RASSEGNA DEL CONSIGLIO DI STATO di Daniele Giannini

di Daniele Giannini SEZ. V 1 APRILE 2011, N. 2031 OTTEMPERANZA. Domanda di risarcimento del danno. Con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato affronta il tema del risarcimento del danno domandato il sede di ottemperanza, ex art. 112, commi 3 e 4, c.p.a In argomento, il Consesso distingue le ipotesi delineate dai sopra citati commi dell'art. 112, rilevando quanto segue. Con riferimento alla domanda di risarcimento del danno ex art. 112, comma 3, c.p.a. secondo cui in sede di ottemperanza può essere proposta azione di risarcimento dei danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato , si osserva che il giudice dell'ottemperanza è vincolato alla sentenza da ottemperare e il suo intervento non può decampare dal dictum della stessa, dal momento che in sede di ottemperanza possono essere domandati i danni derivanti dalla mancata esecuzione, violazione o elusione del giudicato. In questo caso, si osserva, il nuovo codice ha cristallizzato un preciso orientamento giurisprudenziale, formatosi sotto l'egida della precedente normativa, che ammetteva la proposizione della domanda risarcitoria in sede di ottemperanza solo per il ristoro dei danni insorti in occasione dell'esecuzione del giudicato cfr. fra le tante, Cons. St., V, 28 febbraio 2006, n. 861 sez. VI, 8 marzo 2004, n. 1080 . In merito alla domanda di risarcimento del danno ex art. 112, comma 4, c.p.a. secondo cui Nel processo di ottemperanza può essere altresì proposta la connessa domanda risarcitoria di cui all'articolo 30, comma 5, nel termine ivi stabilito. In tal caso il giudizio di ottemperanza si svolge nelle forme, nei modi e nei termini del processo ordinario. , si mette principalmente in rilievo il fatto che, in questo caso, occorre pur sempre rispettare la regola basilare del doppio grado di giudizio. E infatti, se è vero che quella in commento rappresenta una delle più significative innovazioni previste dal codice con riferimento al carattere cognitorio del processo di ottemperanza visto che la prevalente giurisprudenza precedente era ferma nel ritenere inammissibile la proposizione di tale domanda risarcitoria cfr., fra le tante, Cons. St, sez. V, 27 aprile 2006, n. 2374 sez. IV, 21 ottobre 2004, n. 6914 sez. IV, 1 febbraio 2002, n. 396 , il Codice ha voluto invece recepire l'indirizzo minoritario che ammetteva la proposizione, in sede di ottemperanza, della domanda risarcitoria dei danni discendenti dall'originario illegittimo esercizio della funzione pubblica, a condizione, inter alios, che venisse introdotta davanti al T.a.r. per evitare la violazione del principio del doppio grado di giudizio cfr. Cons. St., sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3332 . A parere del Consesso, siffatta individuazione dell'ambito applicativo della norma in esame, oltre ad essere sostenuta sia dall'esegesi letterale che da quella storica, è conforme, in parte qua, alla sistematica del codice l'art. 112, nell'imporre di seguire le forme , i modi e i termini del processo ordinario è decisamente nel senso di risolvere il cumulo tra la domanda di esecuzione e quella risarcitoria mediante l'applicazione integrale del rito ordinario innervato dal principio generale del doppio grado di giudizio. C.G.A., SEZ. GIUR. 30 MARZO 2011, N. 291 PROCESSO AMMINISTRATIVO REGOLE GENERALI. Azioni di cognizione - Azione di condanna. La sentenza in commento interviene per chiarire da quale momento decorre il termine di prescrizione dell'azione di risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi. In premessa, il Consesso spiega che, in considerazione del momento in cui è stato incardinato questo giudizio, il quesito sopra prospettato deve essere risolto prescindendo dalla normativa di cui al Codice del processo amministrativo, ed in particolare dall'art. 30, comma 5 il quale consente, nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento degli atti lesivi, di formulare la domanda risarcitoria nel termine di centoventi giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio di impugnazione . Ciò posto, e aderendo alla tesi prevalente in giurisprudenza prima dell'avvento del c.p.a. la quale conduceva comunque all'abbandono della tesi della c.d. pregiudiziale amministrativa , il Consesso siciliano rileva che il mancato annullamento dell'atto amministrativo lesivo non costituisce un presupposto di ammissibilità della domanda risarcitoria pertanto, il termine quinquennale per l'azione di risarcimento del danno decorre dal momento in cui il danno si sia effettivamente verificato. SEZ. V 24 MARZO 2011, N. 1796 RISARCIMENTO DEL DANNO. Danno da perdita di chance. La sentenza in rassegna si sofferma sul risarcimento del danno da perdita di chance, con particolare riferimento all'ipotesi in cui un ricorrente, illegittimamente escluso, sia stato poi riammesso a partecipare al concorso. Sul punto, il Consiglio di Stato rileva che la circostanza che un concorrente, originariamente escluso in modo illegittimo, sia poi riammesso alla partecipazione del concorso, garantisce al concorrente medesimo la reintegrazione nelle sue chance di superamento del concorso, sicché detto concorrente non può richiedere anche un risarcimento per equivalente. E invero - spiega il Consesso - la tutela risarcitoria serve ad assicurare al danneggiato la restitutio in integrum del suo patrimonio e, quindi, a garantire l'eliminazione delle conseguenze pregiudizievoli dell'attività illecita ascritta al soggetto responsabile. La riparazione delle conseguenze dannose viene garantita dall'ordinamento mediante due modelli di tutela, tra loro alternativi quello del risarcimento per equivalente, che riconosce al danneggiato il diritto ad una somma di denaro equivalente al valore della lesione patrimoniale patita e quello della reintegrazione in forma specifica, che attribuisce al soggetto passivo la medesima utilità, giuridica od economica, sacrificata o danneggiata dalla condotta illecita Cons. Stato, sez. IV, n. 478 del 2005 . Peraltro, giovandosi dell'insegnamento della prevalente giurisprudenza, il Collegio rileva che, in tema di gare contrattuali, il risarcimento in forma specifica della chance consiste nella riammissione in gara del concorrente escluso, ovvero nella ripetizione della procedura, e che, verificandosi tale evenienza, la chance di successo viene tutelata in forma reale, sicché risultano esclusi danni da risarcire per equivalente, a parte il danno emergente legato al ritardo della procedura e alle spese aggiuntive sofferte C.d.S., VI, 8 maggio 2002 n. 2485 . In questo senso, il Consiglio rammenta che l'alternatività tra i due modelli di riparazione in forma specifica e per equivalente trova riscontro anche nella giurisprudenza di legittimità, laddove si distingue ontologicamente il danno derivante da mancata promozione in senso stretto dal danno da perdita di chance . Nel primo caso, al lavoratore che agisca per il risarcimento è richiesto di provare sia l'illegittimità della procedura concorsuale, sia il fatto che, in caso di legittimo espletamento, egli sarebbe stato certamente incluso nell'elenco dei promossi. Nel danno da perdita di chance, invece, il lavoratore, proprio sul presupposto della irrimediabilità della perdita, appunto, della chance, in ragione dell'irripetibilità della procedura con le stesse modalità e gli stessi partecipanti di quella ritenuta illegittima, fa valere il danno associato alla perdita di una probabilità non trascurabile di conseguire il risultato utile. E ciò conferma proprio come, ove invece sia data in concreto la possibilità della ripetizione del procedimento selettivo, non sia possibile in pari tempo anche monetizzare la relativa chance Cass., sez. Lavoro, n. 852 del 2006 Una volta raggiunte le suddette conclusioni, il Consiglio affronta anche la seguente questione in materia di danno da ritardo della P.A. l'articolo 2 bis della legge n. 241/1990 Conseguenze per il ritardo dell'amministrazione nella conclusione del procedimento , introdotto dall'articolo 7, comma 1, lettera c , della legge 18 giugno 2009, n. 69 Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento , è applicabile alle fattispecie giudiziali innescate prima della novella legislativa? Sul punto, il Consiglio offre una risposta assolutamente negativa, rimarcando che la suddetta previsione è stata introdotta senza previsione di retroattività. La fattispecie precedenti alla L. n. 69/2009, quindi, ricadono nel quadro previgente, e soggiacciono alle coordinate tracciate in materia