato, che sono già stati anticipati dal comportamento tenuto dalla p.a. nel corso del giudizio. In capo al ricorrente, però, residua un interesse ad ottenere una pronuncia di accertamento della illegittimità degli atti impugnati in vista di una successiva azione risarcitoria, ai sensi dell'art. 34 comma 3 c.p.a. A tal proposito, il Collegio ritiene di non dover aderire alla tesi secondo cui tale interesse presupporrebbe la avvenuta formulazione di una specifica domanda risarcitoria da parte del ricorrente TAR Brescia 3/03/2011 n. 373 . Infatti, la disposizione di cui al terzo comma dell'art. 34 del c.p.a. non deve essere confusa con una condanna risarcitoria limitata all'an debeatur. Si tratta, invece, di una norma volta a non privare di ogni utilità l'esperimento della azione di annullamento tutte le volte in cui, a causa di eventi sopravvenuti, dagli effetti della pronuncia costitutiva non possa più derivare alcun vantaggio per il ricorrente. In tal caso, pur venendo meno l'interesse a ricorrere sulla domanda principale, è consentito al ricorrente formulare in corso di giudizio una domanda di accertamento della illegittimità del provvedimento senza che sia necessario, a tal fine, dimostrare in tutto o in parte la sussistenza degli altri presupposti per l'insorgere della responsabilità civile della p.a L'utilità di tale domanda è solo quella di precostituire, nel futuro ed eventuale giudizio risarcitorio, il giudicato sulla sussistenza dell'elemento oggettivo dell'illecito. L'interesse a proporla, pertanto, sussiste per il solo fatto che sia possibile in un successivo momento esperire l'azione risarcitoria. TAR EMILIA ROMAGNA, PARMA, SEZ. I 12 LUGLIO 2011, N. 245 RISARCIMENTO DEL DANNO. Risarcimento ai danni della P.A. in materia espropriazione - Sulla tutela del privato per i danni da occupazione c.d. usurpativa. In materia di espropriazione illegittima derivante da occupazione c.d. usurpativa , deve ritenersi che, in seguito della sentenza della Corte cost. n. 293 del 2010, la richiesta del solo risarcimento per equivalente non sortisce un effetto abdicativo della proprietà all'amministrazione, essendo tale conclusione in contrasto con l'esigenza di tutela della proprietà, la quale esige che l'effetto traslativo consegua a una volontà inequivoca del proprietario interessato, occorrendo piuttosto un accordo transattivo tra le parti. In materia di espropriazione illegittima derivante da occupazione c.d. usurpativa , se il privato espropriato chiede in giudizio la tutela restitutoria, detta tutela restitutoria va disposta, a meno che non ricorrano i presupposti per l'applicazione dell'art. 2933, co. 2, o 2058 c.c Tuttavia, quando il privato non chieda solo la restituzione del bene, ma anche il ripristino dello status quo ante, occorre concretamente accertare se ricorrano i presupposti per l'applicazione dell'art. 2933, co. 2, o 2058 c.c In materia di espropriazione illegittima derivante da occupazione c.d. usurpativa , l'amministrazione non può invocare la regola prevista nell'art. 2933, comma 2, c.c., quando la restituzione incide comunque su interessi circoscritti alla realtà locale, in quanto la norma costituisce una disposizione di carattere eccezionale, applicabile nei soli confronti delle opere che sono fonti di produzione e di distribuzione di ricchezza. In materia di espropriazione illegittima derivante da occupazione c.d. usurpativa , quando il privato non chieda solo la restituzione del bene, ma anche il ripristino dello status quo ante, può trovare applicazione la regola stabilita dall'art. 2058, comma 2, c.c., dal momento che il ripristino dello status quo ante rappresenta un concetto riconducibile a quello di reintegrazione in forma specifica ai sensi e per gli effetti dell'art. 2058, comma 2, c.c. sicché, considerando che il risarcimento in forma specifica può essere negato quando il costo di ripristino supererebbe il valore di mercato del bene, in questo caso residua spazio per la tutela risarcitoria per equivalente. La sentenza in commento ritorna sull'annosa questione relativa alla disciplina applicabile in materia di espropriazione illegittima derivante da occupazione c.d. usurpativa in seguito alla declaratoria di incostituzionalità dell'art. 43 T.U. 327/2001 ad opera della Corte Costituzionale sent. 08.10.2010 n. 293 . In argomento, il Tar di Parma rammenta che, nella vigenza del