RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 12 LUGLIO 2019 N. 18810 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - DONNE - IN GENERE. Astensione anticipata per maternità - Iniziativa della lavoratrice - Necessità - Esclusione - Assenza dei presupposti per la predetta astensione - Legittima prosecuzione del lavoro - Limiti - Obblighi del datore - Portata - Fondamento. In tema di astensione anticipata per maternità, la necessità della lavoratrice di astenersi dal lavoro per pericolosità dello stesso dipende da fattori oggettivi, che impongono di provvedere in tal senso anche d'ufficio nel corso dell'attività di vigilanza e non soltanto da una mera iniziativa della lavoratrice interessata mentre il lavoro, in assenza di tali più gravi presupposti e nei limiti della c.d. astensione obbligatoria, può legittimamente essere proseguito, senza che ciò esima però il datore dal consentire di svolgere la prestazione secondo modalità coerenti con la condizione della donna e ciò per evidenti ragioni di tutela della dignità della lavoratrice in gravidanza, avuto riguardo alle previsioni di cui agli artt. 2, 31, comma 2, e 35 Cost In argomento si veda Cassazione numero 603/2000 per la quale l'interdizione dal lavoro anticipata rispetto all'inizio del periodo di astensione obbligatoria delle lavoratrici in stato di gravidanza per uno o più periodi determinati dall'Ispettorato del lavoro, prevista come ipotesi speciale dall'articolo 5 l. numero 1204/1971, costituisce una fattispecie normativa a struttura complessa in quanto richiede non soltanto la ricorrenza di una delle previste ragioni di astensione anticipata, ma anche l'ulteriore presupposto costituito dal provvedimento dell'Ispettorato il quale costituisce un fatto di legittimazione e una condicio iuris della riconducibilità dell'assenza dal lavoro alla stato di gravidanza e della sua riconoscibilità come assenza determinata da uno degli eventi protetti. Il provvedimento autorizzatorio, adottabile anche di ufficio ove ricorrano le condizioni considerate nelle lett. b e c dell'articolo 5, richiede invece, per le ipotesi considerate dalla lett. a l'iniziativa della lavoratrice, la quale, per poter fruire dell'astensione anticipata deve dare corso agli adempimenti prescritti dall'articolo 18 d.P.R. numero 1026/1976. In materia di tutela delle lavoratrici madri secondo Cassazione 2466/2000 mentre l'istituto dell' astensione obbligatoria, di cui all'articolo 4 l. numero 1204/1971, è collegato alla normale evoluzione della gestazione e alla necessità di tutela della donna nelle fasi della maternità che precedono e immediatamente seguono il momento del parto per cui, sotto tale profilo, lo stato di salute e il comportamento della lavoratrice in tale periodo possono risultare indifferenti al datore di lavoro, considerata l'obbligatorietà, in ogni caso, dell' astensione dal lavoro e le ragioni che la giustificano invece, l'istituto dell'anticipazione del periodo di interdizione dal lavoro, di cui all'articolo 5, lett. a , l. numero 1204/1971 cit., trova la sua giustificazione in una situazione patologica di accertata insorgenza di complicanze della gestazione nel periodo che precede quello dell' astensione obbligatoria, sicché per esso assumono rilievo non soltanto il concreto stato di salute della lavoratrice la cui considerazione costituisce il presupposto per l'applicazione dell'istituto e per la determinazione della sua durata ma anche il comportamento tenuto dalla lavoratrice stessa durante il periodo o i periodi di interdizione anticipata dal lavoro in quanto, ove esso sia idoneo ad aggravare le complicanze della gestazione o a ritardarne il superamento, può determinare l'esigenza di rinnovare o prorogare i periodi di interdizione anticipata. SEZIONE LAVORO 10 LUGLIO 2019 N. 18560 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - CATEGORIE E QUALIFICHE DEI PRESTATORI DI LAVORO - QUALIFICHE - IMPIEGATO PRIVATO NOZIONE, DIFFERENZE CON L'OPERAIO, DISTINZIONI - IN GENERE. Danno biologico - Liquidazione - Invalidità temporanea - Domanda specifica - Necessità - Ragioni. La lesione dell'integrità psicofisica, da cui scaturisce il danno biologico, può determinare una invalidità tanto temporanea quanto permanente, pregiudizi che, pur avendo medesima natura giuridica, non si implicano a vicenda in quanto diversi in fatto ne consegue che, ai fini del riconoscimento del danno da invalidità temporanea, si richiede una specifica domanda, supportata dalle relative allegazioni in fatto, senza che sia sufficiente quella di risarcimento del danno biologico complessivo. L'invalidità permanente secondo Cassazione numero 5197/15 costituisce uno stato menomativo, stabile e non remissibile, che si consolida soltanto all'esito di un periodo di malattia e non può quindi sussistere prima della sua cessazione ne consegue che, se un contratto di assicurazione prevede il pagamento di un indennizzo nel caso di invalidità permanente conseguente a malattia, nessun indennizzo è dovuto se la malattia, senza guarigione clinica, abbia avuto esito letale. In tema di danno biologico, si veda Cassazione numero 26897/14 per la quale la relativa liquidazione deve tenere conto della lesione dell'integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell'invalidità temporanea e di quella permanente quest'ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l'individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi. Ne consegue che il danno biologico di natura permanente deve essere determinato soltanto dalla cessazione di quello temporaneo, giacché altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno. In argomento si veda altresì la più recente Cassazione numero 4878/19 per la quale in tema di danno non patrimoniale da lesione della salute, non costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del risarcimento del danno biologico , quale pregiudizio che esplica incidenza sulla vita quotidiana e sulle attività dinamico-relazionali del soggetto, e di un'ulteriore somma a titolo di ristoro del pregiudizio rappresentato dalla sofferenza interiore c.d. danno morale, sub specie di dolore dell'animo, vergogna, disistima di sé, paura, disperazione , con la conseguenza che, ove dedotto e provato, tale ultimo danno deve formare oggetto di separata valutazione e liquidazione.