dall'interpretazione della giurisprudenza dominante. Sul punto, allora, rileva l'insegnamento dell'Adunanza Plenaria 15 settembre 2005 n. 7 , secondo cui il G.A. riconosce il risarcimento del danno causato al privato dal comportamento dell'Amministrazione solo quando sia stata accertata la spettanza del c.d. bene della vita non è invece risarcibile il danno da ritardo provvedimentale c.d. mero , occorrendo appunto verificare se il bene della vita finale sotteso all'interesse legittimo azionato sia, o meno, dovuto. Pertanto, la condanna della P.A. al risarcimento del danno subìto dal privato per l'omesso esercizio di un potere autoritativo nei termini prefissati dalla legge, presuppone il riconoscimento del diritto del ricorrente al bene della vita inutilmente richiesto. E la relativa valutazione sulla spettanza , nelle materie in cui la P.A. disponga di ampia discrezionalità amministrativa, e non solo tecnica, non può essere affidata ad un giudizio - necessariamente prognostico - del giudice, ma presuppone che l'Amministrazione, riesercitato il proprio potere, abbia riconosciuto all'istante il bene stesso C.d.S., IV, 29 gennaio 2008, n. 248 . Da ciò deriva che, in questi casi, per poter accedere alla risarcibilità, la lesione deve incidere sul bene della vita finale, che funge da sostrato materiale dell'interesse legittimo e quindi, fatta salva l'applicazione quando del caso dell'art. 2 bis, l. n. 241\1990, introdotto dall'art. 7, l. n. 69/2009, non è dato configurare una tutela risarcitoria degli interessi c.d. procedimentali puri, delle mere aspettative o dei ritardi procedimentali in termini C.d.S., V, n. 8291 del 2010 . SEZ. VI 31 MARZO 2011, N. 1983 RISARCIMENTO DEL DANNO. Rapporto con la pregiudiziale. La pregevole sentenza in rassegna affronta tre questioni di grande rilievo in materia di risarcimento del danno da lesione dell'interesse legittimo. In particolare, l'attenzione del Consiglio di Stato si sofferma sulla condotta che il soggetto danneggiato deve porre in essere al fine di evitare, o a ridurre, usando dell'ordinaria diligenza, il danno risarcibile sul vizio da cui è affetto l'atto amministrativo violativo del diritto comunitario sulla sorte dell'atto amministrativo affetto da un vizio formale, quale la mancata apposizione in calce al provvedimento amministrativo della formula recante il termine e l'autorità presso cui impugnarlo. Con riferimento al primo tema, il Collegio ritiene di dover richiamare l'orientamento interpretativo secondo cui, anche se la domanda risarcitoria è proponibile in via autonoma, il giudice amministrativo deve tener conto, nel merito, dell'imputabilità, alla condotta colpevole del danneggiato, della mancata proposizione di una domanda giudiziale di annullamento dell'atto che si chiede incidentalmente di qualificare come illegittimo e colposamente causativo di danno ingiusto. Nello specifico, il Consesso ritiene che, nella condotta positiva richiesta al danneggiato per ordinaria diligenza art. 1227, cpv., Cod. civ. Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza rientri anche l'onere di un'azione giudiziale di annullamento avverso quell'atto amministrativo, con la conseguenza che si deve escludere la responsabilità dell'Amministrazione, se emerge che il danno avrebbe potuto essere contenuto o evitato attraverso la diligente cura, anche giudiziale, delle posizioni del danneggiato. Si tratta di una regola che si fonda sul canone generale di correttezza e di buona fede oggettiva, che riguarda non solo le relazioni tra consociati, ma anche, seppur in modo particolare, le loro relazioni con la p.a., dove l'ordinamento, per riparare le lesioni inferte, appronta una specifica e generale tutela restitutoria o satisfattiva a seconda del tipo di interesse , e dove l'intervento del giudice giunge ad annullare l'atto lesivo. Questa regola ridonda sull'esistenza e sull'entità dello stesso diritto al risarcimento del danno da atto illegittimo, cioè alla riparazione essenzialmente per equivalente nel senso che non spetta se l'interessato, non assolvendo a quel canone generale, non ha fatto quanto poteva per giungere alla riparazione della lesione, finanche attraverso l'azione di annullamento. Pertanto, il Consiglio evidenzia che il principio generale dell'art. 