RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 5 AGOSTO 2019 N. 20918 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - DURATA DEL RAPPORTO - A TEMPO DETERMINATO - IN GENERE . Contratti a termine legittimamente stipulati - Crediti retributivi - Prescrizione - Decorrenza - Criteri - Ragioni. Nel caso di successione di due o più contratti di lavoro a termine legittimi, il termine di prescrizione dei crediti retributivi di cui agli artt. 2948, n. 4, 2955, n. 2, e 2956, n. 1, c.c., inizia a decorrere, per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo, dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che maturano alla cessazione del rapporto, a partire da tale momento, dovendo considerarsi autonomamente e distintamente i crediti scaturenti da ciascun contratto da quelli derivanti dagli altri, senza che possano produrre alcuna efficacia sospensiva della prescrizione gli intervalli di tempo tra i rapporti lavorativi, stante la tassatività delle cause sospensive previste dagli artt. 2941 e 2942 c.c., o possa ravvisarsi, in tali casi, il metus del lavoratore verso il datore che presuppone un rapporto a tempo indeterminato non assistito da alcuna garanzia di continuità. Tra i precedenti si veda Cassazione 22146/2018 e Cassazione 14827/2018 per la quale nel caso di una serie di contratti di lavoro di diritto privato a tempo determinato, poi convertiti in un unico contratto a tempo indeterminato in conseguenza della ritenuta nullità dell'apposizione del termine, la prescrizione dei crediti derivanti dal rapporto non decorre dalla scadenza dei singoli contratti a termine e resta sospesa sino alla cessazione del rapporto lavorativo, non rilevando che a seguito della conversione il rapporto medesimo risulti assistito dalla garanzia della stabilità reale. Per Cassazione 14996/2012 nel caso di pluralità di contratti a termine illegittimamente apposto in quanto stipulati in frode alla legge con conseguente conversione in unico contratto a tempo indeterminato, il diritto al pagamento dell'indennità forfetizzata e onnicomprensiva , di cui al comma 5 dell'art. 32 della legge 4 novembre 2010, n. 183, si distingue da quello, imprescrittibile, a far valere la nullità del termine, ed è soggetto al termine di prescrizione ordinario, restando invece inapplicabili i termini prescrizionali di cui all'art. 2948 n. 4 cod. civ. o agli artt. 2955 n. 2 e 2956 n. 1 cod. civ., fermo restando che, in considerazione del metus del lavoratore nei confronti del datore di lavoro tipico dei rapporti senza stabilità - che non può essere valutato in base alla successiva declaratoria, pur retroattiva, di nullità del termine e di conversione del rapporto a tempo indeterminato-, durante la successione dei contratti a termine non è configurabile un decorso della prescrizione del diritto all'indennità, al pari dei diritti derivanti dalla detta conversione. SEZIONE LAVORO 5 AGOSTO 2019 N. 20914 IMPIEGO PUBBLICO - IMPIEGATI DELLO STATO - DISCIPLINA - PROCEDIMENTO DISCIPLINARE - IN GENERE . Impiego pubblico contrattualizzato - Sospensione cautelare dal servizio - Collocamento in quiescenza - Giudicato penale di condanna - Attivazione del procedimento disciplinare - Necessità - Ragioni. In tema di pubblico impiego contrattualizzato, qualora sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio a seguito di procedimento penale, successivamente definito con giudicato di condanna, l'interesse all'esercizio dell'azione disciplinare da parte della Pubblica Amministrazione permane nonostante il sopravvenuto collocamento in quiescenza del dipendente il datore di lavoro ha, pertanto, l'onere di attivare o riprendere l'iniziativa disciplinare, al fine di valutare autonomamente i fatti oggetto del giudizio penale e definire gli esiti della sospensione cautelare, in quanto, in difetto, sorgerebbe la pretesa del lavoratore a recuperare le differenze stipendiali fra l'assegno alimentare percepito e la retribuzione piena che gli sarebbe spettata in assenza della sospensione. In argomento si veda Cassazione 7657/2019 per la quale nell'impiego pubblico contrattualizzato, la sospensione facoltativa del dipendente sottoposto a procedimento penale, in quanto misura cautelare e interinale, diviene priva di titolo qualora all'esito del procedimento penale quello disciplinare non venga attivato. Il diritto del dipendente alla restitutio in integrum”, che ha natura retributiva e non risarcitoria, sorge ogni qualvolta la sanzione non venga inflitta o ne sia irrogata una di natura ed entità tali da non giustificare la sospensione sofferta. L'onere di attivarsi per consentire la tempestiva ripresa del procedimento disciplinare, una volta definito quello penale, grava sull'amministrazione e non sul dipendente pubblico, sicché non rileva, né può far escludere il diritto al pagamento delle retribuzioni non corrisposte durante il periodo di sospensione facoltativa, la circostanza che l'incolpato non abbia tempestivamente comunicato al datore di lavoro la sentenza passata in giudicato di definizione del processo penale pregiudicante. In argomento si veda altresì Cassazione 18849/2017 per la quale, qualora sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio a seguito di procedimento penale, successivamente definito con proscioglimento per estinzione del reato, l'interesse all'esercizio dell'azione disciplinare da parte della pubblica amministrazione permane anche nell'ipotesi di sopravvenuto collocamento in quiescenza del dipendente, sicché il datore di lavoro ha l'onere di attivare o riprendere l'iniziativa disciplinare, al fine di valutare autonomamente l'incidenza dei fatti già sottoposti al giudizio penale e definire il destino della sospensione cautelare, legittimando, in difetto, la pretesa del lavoratore a recuperare le differenze stipendiali fra l'assegno alimentare percepito e la retribuzione piena che sarebbe spettata in assenza della misura cautelare.