RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 15 LUGLIO 2019 N. 18901 COSA GIUDICATA CIVILE - EFFETTI DEL GIUDICATO PRECLUSIONI . Pubblico impiego privatizzato - Mansioni superiori - Accertamento - Effetti - Giudicato - Periodi successivi - Efficacia - Rilevanza - Condizioni. Nel pubblico impiego contrattualizzato, il giudicato di accertamento dello svolgimento di mansioni superiori non comporta l'acquisizione della miglior qualifica, ma solo la condanna al pagamento delle differenze retributive, sicchè esso ha efficacia vincolante anche per i periodi successivi solo se il lavoratore, immutata la disciplina collettiva, alleghi e provi il reiterarsi delle mansioni superiori anche in detto arco temporale. In materia di pubblico impiego contrattualizzato, per Cassazione n. 2102/19 il diritto al compenso per lo svolgimento di fatto di mansioni superiori, da riconoscersi nella misura indicata nell'art. 52, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, non è condizionato alla sussistenza dei presupposti di legittimità di assegnazione delle mansioni o alle previsioni dei contratti collettivi, né all'operatività del nuovo sistema di classificazione del personale introdotto dalla contrattazione collettiva, posto che una diversa interpretazione sarebbe contraria all'intento del legislatore di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all'art. 36 Cost. In argomento si veda altresì Cassazione n. 20765/18 per la quale in ordine ai rapporti giuridici di durata e alle obbligazioni periodiche che eventualmente ne costituiscano il contenuto, sui quali il giudice pronuncia con accertamento su una fattispecie attuale ma con conseguenze destinate ad esplicarsi anche in futuro, l'autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale pertanto esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l'unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento. SEZIONE LAVORO 15 LUGLIO 2019 N. 18897 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - RETRIBUZIONE - IN GENERE. Pagamento dei crediti retributivi - Trattenuta contributiva da parte del datore - Legittimità - Presupposto - Tempestività del pagamento rispetto alla maturazione dei crediti - Quota contributiva a carico del lavoratore - Computo - Condizioni. In tema di contributi previdenziali, quando il datore di lavoro corrisponde tempestivamente i crediti retributivi può legittimamente operare la trattenuta dei contributi da versare all'ente previdenziale, non può farlo, invece, in caso di intempestività, da valutarsi con riferimento al momento di maturazione dei crediti e non a quello di accertamento giudiziale degli stessi, sicchè in detta ipotesi il credito retributivo del lavoratore si estende automaticamente alla quota contributiva a suo carico. In argomento si veda Cassazione n. 25956/17 per la quale in tema di contributi previdenziali, posto che, in applicazione dell'art. 23 l. n. 218/1952, il datore di lavoro che non abbia provveduto tempestivamente ad eseguire i versamenti dovuti resta obbligato in via esclusiva al loro pagamento anche per la quota a carico del lavoratore, il credito retributivo di quest'ultimo deve essere calcolato al lordo della quota contributiva originariamente a suo carico, che, divenuta parte della retribuzione dovuta, non deve essere detratta dal danno subito dal lavoratore per il mancato tempestivo adempimento del datore di lavoro, non essendone egli più il debitore. Per Cassazione n. 23426/16, il lavoratore non può chiedere al datore di lavoro il pagamento in proprio favore dei contributi non versati, salvo che per la quota a suo carico, la quale, infatti, a titolo di sanzione, grava definitivamente sul datore di lavoro inadempiente quale componente della relativa obbligazione retributiva. Ne consegue che, in caso di fallimento del datore di lavoro, il lavoratore dev'essere ammesso al passivo, per le retribuzioni non corrisposte, con collocazione privilegiata a norma dell'art. 2751-bis, n. 1, c.c., al netto della quota contributiva gravante sul datore e al lordo di quella gravante sul lavoratore medesimo.