RASSEGNA DELLE SEZIONI PENALI DELLA CASSAZIONE

SEZ. II SENTENZA DEL 30 DICEMBRE 2020, N. 37818 REATI CONTRO IL PATRIMONIO. Costrizione all’intervento di pick up Successivo impossessamento degli ovociti, a fini di profitto-Integra il delitto di rapina. Integra il delitto di rapina la violenza esercitata per costringere la vittima a subire l'intervento, ponendola poi in stato d'incapacità di agire mediante sedazione, al preciso ed esclusivo scopo di prelevare i suoi ovociti, poi fecondati, con successivo impianto degli embrioni in altri pazienti e, quindi, di conseguire un ingiusto profitto. La questione giuridica affrontata riguarda il fatto che gli ovociti acquistano lo status di cosa mobile solo al termine del processo di asportazione dal corpo umano c.d. reificazione . L’imputato sosteneva che la supposta l'azione violenta era stata realizzata quando non esisteva la cosa mobile oggetto dell’impossessamento, in quanto gli ovociti erano ancora parte del corpo umano. Dopo che gli ovociti, in seguito all’ attività violenta, erano venuti ad esistenza quali cose mobili, l'unica azione posta in essere dallo stesso era stata la loro mera apprensione, condotta assorbita dai reati di lesione personale e violenza privata ovvero, diversamente opinando, integrante il solo reato di furto. La Corte confuta tale tesi evidenziando che la violenza, esercitata imponendo fisicamente alla vittima di tollerare l'asportazione degli ovociti, viene a integrare il delitto di rapina, nel momento in cui essa costituisce la premessa necessaria per giungere all'impossessamento degli ovociti, senza alcuna soluzione di continuità causale. La opposta soluzione -soggiunge è evidentemente artificiosa, poiché fraziona in modo ingiustificato una sequenza materiale unitaria, e come tale già regolata dalla fattispecie complessa di cui all’ art. 628 c.p. Non risultano precedenti in termini. SEZ. III SENTENZA DEL 7 GENNAIO 2021, N. 190 REATI AMBIENTALI. Autorizzazione paesaggistica postuma Divieto Il rilascio non impedisce comunque l’ordine di rimessione in pristino. L’ attuale conformazione della disciplina paesaggistica e, segnatamente, del divieto di rilascio postumo dell'autorizzazione paesaggistica di cui all'art. 146 d.lgs. 42\2004 incide inevitabilmente sul rilascio della sanatoria urbanistica di cui all'art. 36 del d.P.R. 380\2001 per le opere abusive realizzate in zona vincolata che resta possibile solo nelle limitate ipotesi in precedenza indicate. Deve, conseguentemente, affermarsi che, essendo la possibilità di una autorizzazione paesaggistica postuma espressamente esclusa dalla legge ad eccezione dei casi, tassativamente individuati dall'art. 167, commi 4 e 5, relativi agli abusi minori tale preclusione, considerato che l'autorizzazione paesaggistica è presupposto per il rilascio del permesso di costruire, impedisce anche la sanatoria urbanistica ai sensi dell'art. 36 d.P.R. 380\01 e l'eventuale emissione della predetta autorizzazione paesaggistica in spregio a tale esplicito divieto, oltre a non produrre alcun effetto estintivo dei reati, non impedisce neppure l'emissione dell'ordine di rimessione in pristino. Un precedente indirizzo, pur escludendo ogni effetto estintivo del reato paesaggistico in caso di autorizzazione paesaggistica postuma, riteneva che l'autorizzazione paesaggistica in sanatoria , fosse idonea ad escludere l'applicazione dell'ordine di rimessione in pristino tutte le volte in cui il suo rilascio elimina ogni vulnus al paesaggio in una visione sostanziale della sua protezione cfr. Terza Sezione, n. 24410/16, CED 267192 . SEZ. III SENTENZA DEL 8 GENNAIO 2021, N. 382 REATI CONTRO LA PERSONA. Reato di violenza sessuale improcedibile per mancanza di querela Connessione con reato perseguibile d’ufficio Archiviazione di quest’ultimo. L'estensione del regime della perseguibilità di ufficio ai delitti di violenza sessuale non è condizionata dall'esercizio dell'azione penale per il reato che attrae quello perseguibile a querela. Ne consegue che, anche nel caso di archiviazione della notitia criminis relativa al delitto perseguibile d'ufficio, può operare il criterio di cui all'articolo 609-septies, comma quarto, n. 4 cod. pen. Il criterio declinato con riferimento all’esito del giudizio, secondo cui la procedibilità d'ufficio nei casi previsti