RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 5 AGOSTO 2015, N. 16456 LAVORO – LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - IMPUGNAZIONE – DECADENZA. Pubblico impiego privatizzato - Impugnazione giudiziale - Termine di decadenza - Richiesta di procedura arbitrale prevista dalla contrattazione collettiva nel regime successivo al D.Lgs. 150/2009 - Incidenza - Esclusione - Fondamento. In tema di licenziamento nel pubblico impiego privatizzato, la richiesta di avvio della procedura arbitrale prevista dalla contrattazione collettiva non è idonea ad evitare la decadenza dall’azione giudiziaria ex art. 6 della legge 604/1966 ove sia stata presentata successivamente all’entrata in vigore dell’art. 68 del D.Lgs. 150/2009, sostitutivo dell’art. 55 del D.Lgs. 165/2001, che ha vietato, a pena di nullità, la possibilità del ricorso a tali procedure, salve solo, ex art. 73 del D.Lgs. 150 cit., quelle pendenti a tale data, sicché non può operare neppure il prolungamento del termine a 270 giorni previsto dall’art. 6, comma 2, secondo periodo, della legge 604/1966, come modificato dalla legge 183/2010, che presuppone l’idoneità dell’atto a determinare l’inizio di una procedura arbitrale suscettibile di essere accettata o rifiutata dalla P.A Sull’ambito di applicazione dell’art. 32, comma 1 bis, della legge 183/2010, introdotto dal Dl 225/2010, conv. con modif. dalla legge 10/2011, si veda Cassazione 14406/2015 per la quale la normativa, nel prevedere in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato articolo 6 della legge 604/1966, e, dunque, non solo l’estensione dell’onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, ma anche l’inefficacia di tale impugnativa, prevista dallo stesso art. 6, comma 2, anche per le ipotesi già in precedenza soggette al relativo onere, per l’omesso deposito, nel termine di decadenza stabilito, del ricorso giudiziale o della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato. Ne consegue che tale nuova disciplina, con la relativa proroga, non si applica ai licenziamenti impugnati in epoca antecedente alla sua entrata in vigore. In argomento si veda ancora Cassazione 5717/2015 per la quale l’art. 32, comma 1, della legge 183/2010, modificato dall’art. 1, comma 38, della legge 92/2012, nel prevedere l’inefficacia dell’impugnazione” extragiudiziale non seguita da tempestiva azione giudiziale, comporta che il termine per proporre l’azione giudiziale decorre dal compimento della prima - da identificarsi, per esigenze di celerità e certezza, con il momento di spedizione e non ricezione dell’atto - e non dalla scadenza dei sessanta giorni concessi per l’impugnazione stragiudiziale. Per il regime previgente si veda Cassazione 5045/2008 secondo la quale con riferimento al rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, l’art. 6, comma 1, del contratto collettivo nazionale quadro in materia di procedure di conciliazione e arbitrato del 23 gennaio 2001, che fa riferimento all’impugnabilità delle sanzioni disciplinari dinanzi all’arbitro unico, così come integrato dall’art. 1 dell’accordo di interpretazione autentica del 13 novembre 2001, il quale limita tale facoltà del lavoratore al termine di 20 giorni dall’applicazione della sanzione, delinea un sistema in cui alla facoltà del lavoratore corrisponde una situazione di soggezione dell’Amministrazione nella scelta della controparte, nel mentre alla limitazione temporale per l’esercizio di tale facoltà fa riscontro l’integrale potere dell’Amministrazione di aderire o meno alla richiesta di arbitrato conseguentemente, la richiesta di impugnazione dinanzi all’arbitro unico in base al contratto quadro, di sanzione disciplinare non risolutiva del rapporto, formulate oltre il predetto termine, non vincola l’Amministrazione tuttavia, laddove quest’ultima, pur non avendone l’obbligo, abbia aderito esercitando i poteri del privato datore di lavoro conferitile dall’art. 5 D.Lgs. 165/2001, non può successivamente sollevare in alcun momento della procedura arbitrale l’eccezione di tardività per mancato rispetto del termine di 20 giorni, poiché ciò equivarrebbe ad una non più ammissibile revoca del consenso già prestato.