RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 30 AGOSTO 2017 N. 20590 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO NOZIONE, DIFFERENZE DALL'APPALTO E DAL RAPPORTO DI LAVORO AUTONOMO, DISTINZIONI - RINUNZIE E TRANSAZIONI - IN GENERE. Negozio transattivo - Elementi identificativi - Fattispecie. La natura transattiva di un accordo stipulato tra datore di lavoro e lavoratore può essere esclusa quando, oltre al dato formale della mancata esplicitazione dei presupposti del negozio transattivo, sia riscontrabile, sulla base di una complessiva valutazione del medesimo, nonché della condotta tenuta dalle parti, una carenza assoluta degli elementi tipici del negozio stesso, quali la res litigiosa ”, le reciproche concessioni, la volontà di porre fine a una lite nella specie, la S.C., dando applicazione al principio, ha confermato la pronuncia di merito che aveva escluso la natura transattiva di un negozio in cui non erano enunciate le diverse posizioni contrapposte, né la specifica pretesa economica del lavoratore, risultando solo una sua generica dichiarazione di non avere nulla a pretendere e di accettazione di una somma di denaro in via transattiva”, a fronte di un rapporto lavorativo durato circa quattordici anni, di cui dieci non formalizzati . Poiché nel contratto di transazione la prova scritta è richiesta dalla legge soltanto ad probationem , non osta alla qualificabilità di un contratto come transazione, ai sensi dell'articolo 1975 c.c., il fatto che le reciproche concessioni tra le parti intese a far cessare la situazione di dubbio in atto che caratterizzano il contratto di transazione non siano specificamente indicate nel documento ma possano emergere dal complesso dell'atto nonché da elementi eventualmente esterni ad esso Cassazione 13389/2007. L'accertamento della natura transattiva, o meno, di un negozio è rimesso all'apprezzamento di fatto del giudice di merito ed è sottratto al sindacato di legittimità, salvo che la motivazione non consenta la ricostruzione dell'iter logico seguito dal giudice per giungere ad attribuire al negozio un determinato significato oppure nel caso di violazione delle norme di ermeneutica ex articolo 1362 c.c., ovvero se la relativa decisione non sia sorretta da una motivazione congrua, logica e completa. Alla stregua del disposto del n. 5 dell'articolo 360 c.p.c., e dal raffronto tra il testo vigente e quello anteriore alla novella del 1950, la Corte regolatrice non può abdicare ad ogni compito di verifica della sussistenza di una valida motivazione, dovendosi pur sempre discriminare tra obbligo formale di motivare e obbligo di fondare in modo sufficiente il proprio convincimento ma, in entrambe le ipotesi, è imposto al giudice di spiegare il decisum in base a criteri non viziati da errori logici o giuridici e, anche, di risolvere la questione di fatto secondo i canoni metodologici che dall'ordinamento giuridico sono per essa immediatamente espressi o, comunque, ricavabili Cassazione 17817/2005.