RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 3 LUGLIO 2015 N. 13673 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - CATEGORIE E QUALIFICHE DEI PRESTATORI DI LAVORO - MANSIONI - COMANDI E DISTACCHI. Società datore di lavoro - Distacco di un proprio dirigente quale amministratore delegato in società partecipata - Interesse del datore di lavoro - Sussistenza - Fondamento. LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - IN GENERE. Deduzione in giudizio della illegittimità per difetto di giusta causa o giustificato motivo - Accertamento d'ufficio del motivo discriminatorio o ritorsivo - Esclusione. L'interesse della società datrice di lavoro ex art. 30 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, al distacco di un proprio dirigente nella società partecipata, di cui essa è socia di minoranza, perché questi assuma le funzioni di amministratore delegato su nomina del consiglio di amministrazione, va ravvisato nello svolgimento della suddetta funzione, atteso il rilievo che tale incarico ricopre per il governo della società destinataria del distacco, integrando ciò l'esecuzione di una determinata attività lavorativa . Qualora il lavoratore, impugnato il licenziamento, agisca in giudizio deducendo il difetto di giusta causa o giustificato motivo, l'eventuale motivo discriminatorio o ritorsivo, pur ricavabile da circostanze di fatto allegate, integra un ulteriore, e non già compreso, motivo di illegittimità del recesso, come tale non rilevabile d'ufficio dal giudice e neppure configurabile come mera diversa qualificazione giuridica della domanda. Tra i precedenti in merito alla prima massima, si veda Cassazione 7517/2012 per la quale, con riferimento al distacco, ha affermato che la dissociazione fra il soggetto che ha proceduto all'assunzione del lavoratore e l'effettivo beneficiario della prestazione c.d. distacco o comando è consentita soltanto a condizione che essa realizzi, per tutta la sua durata, uno specifico interesse imprenditoriale tale da consentirne la qualificazione come atto organizzativo dell'impresa che la dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa e la conseguente temporaneità del distacco, coincidente con la durata dell'interesse del datore di lavoro allo svolgimento della prestazione del proprio dipendente a favore di un terzo. Il relativo accertamento è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi. La stessa pronuncia inoltre con riferimento ai criteri di valutazione della sussistenza del lavoro dirigenziale afferma che ai fini della configurazione del lavoro dirigenziale - nel quale il lavoratore gode di ampi margini di autonomia ed il potere di direzione del datore di lavoro si manifesta non in ordini e controlli continui e pervasivi, ma essenzialmente nell'emanazione di indicazioni generali di carattere programmatico, coerenti con la natura ampiamente discrezionale dei poteri riferibili al dirigente - il giudice di merito deve valutare, quale requisito caratterizzante della prestazione, l'esistenza di una situazione di coordinamento funzionale della stessa con gli obiettivi dell'organizzazione aziendale, idonea a ricondurre ai tratti distintivi della subordinazione tecnico-giuridica, anche se nell'ambito di un contesto caratterizzato dalla c.d. subordinazione attenuata. Sempre con riferimento all’istituto del distacco, si rinvia a Cassazione 26138/2013 per la quale il distacco del lavoratore non comporta una novazione soggettiva e l'insorgenza di un nuovo rapporto con il beneficiario della prestazione lavorativa, ma solo una modificazione nell'esecuzione dello stesso rapporto, nel senso che l'obbligazione del lavoratore di prestare la propria opera viene temporaneamente adempiuta non in favore del datore di lavoro ma in favore del soggetto - cui sono attribuiti i connessi poteri direttivi e disciplinari - presso il quale il datore medesimo ha disposto il distacco del dipendente. Il principio di diritto di cui alla seconda massima risulta già affermato in termini identici da Cassazione 23683/2004. Quanto ai profili processuali della pronuncia, si rinvia a Cassazione 424/1998 per la quale nell'esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, il giudice del merito non è condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tenere conto piuttosto del contenuto sostanziale della pretesa, desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, nonché del provvedimento richiesto in concreto, senza altri limiti che quello di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta e di non sostituire d'ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta. Ove tale principio sia violato - e quindi venga denunziato un errore in procedendo, quale l'omessa pronunzia su di una domanda che si afferma regolarmente proposta - la Corte di cassazione ha il potere - dovere di procedere direttamente all'esame e all'interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e delle deduzioni delle parti. In argomento si veda anche Cassazione 10834/2015 che in tema di licenziamento, afferma che, laddove vengano in considerazione profili discriminatori o ritorsivi nel comportamento datoriale, il giudice, alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata e non in contrasto con la normativa comunitaria, deve tenerne conto senza distinguere tra accertamento della giusta causa e quello avente ad oggetto la verifica della volontà datoriale, sicché, ove risulti che la condotta del datore di lavoro sia univocamente motivata da un intento ritorsivo o discriminatorio nei confronti del lavoratore, è illegittimo il licenziamento disposto quale conseguenza del cumulo di pluralità di sanzioni, tanto più in assenza di addebiti idonei a giustificare, di per sé, il recesso.