citato art. 43, si riteneva che quando il privato espropriato chiedeva unicamente il risarcimento del danno per equivalente, una volta preso atto dell'irreversibile trasformazione dell'immobile, con tale richiesta egli rinunciava alla restitutio in integrum Cons. Gius. Sic., 25 maggio 2009 n. 486 7 ottobre 2008 n. 848 . Una volta venuto meno l'art. 43 d.p.r. 327/2001, invece, la giurisprudenza ha affermato che la richiesta del solo risarcimento per equivalente non sortirebbe un effetto abdicativo della proprietà all'amministrazione, essendo tale conclusione in contrasto con l'esigenza di tutela della proprietà, la quale esige che l'effetto traslativo consegua a una volontà inequivoca del proprietario interessato, occorrendo piuttosto un accordo transattivo tra le parti Cons. Stato, sez. IV, 28 gennaio 2011 n. 676 . In questo modo, quindi, è stato superato il consolidato principio affermato dalla Cassazione a SSUU e seguito costantemente dal giudice amministrativo prima della declaratoria di incostituzionalità dell'art. 43 citato, secondo cui in caso di occupazione c.d. usurpativa la proposizione dell'azione di risarcimento del danno per equivalente monetario integra un negozio abdicativo della proprietà dell'immobile occupato dalla p.a., e la rinuncia ha effetto dal momento della proposizione della domanda di risarcimento per equivalente. Quid iuris se, invece, il privato espropriato insiste per la tutela restitutoria? In questo caso, chiarisce il Collegio, la richiesta tutela restitutoria va disposta, a meno che non ricorrano i presupposti per l'applicazione dell'art. 2933, co. 2, o 2058 c.c. Tuttavia, quando il privato non chieda solo la restituzione del bene, ma anche il ripristino dello status quo ante, occorre concretamente accertare se ricorrano i presupposti per l'applicazione dell'art. 2933, co. 2, o 2058 c.c Per ciò che attiene alla prima delle due norme citate, si osserva che l'amministrazione non può invocare la regola prevista nell'art. 2933, comma 2, c.c., quando la restituzione incide comunque su interessi circoscritti alla realtà locale, in quanto la norma costituisce una disposizione di carattere eccezionale, applicabile nei soli confronti delle opere che sono fonti di produzione e di distribuzione di ricchezza Cons. Stato, sez. V, 3 maggio 2005, n. 2095 Cass., sez. II, 17 febbraio 2004 n. 3004 Cass., sez. II, 25 novembre 1992 n. 12557 Cass. 16 aprile 1982, n. 2324 . In questi casi, quindi, ricorrerebbero i presupposti per l'applicazione dell'art. 2058, comma 2, c.c., a tenore del quale il giudice può disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, se la reintegrazione in forma specifica risulta eccessivamente onerosa per il debitore invero, il ripristino dello status quo ante rappresenta un concetto riconducibile a quello di reintegrazione in forma specifica ai sensi e per gli effetti dell'art. 2058, comma 2, c.c. in termini Cass. 16 marzo 1988 n. 2472 il risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica può esplicarsi nella eliminazione di quanto illecitamente fatto e che risulti identificato come la fonte esclusiva o concorrente di un danno attuale, continuo e destinato a protrarsi con certezza nel tempo . Sicché, considerando che il risarcimento in forma specifica può essere negato quando il costo di ripristino supererebbe il valore di mercato del bene Cass., sez. III, 12 ottobre 2010 n. 21012 , in questo caso residua spazio per la tutela risarcitoria per equivalente. Il quantum da risarcire, peraltro, può essere accertato mediante una verificazione, al fine di ragguagliare la somma corrispondente al valore di mercato attuale del bene utilizzato per scopi di pubblica utilità, detratto quanto già corrisposto a titolo di indennità di occupazione. E poiché nella specie si tratta di un terreno edificabile, il TAR chiarisce che la verificazione deve tenere conto a delle disposizioni dell'articolo 37, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 7 b delle possibilità legali di edificazione, da intendersi ai sensi dell'art. 32 comma 1 d.p.r. n. 327/2001, valutando l'incidenza dei vincoli di qualsiasi natura non aventi natura espropriativa allora insistenti e senza considerare gli effetti del vincolo preordinato all'esproprio per cui è causa c degli interessi moratori, a decorrere dal giorno in cui il terreno è stato occupato d dell'indennità già corrisposta.