RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZ. LAVORO SENTENZA 11 NOVEMBRE 2020 N. 25397 IMPIEGO PUBBLICO - IMPIEGATI DELLO STATO - DISCIPLINA - SANZIONI DISCIPLINARI - IN GENERE. Pubblico impiego contrattualizzato - Art. 24 del c.c.n.i. del personale non dirigenziale del Ministero della giustizia relativo al quadriennio 2006/2009 - Previsione contenente il divieto di partecipazione a procedura concorsuale per i dipendenti che abbiano riportato” una determinata sanzione disciplinare - Interpretazione - Fattispecie. In tema di pubblico impiego contrattualizzato, l'art. 24 del c.c.n.i. del personale non dirigenziale del Ministero della giustizia relativo al quadriennio 2006/2009 deve essere interpretato, nella parte in cui prevede il divieto di partecipazione alle procedure concorsuali per i dipendenti che abbiano riportato una determinata sanzione disciplinare, nel senso di richiedere che la sanzione sia stata non solo irrogata, ma anche definitivamente applicata, essendo sempre possibile per l'Amministrazione, in caso di sanzione disciplinare sub iudice , l'ammissione alla procedura con riserva. Nella specie, la S.C. ha ritenuto illegittima l'esclusione dalla procedura di un lavoratore, in quanto il medesimo aveva impugnato la sanzione disciplinare conservativa irrogata nonché chiesto di compromettere in arbitri la controversia, mentre l'Amministrazione aveva tardivamente proceduto alla nomina del proprio arbitro, così determinando la sospensione della sanzione ex art. 6, comma 3, del c.c.n.q. su arbitrato e conciliazione del 2001 . Non si rilevano precedenti specifici in argomento SEZ. LAVORO 11 NOVEMBRE 2020 N. 25401 IMPUGNAZIONI CIVILI - CASSAZIONE RICORSO PER - PROVVEDIMENTI DEI GIUDICI ORDINARI IMPUGNABILITA' - IN GENERE. Provvedimento emesso ex art. 28 st. lav. - Reclamo al collegio - Ordinanza di inammissibilità ad opera del Tribunale in composizione collegiale - Rimedio esperibile - Ricorso per cassazione - Esclusione - Ricorso in appello - Necessità - Fondamento - Fattispecie. In tema di repressione della condotta antisindacale ex art. 28 della l. n. 300 del 1970, ove avverso il decreto che decide sul ricorso sia proposto reclamo al collegio, in luogo dell'opposizione, il provvedimento collegiale che dichiari l'inammissibilità del reclamo non può essere impugnato con il ricorso per cassazione, ma deve esserlo mediante appello, giacché il criterio della prevalenza della sostanza degli atti sulla loro forma consente, nelle ipotesi in cui dalla qualificazione formalmente operata dal giudice derivi la inoppugnabilità della decisione adottata, l'esperibilità del mezzo di impugnazione corrispondente alla sostanza degli atti processuali. In applicazione del suddetto principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il ricorso - contenente la deduzione che, al di là dell'erroneo nomen iuris , l'atto avverso il decreto dovesse qualificarsi, in relazione al suo contenuto ed alla sua causa reale, come opposizione -, sul rilievo che il provvedimento emesso in sede di reclamo non rientrasse tra quelli impugnabili ai sensi degli artt. 111 Cost. e 360 c.p.c. e che il criterio sostanzialistico comportasse il diritto della parte a proporre appello, quale mezzo di impugnazione esperibile avverso la decisione resa sulla opposizione . L’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso un provvedimento giurisdizionale secondo Cassazione 13381/2017 deve essere effettuata, in base al principio dell'apparenza, esclusivamente sulla base della qualificazione dell'azione compiuta dal giudice, indipendentemente dalla sua esattezza, sicché soltanto ove il giudice dell’esecuzione non abbia fornito alcuna qualificazione giuridica all’opposizione proposta il giudice della impugnazione deve provvedere alla qualificazione, anche d'ufficio, non solo ai fini della decisione nel merito, ma anche ai fini dell'ammissibilità dell'impugnazione medesima. La massima fa applicazione del principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite 4617/2011 per le quali l'impugnazione di un provvedimento giurisdizionale deve essere proposta nelle forme previste dalla legge per la domanda così come è stata qualificata dal giudice, a prescindere dalla correttezza o meno di tale qualificazione, e non come le parti ritengano che debba essere qualificata, costituendo l'interpretazione della domanda giudiziale operazione riservata al giudice del merito. Ne consegue che, nel caso di pubblicazione su un quotidiano della foto segnaletica di una persona arrestata per furto, laddove il tribunale abbia qualificato la domanda dell'interessato finalizzata ad ottenere il ristoro dei danni come azione risarcitoria ordinaria a seguito di diffamazione, ai sensi dell'art. 2043 cod. civ., piuttosto che come ricorso inquadrabile nello schema dell'art. 152 del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto ai sensi di tale ultimo articolo, in luogo dell'appello.