1227, cpv., Cod. civ. in tema di danno evitabile , qui applicabile in quei termini ed oggi per l'art. 30 Cod. proc. amm. estensibile alla valutazione dell'entità del danno danno contenibile , comporta che il danneggiato da un atto amministrativo illegittimo, per accampare il risarcimento dei danni che ne derivano, ha l'onere di tempestivamente attivarsi fino a domandarne l'annullamento giudiziale. Non bastano ad integrare un suo comportamento attivo di ordinaria diligenza, l'invito e la messa in guardia dell'Amministrazione sull'ingiustizia dei danni che l'atto causa né basta esperire un rimedio amministrativo interno, come un ricorso gerarchico, se poi viene respinto come è avvenuto nella specie . Occorre una vera e propria domanda di giustizia, cioè che l'interessato si spinga al rimedio giustiziale disponibile contro l'atto amministrativo illegittimo per ottenerne l'annullamento e dunque la cessazione della produzione degli effetti dannosi oggi l'art. 30, comma 4, Cod. proc. amm. analogamente riconduce all' ordinaria diligenza del danneggiato l'esperimento degli strumenti di tutela previsti . Consegue da questa regola, immanente alla posizione del danneggiato, che la previa operosa impugnazione giustiziale dell'atto illegittimo è presupposto dell'utilità e del fondamento stesso dell'azione risarcitoria. Perciò il risarcimento del danno non è dovuto dalla p.a. in caso di mancata impugnazione dell'atto illegittimo foriero di danno. Tuttavia, avverte il Consiglio, la pretermissione, da parte del danneggiato da un atto dell'amministrazione, della previa domanda di giustizia contro l'atto stesso non costituisce sempre e comunque una violazione del canone di ordinaria diligenza ai sensi dell'art. 1227, cpv., Cod. civ E infatti, al di là del fatto che l'onere si limita all'impugnazione ed è indipendente da qualsiasi esito di quell'azione, una tale pretermissione può impedire, o limitare, il sorgere del diritto al risarcimento se, in concreto, emerge che a la mancata azione giudiziale è caratterizzata da colpevolezza secondo una concreta e ordinaria esigibilità b fra la pretermissione e l'insorgenza del danno sussiste un nesso di consequenzialità diretta, perché il secondo non si sarebbe verificato se l'interessato avesse debitamente svolto l'azione di annullamento. In merito alla seconda delle questioni sopra elencate, il Consiglio afferma che l'atto amministrativo violativo del diritto comunitario è affetto dal vizio di illegittimità per violazione di legge e non dal vizio della nullità. Sul punto, i Giudici richiamano il consolidato orientamento per cui la violazione del diritto comunitario implica solo un vizio di legittimità, con conseguente annullabilità dell'atto amministrativo ciò perché l'art. 21-septies l. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, ha codificato in numero chiuso le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, e non vi rientra la violazione del diritto comunitario Cons. Stato, VI, 22 novembre 2006, n. 6831 31 maggio 2008, n. 2623 . Da tanto consegue sul piano processuale, l'onere dell'impugnazione del provvedimento contrastante con il diritto comunitario, dinanzi al giudice amministrativo entro il termine di decadenza, pena la inoppugnabilità sul piano sostanziale, l'obbligo per l'Amministrazione di dar corso all'applicazione dell'atto, salva l'autotutela Cons. Stato, V, 8 settembre 2008, n. 4263 . Con riferimento al terzo tema, infine, il Consesso afferma che la mancata apposizione in calce al provvedimento amministrativo della formula recante il termine e l'autorità presso cui impugnarlo, sancita dall'art. 3, comma 4, l. n. 241 del 1990, può implicare sì, in caso di eventuale ritardo nell'impugnazione di quest'ultimo, il riconoscimento dell'errore scusabile e dei suoi effetti, ma solo quando ne sussistano i presupposti, ossia una situazione normativa obiettivamente inconoscibile o confusa, uno stato di obiettiva incertezza, per le oggettive difficoltà di interpretazione di una norma, per la particolare complessità di una fattispecie concreta, per i contrasti giurisprudenziali esistenti o per il comportamento dell'amministrazione idoneo, perché equivoco, ad ingenerare convincimenti non esatti Cons. Stato, IV, 19 luglio 2004, n. 5182 26 luglio 2004, n. 5316 .