dall’art. 609-septies, comma quarto, n. 4, cod. pen., viene meno fin dall'inizio solo a seguito dell’assoluzione con la formula il fatto non sussiste”, non è esportabile automaticamente al caso del decreto di archiviazione. La ragione di ciò risiede nella diversa natura dei provvedimenti decreto di archiviazione e sentenza . Il decreto di archiviazione, a differenza della sentenza, non ha gli effetti caratteristici della cosa giudicata e pertanto non ha natura giurisdizionale penale in quanto non contiene statuizioni o accertamenti processualmente certi. Ne consegue che il giudice di merito, nel caso di sentenza di proscioglimento, deve prendere atto della formula terminativa del giudizio e ritenere sciolta la connessione, mentre, nel caso di decreto di archiviazione deve operare, incidenter tantum, un penetrante sindacato sul contenuto dell'atto per accertare se la dichiarata infondatezza della notizia di reato sia concretamente sostenuta da un'evidente insussistenza del fatto di reato e sia dunque idonea a recidere il nesso intercorrente tra il delitto procedibile a querela e il delitto procedibile d'ufficio. Non risultano precedenti in termini. SEZ. VI SENTENZA DEL 8 GENNAIO 2021, N. 442 REATI CONTRO LA P.A. Abuso d’ufficio Nuova formulazione Effetti sui processi in corso. La nuova formulazione della fattispecie dell'abuso di ufficio, restringendone l'ambito di operatività con riguardo al diverso atteggiarsi delle modalità della condotta, determina all'evidenza serie questioni di diritto intertemporale. In linea di principio, non può seriamente dubitarsi che si realizzi una parziale abolitio criminis in relazione ai fatti commessi prima dell'entrata in vigore della riforma, che non siano più riconducibili alla nuova versione dell'art. 323 cod. pen., siccome realizzati mediante violazione di norme regolamentari o di norme di legge generali e astratte, dalle quali non siano ricavabili regole di condotta specifiche ed espresse o che comunque lascino residuare margini di discrezionalità. Con il lineare corollario per cui all'abolizione del reato, ai sensi dell'art. 2, comma 2 cod. pen., consegue nei processi in corso il proscioglimento dell'imputato, con la formula perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato . SEZ. V SENTENZA DEL 13 GENNAIO 2021, N. 1223 REATI CONTRO LA PERSONA. Atti persecutori Condotta Invio di mail Configurabilità. Il reiterato invio di messaggi di posta elettronica, contenenti insulti e minacce, costituisce una condotta invasiva, idonea a determinare uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice, e come tale idonea ad integrare il reato di stalking. L'attuale diffusione di questo sistema di comunicazione, adoperato sia per i propri contatti personali che per quelli professionali, ne fa una modalità relazionale che è diventata parte integrante della quotidianità delle persone, anche grazie al fatto che l'accesso alla propria casella di posta elettronica è oggi possibile dai moderni smartphone e tablet e non richiede neanche di utilizzare necessariamente un personal computer. La tesi secondo cui le comunicazioni asincrone, come la mail, non avrebbero portata persecutoria perché il destinatario potrebbe cancellarle o evitare di leggerle non può avere seguito. L'invasività di una condotta non è data, infatti, dall'effettiva o potenziale possibilità che la persona offesa attui dei meccanismi di difesa per arginarne gli effetti, perché, se e quando ciò avvenga, la condotta ha già esaurito la propria portata violativa dell'altrui sfera individuale, sfera individuale vieppiù pregiudicata dal fatto di dover predisporre dei meccanismi di difesa. Cfr. Sesta Sezione, n. 32404/10, CED 248285. SEZ. I SENTENZA DEL 13 GENNAIO 2021, N. 1230 REATI CONTRO LA P.A. Pena accessoria dell’estinzione del rapporto di lavoro o di impiego Applicabilità in caso di patteggiamento. La pena accessoria dell'estinzione del rapporto di impiego di cui all’art. 32-quinquies cod. pen., in quanto prevista quale conseguenza obbligatoria della condanna a pena di entità non inferiore a due anni e, a far data dall'entrata in vigore della legge n. 69 del 2015, a tre anni, deve essere necessariamente applicata anche con la sentenza di patteggiamento quando la pena principale sia pari o superiore alla soglia punitiva stabilità