RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 7 FEBBRAIO 2019 N. 3655 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - PER GIUSTA CAUSA. Svolgimento di attività extralavorativa da parte del lavoratore durante la malattia - Violazione dei doveri di correttezza e buona fede - Configurabilità - Condizioni - Insussistenza - Irrilevanza disciplinare - Insussistenza del fatto contestato - Equivalenza - Conseguenze. In tema di licenziamento individuale per giusta causa, l'insussistenza del fatto contestato, che rende applicabile la tutela reintegratoria ai sensi dell'art. 18, comma 4, st. lav., come modificato dall'art. 1, comma 42, lett. b , della l. n. 92/2012, comprende anche l'ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, come nell'ipotesi del dipendente che, durante il periodo di assenza per malattia, svolga un'altra attività lavorativa, senza che ciò determini, per le sue concrete modalità di svolgimento, alcun rischio di aggravamento della patologia né alcun ritardo nella ripresa del lavoro, e dunque senza violazione degli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto. In materia di licenziamento per giusta causa, secondo Cassazione 1173/2018, lo svolgimento da parte del lavoratore di un'attività extralavorativa durante lo stato di malattia contrasta con gli obblighi di buona fede e correttezza nell'esecuzione del rapporto di lavoro, qualora si riscontri, con onere della prova a carico del datore di lavoro, che tale attività costituisce indice di scarsa attenzione del lavoratore alla propria salute e ai relativi doveri di cura e non ritardata guarigione. Per Cassazione 12102/2018 la nozione di insussistenza del fatto contestato , di cui all'art. 18, comma 4, st.lav. novellato, comprende l'ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità ne consegue che, ove il fatto, connotato da antigiuridicità, risulti accertato senza che la condotta sia punita dal c.c.n.l. con una sanzione meramente conservativa, non è configurabile la fattispecie di cui al citato comma 4, esulando da tale ambito la valutazione sulla proporzionalità della misura adottata. In senso conforme si veda anche la precedente Cassazione 17625/2014 per la quale lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia è idonea a giustificare il recesso del datore di lavoro per violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà ove tale attività esterna, prestata o meno a titolo oneroso, sia per sé sufficiente a far presumere l'inesistenza della malattia, dimostrando, quindi, una sua fraudolente simulazione, ovvero quando, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, l'attività stessa possa pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore, ferma restando la necessità che, nella contestazione dell'addebito, emerga con chiarezza il profilo fattuale, così da consentire una adeguata difesa da parte del lavoratore. SEZIONE LAVORO 7 FEBBRAIO 2019 N. 3647 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - IN GENERE. Revoca del licenziamento - Accettazione della revoca - Libertà di forma - Comportamenti taciti del lavoratore - Ricostruzione della volontà abdicativa del lavoratore - Necessità - Fondamento. La revoca del licenziamento non richiede la forma scritta atteso il principio per cui i negozi risolutori degli effetti di atti che richiedono - come il licenziamento - la forma scritta non sono assoggettati ad identici requisiti formali in ragione dell'autonomia negoziale, di cui la libertà di forma costituisce, in mancanza di diversa prescrizione legale, significativa espressione. E parimenti libera, per le medesime ragioni, la forma dell'accettazione, da parte del lavoratore, della revoca del licenziamento, che può avvenire anche in forma tacita o presunta, ma il relativo accertamento presuppone una ricostruzione della volontà abdicativa, anche attraverso elementi indiziari ex art. 2729 c. c., in termini certi e idonei a consentire di attestare, in modo univoco, la volontà del lavoratore a rinunziare ad un diritto già entrato nel suo patrimonio. Tra i precedenti conformi in argomento si veda Cassazione 5929/2008. Per Cassazione 36/2016, in tema di licenziamento del lavoratore, la revoca del recesso datoriale non può, di per sé, avere l'effetto di ricostituire il rapporto di lavoro, occorrendo a tal fine una manifestazione di volontà, anche tacita, del lavoratore, restando, tuttavia, escluso che il consenso al ripristino del rapporto possa derivare dalla prestazione di lavoro nel periodo di preavviso, che ha efficacia solo obbligatoria. Ne consegue che la revoca non può sottrarre al lavoratore il diritto all'indennità sostitutiva, prevista dall'art. 18, quinto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nel testo introdotto dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108, il cui esercizio verrebbe altrimenti ad essere di fatto rimesso al datore di lavoro. In argomento si veda ancora Cassazione 14343/2012 per la quale il rapporto di lavoro a tempo indeterminato può essere risolto dal lavoratore con una dichiarazione di volontà unilaterale e recettizia dimissioni , per la quale vige il principio della libertà di forma, a meno che le parti non abbiano espressamente previsto nel contratto, collettivo o individuale, una forma convenzionale, quale la forma scritta in tal caso, quest'ultima si presume voluta per la validità dell'atto di dimissioni, a norma dell'art. 1352 cod. civ., applicabile anche agli atti unilaterali, con la conseguenza che le dimissioni rassegnate oralmente, anziché per iscritto come richiesto dalla contrattazione collettiva applicabile nella specie, art. 130 del c.c.n.l. 8 luglio 1982 per i dipendenti del settore turismo , sono invalide per difetto della forma ad substantiam . SEZIONE LAVORO 4 FEBBRAIO 2019 N. 3186 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - PER GIUSTIFICATO MOTIVO – OBIETTIVO. Trasferimento di azienda - Licenziamento - Nullità - Esclusione - Manifesta insussistenza del fatto - Inclusione. Il licenziamento causato dal trasferimento d'azienda non è nullo ma annullabile per difetto di giustificato motivo oggettivo, in quanto l'art. 2112 c.c. non pone un generale divieto di recesso datoriale ma si limita ad escludere che la vicenda traslativa possa di per sé giustificarlo ne consegue che il licenziamento intimato in vista di una futura fusione societaria - non ancora attuale al momento del recesso - concretizza l'ipotesi della manifesta insussistenza del fatto ex art. 18, comma 7, st.lav., come novellato dalla l. n. 92/2012. In caso di cessione d'azienda, l'alienante conserva il potere di recesso attribuitogli dalla normativa generale, sicché il trasferimento, sebbene non possa esserne l'unica ragione giustificativa, non può impedire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, sempre che abbia fondamento nella struttura aziendale autonomamente considerata e non nella connessione con il trasferimento o nella finalità di agevolarlo né deve ritenersi - qualora, nell'imminenza del trasferimento dell'azienda, l'imprenditore alienante receda dal rapporto di lavoro nei casi in cui detta facoltà gli sia attribuita - che nel suo esercizio in concreto l'imprenditore ponga in essere un atto emulativo o in frode alla legge, oppure in violazione dei principi di correttezza e buona fede a norma degli artt. 1175 e 1375 c.c. Cassazione 11410/2018. Il rapporto di lavoro del lavoratore, illegittimamente licenziato prima del trasferimento di azienda, continua con il cessionario dell' azienda qualora, per effetto della sentenza intervenuta tra le parti originarie del rapporto, il recesso sia stato annullato, senza che rilevi l'anteriorità del recesso rispetto al trasferimento d' azienda, salva la possibilità per il cessionario, convenuto in giudizio ai sensi dell'art. 2112 cod. civ., di opporre le eccezioni relative al rapporto di lavoro, alle modalità della sua cessazione o alla tutela applicabile al cedente avverso il licenziamento, a prescindere dalle difese spiegate da quest'ultimo e dalla formazione del giudicato nei suoi confronti ed in favore del lavoratore Cassazione 4130/2014.