RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 8 MAGGIO 2018 N. 10951 IMPIEGO PUBBLICO - ACCESSO AI PUBBLICI IMPIEGHI IN GENERE - IN GENERE. Contratti di collaborazione coordinata e continuativa con la P.A. - Accertamento della natura subordinata - Diritto al risarcimento del danno - Sussistenza - Allegazione dell'abusiva reiterazione del termine - Necessità. In tema di pubblico impiego privatizzato, qualora la P.A. faccia ricorso a successivi contratti formalmente qualificati di collaborazione coordinata e continuativa e il lavoratore ne alleghi l'illegittimità anche sotto il profilo del carattere abusivo della reiterazione del termine, il giudice è tenuto ad accertare se di fatto si sia instaurato un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato e a riconoscere al lavoratore, in assenza dei presupposti richiesti dalla legge per la reiterazione, il risarcimento del danno, alle condizioni e nei limiti necessari a conformare l'ordinamento interno al diritto dell'Unione europea. Tra i precedenti in argomento si veda il principio di diritto affermato da Sezioni Unite 5072/16 per le quali in materia di pubblico impiego privatizzato, nell'ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall'art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165/2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13 , sicché, mentre va escluso - siccome incongruo - il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all'art. 32, comma 5, della l. n. 183/2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come danno comunitario , determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l'indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l'onere probatorio del danno subito. Secondo Cassazione 3384/17 in caso di stipulazione di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa con una P.A., al di fuori dei presupposti di legge, il lavoratore non può mai conseguire la conversione del rapporto in uno di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ma solo una tutela risarcitoria, nei limiti di cui all'art. 2126 c.c., qualora il contratto di collaborazione abbia la sostanza di rapporto di lavoro subordinato, con conseguente diritto anche alla ricostruzione della posizione contributiva previdenziale. SEZIONE LAVORO 2 MAGGIO 2018 N. 10435 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - PER GIUSTIFICATO MOTIVO – OBIETTIVO. Manifesta insussistenza del fatto - Tutela reintegratoria - Applicabilità - Condizioni - Eccessiva onerosità per il datore di lavoro - Rilevanza. In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, ove il giudice accerti il requisito della manifesta insussistenza del fatto posto alla base del licenziamento , previsto dall'art. 18, comma 7, stat.lav., come novellato dalla l. n. 92/2012, può scegliere di applicare la tutela reintegratoria di cui al comma 4 del medesimo art. 18, salvo che, al momento di adozione del provvedimento giudiziale, tale regime sanzionatorio non risulti incompatibile con la struttura organizzativa dell'impresa e dunque eccessivamente oneroso per il datore di lavoro in tal caso, nonostante l'accertata manifesta insussistenza di uno dei requisiti costitutivi del licenziamento, potrà optare per l'applicabilità della tutela indennitaria di cui al comma 5. LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - PER GIUSTIFICATO MOTIVO – OBIETTIVO. Manifesta insussistenza del fatto - Nozione - Impossibilità del repechage - Inclusione. In tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, la verifica del requisito della manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento previsto dall'art. 18, comma 7, stat.lav., come novellato dalla l. n. 92/2012, concerne entrambi i presupposti di legittimità del recesso e, quindi, sia le ragioni inerenti all'attività produttiva, all'organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa sia l'impossibilità di ricollocare altrove il lavoratore cd. repêchage fermo l'onere della prova che grava sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 5 della l. n. 604/1966, la manifesta insussistenza va riferita ad una evidente, e facilmente verificabile sul piano probatorio, assenza dei suddetti presupposti, che consenta di apprezzare la chiara pretestuosità del recesso. Parere difforme rispetto al principio di cui alla prima massima è espresso da Cassazione 17528/17 per la quale la locuzione di cui all’art. 18, comma 7, stat.lav., come novellato dalla l. n. 92 del 2012, può altresì applicare” deve interpretarsi nel senso che, a fronte dell’inesistenza del fatto posto a base del licenziamento, il giudice, tenuto conto degli elementi del caso concreto, applica la reintegra, essendo esclusa ogni sua discrezionalità. Ove, viceversa, emerga che il fatto posto a fondamento del licenziamento esista, ma non sia ritenuto concretare un giustificato motivo oggettivo, trova applicazione la tutela indennitaria. In argomento si veda altresì Cassazione 18418/16 per la quale l'insussistenza del fatto contestato, di cui all'art. 18 stat.lav., come modificato dall'art. 1, comma 42, della l. n. 92/2012, comprende l'ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, sicché in tale ipotesi si applica la tutela reintegratoria, senza che rilevi la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità. In relazione al principio di cui alla seconda massima si veda Cassazione 13379/17 per la quale in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, per la soppressione del posto di lavoro cui era addetto il lavoratore, qualora questi svolgeva ordinariamente in modo promiscuo mansioni inferiori, oltre quelle soppresse, sussiste a carico del datore di lavoro l’obbligo di repechage” anche in ordine alle mansioni inferiori. Ai fini del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, si veda Cassazione 24882/17 per la quale l’art. 3 della l. n. 604 del 1966 richiede a la soppressione del settore lavorativo o del reparto o del posto cui era addetto il dipendente, senza che sia necessaria la soppressione di tutte le mansioni in precedenza attribuite allo stesso b la riferibilità della soppressione a progetti o scelte datoriali - insindacabili dal giudice quanto ai profili di congruità e opportunità, purché effettivi e non simulati - diretti ad incidere sulla struttura e sull'organizzazione dell’impresa, ovvero sui suoi processi produttivi, compresi quelli finalizzati ad una migliore efficienza ovvero ad incremento di redditività c l’impossibilità di reimpiego del lavoratore in mansioni diverse, elemento che, inespresso a livello normativo, trova giustificazione sia nella tutela costituzionale del lavoro che nel carattere necessariamente effettivo e non pretestuoso della scelta datoriale, che non può essere condizionata da finalità espulsive legate alla persona del lavoratore. L’onere probatorio in ordine alla sussistenza di questi presupposti è a carico del datore di lavoro, che può assolverlo anche mediante ricorso a presunzioni, restando escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei posti assegnabili.