RASSEGNA TAR di Daniele Giannini

di Daniele Giannini Tar Lazio, Roma sez. III, 18 gennaio 2011 n. 371 CONTRATTI PUBBLICI. Contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture nei settori ordinari - Requisiti dei partecipanti alle procedure di affidamento. In caso di diniego di rilascio della nuova attestazione SOA, la violazione dell'art. 10 bis, l. n. 241 del 1990 non produce ex se l'illegittimità del provvedimento finale, dovendo il giudice valutare il contenuto sostanziale del provvedimento, così come prescrive l'art. 21 octies, comma 2, della stessa L. n. 241/1990. L'irregolarità sotto il profilo fattuale del certificato lavori costituisce una causa autonoma di diniego o decadenza dell'attestazione, indipendentemente dalla circostanza che venga successivamente acquisito il certificato o vengano confermati dalla stazione appaltante i dati ivi presenti e non il certificato stesso. L'art. 17 del DPR 34/2000 impedisce il conseguimento della attestazione qualora esistano false dichiarazioni in ordine al possesso dei requisiti, anche se in ipotesi i relativi documenti siano ininfluenti e ridondanti. L'adozione di un provvedimento di decadenza dell'attestazione una volta acclarata la falsità della documentazione sottostante il rilascio dell'attestazione medesima, non ha carattere meramente sanzionatorio in quanto a tal fine è irrilevante l'imputabilità soggettiva all'impresa attestata della falsità documentale. La decadenza in questione si atteggia sostanzialmente come un provvedimento di annullamento dell'attestazione, in quanto si basa su dei vizi già esistenti ed inficianti la legittimità del rilascio della stessa. L'adozione del suddetto provvedimento, una volta accertata la sussistenza dei relativi presupposti fattuali, risulta essere totalmente vincolata, e, pertanto, non può essere annoverata tra i provvedimenti di autotutela, caratterizzati da un'ampia discrezionalità dell'amministrazione in sede di adozione degli stessi. L'annotazione nel casellario informatico dell'avvenuta esclusione di un'impresa da pubbliche gare per aver reso false dichiarazioni, ha un autonomo contenuto lesivo, in base alla espressa previsione dell'art 38 lettera h del d.lgs. n° 163 del 12-4-2006 e infatti, alla luce di tale norma, costituisce una autonoma causa di esclusione dalla partecipazione alle gare pubbliche aver reso, nell'anno antecedente la pubblicazione del bando di gara, false dichiarazioni in merito ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione risultanti dai dati in possesso dell'osservatorio. Conseguentemente, per la razionalità e logicità del sistema, l'annotazione non può essere considerata, quando comporti l'esclusione dalle gare per l'anno successivo, altro che una sanzione ulteriore disposta dalla Autorità di Vigilanza accanto alle misure previste dall'art 6 comma 11 e dall'articolo 48, e, pertanto, può essere legittimamente adottata solo a seguito di un procedimento che assicuri il contraddittorio dell'interessato e la valutazione da parte dell'Autorità del presupposto per procedere all'annotazione, in particolare in relazione alla falsità delle dichiarazioni. Tar Campania, Napoli sez. V, 18 gennaio 2011, n. 262 ESPROPRIAZIONE. Acquisizione sanante. Nella materia dei procedimenti di espropriazione per pubblica utilità, sono devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva le controversie nelle quali si faccia questione - anche ai fini complementari della tutela risarcitoria - di attività di occupazione e trasformazione di un bene conseguenti ad una dichiarazione di pubblica utilità e con essa congruenti, anche se il procedimento all'interno del quale sono state espletate non sia sfociato in un tempestivo e formale atto traslativo della proprietà ovvero sia caratterizzato dalla presenza di atti poi dichiarati illegittimi, purchè vi sia un collegamento all'esercizio della pubblica funzione. In sede di individuazione della disciplina giuridica delle situazioni in cui sia stata realizzata l'opera pubblica in assenza del compimento nei termini della procedura espropriativa o in assenza di una valida procedura, occorre avere riguardo all'art. 934 c.c., secondo il quale tutto ciò che viene edificato sul suolo accede di diritto alla proprietà di esso - omne quod inaedificatur solo cedit -, nonché all'art. 936 c.c., per cui ove un terzo abbia eseguito opere con materiali propri su fondo altrui, il proprietario di quest'ultimo può scegliere se acquisirne la proprietà ovvero obbligare il terzo a rimuoverle una volta che la rimozione non sia stata chiesta nel termine di sei mesi di cui all'art. 936, ultimo comma, il proprietario acquista a titolo originario ed ipso iure la proprietà delle opere realizzate in virtù del principio generale dell'accessione, poiché l'obbligazione al pagamento del valore dei materiali e del prezzo della mano d'opera ovvero dell'incremento di valore - che insorge a suo carico a norma dell'art. 936, comma 2, c.c. - ha natura di indennizzo e non di prestazione sinallagmatica, e non costituisce quindi condizione per la pienezza dell'atto di acquisto. Nel vigente ordinamento, la realizzazione senza titolo di opere e manufatti di natura privata su terreno altrui, pur se conformi agli strumenti urbanistici ed autorizzati dall'autorità comunale, è disciplinata, quanto all'assetto reale, non dalla regola della espropriazione di fatto e neppure dall'interpretazione giurisprudenziale circa l'estensione ed i limiti della stessa, ma dalla specifica disposizione dell'art. 934 cod. civ. che, ribadendo il principio dell'accessione risalente al diritto romano e già recepito dall'art. 446 del codice del 1865, stabilisce che la costruzione si incorpora al suolo ed appartiene immediatamente al proprietario di questo, senza attribuire rilevanza alcuna alla sua consistenza o alla sua destinazione nè alla coincidenza o meno degli interessi dell'esecutore con quelli della collettività. Gli unici temperamenti a questo effetto traslativo, operante peraltro ipso iure, sono dati dalla facoltà dello ius tollendi concessa al proprietario dei manufatti alle condizioni previste dall'art. 935 c.c., comma 1 e art. 937 c.c., nonchè dall'ipotesi eccezionale della cd. accessione invertita di cui al successivo art. 938 c.c Tar Valle d'Aosta 19 gennaio 2011, n. 4 GIURISDIZIONE. Giurisdizione in materia di diritti inaffievolibili. Spetta al giudice amministrativo decidere in merito ad una controversia relativa ad una istanza di rimborso delle spese mediche sostenute all'estero. Il soggetto che avanza una istanza di rimborso delle spese mediche sostenute all'estero vanta una posizione di interesse legittimo ciò sulla base della considerazione che la disposizione di cui all'art. 7, comma 2, del d.m. 3 novembre 1989 ai sensi del quale [ .] In tali casi la valutazione sulla sussistenza dei presupposti e condizioni ed il parere sulle spese rimborsabili sono dati dal centro di riferimento territorialmente competente sentita la regione [ .] presuppone, ai fini dell'istruttoria del procedimento, l'esercizio di attività discrezionale. Il diniego di autorizzazione a fruire di cure sanitarie urgenti presso un centro di alta specializzazione all'estero per prestazioni particolari non è atto automatico e dovuto, correlato ad un diritto soggettivo, bensì consiste in un provvedimento correlabile ad un interesse legittimo, essendo espressione di discrezionalità decisionale, poiché consegue a due apprezzamenti diversi, uno tecnico e l'altro amministrativo, concernenti la valutazione dei presupposti indispensabilità di strutture adeguate in Italia in tempi adeguati, urgenza e gravità del caso, cure prestate a cittadini che già si trovano all'estero e quant'altro per la concessione dell'autorizzazione. Il giudizio sulla gravità delle patologie, sull'urgenza e sull'adeguatezza delle cure comporta l'esercizio di discrezionalità tecnica che può essere sottoposta al controllo intrinseco del giudice amministrativo, costituendo la valutazione tecnica operata dall'amministrazione non una scelta in senso stretto, ma la qualificazione di un soggetto o di un bene, avvalendosi di una scienza non giuridica. Tar Lazio, Roma sez. I bis, 14 gennaio 2011, n. 286 LAVORO ALLE DIPENDENZE DELLA P.A. Assunzioni - Principi generali. In sede di composizione della Commissione giudicatrice di un pubblico concorso, la circostanza che un componente dell'Organo collegiale abbia collaborato per diversi anni nella stessa struttura in cui operava un candidato, non consente, di per sé, di configurare automaticamente una situazione di incompatibilità tale da generare nel primo un dovere di astensione a tal fine, infatti, occorre che sia inconfutabile e accertata l'esistenza di rapporti personali diversi e più saldi di quelli che normalmente sussistono fra soggetti che lavorano presso lo stesso ufficio.