RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 11 FEBBRAIO 2015, N. 2696 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - RETRIBUZIONE – PRESCRIZIONE. Lavoro carcerario - Pretese retributive - Prescrizione - Sospensione durante il periodo della detenzione - Fondamento - Protrazione - Fino alla data di cessazione del rapporto di lavoro - Estensione sino alla fine della detenzione - Esclusione. In tema di lavoro carcerario, il termine di prescrizione dei diritti del lavoratore non decorre durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, in sé privo di stabilità, poiché, nei confronti del prestatore, è configurabile una situazione di metus”, che, pur non identificandosi necessariamente in un timore di rappresaglie da parte del datore di lavoro, è riconducibile alla circostanza che la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dall’attività lavorativa del detenuto possono non coincidere con quelli che contrassegnano il lavoro libero attesa la necessità di preservare le modalità essenziali di esecuzione della pena e le corrispondenti esigenze organizzative dell’amministrazione penitenziaria. Ne consegue, peraltro, che la sospensione della prescrizione permane solo fino alla cessazione del rapporto di lavoro in quanto, in assenza di specifiche disposizioni, non può estendersi all’intero periodo di detenzione. Tra i precedenti conformi in argomento si veda Cassazione 21573/2007. Per Cassazione 9969/2007 le oggettive caratteristiche del lavoro carcerario presentano tratti comuni a quelli che in altri rapporti di lavoro giustificano la non decorrenza del termine prescrizionale dei diritti del lavoratore durante lo svolgimento del rapporto e che non si identificano necessariamente col timore di rappresaglie da parte del datore di lavoro, come può accadere nel caso del lavoro nautico, marittimo od aereo, pur non potendosi escludere nei confronti del lavoratore carcerario la configurabilità di una situazione di metus”, comunque giustificativa di detta sospensione, riconducibile alla circostanza che la configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dal rapporto di lavoro dei detenuti possono non coincidere del tutto con quelle che contrassegnano il lavoro libero, in funzione della necessità di mantenere integre le modalità essenziali di esecuzione della pena e di assicurare le corrispondenti esigenze organizzative dell’amministrazione penitenziaria. In materia di lavoro dei detenuti, si veda Cassazione 17869/2014 per la quale, trattandosi di rapporto di lavoro con il Ministero della Giustizia, opera il divieto di cumulo tra rivalutazione monetaria ed interessi poiché non ricorre la medesima ratio” di cui alla pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale 459/2000 - che ha escluso il divieto per i crediti dei lavoratori privati - ma sussistono ragioni di contenimento della spesa pubblica, che giustificano la differenziazione della disciplina. SEZIONE LAVORO 10 FEBBRAIO 2015, N. 2554 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - DIRITTO ALLA CONSERVAZIONE DEL POSTO - INFORTUNI E MALATTIE – COMPORTO. Richiesta di specificazione dei motivi del recesso e i periodi di malattia - Obbligo del datore di comunicare i motivi del recesso - Violazione - Conseguenza - Fattispecie. In tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, a fronte della richiesta del lavoratore, di conoscere i periodi di malattia, il datore di lavoro deve indicare, a pena di inefficacia del licenziamento, i motivi del recesso ex art. 2, comma 2, della legge 604/1966 Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello in quanto il datore di lavoro aveva ricevuto la richiesta di conoscere i periodi di malattia nella sede legale della società, come attestato dal timbro apposto alla ricevuta di ritorno, ma non aveva fornito l’indicazione dei motivi del recesso . Tra i precedenti in argomento si veda Cassazione 22392/2012 per la quale in tema di licenziamento per superamento del periodo di comporto, l’art. 19, comma 1, del c.c.n.l. metalmeccanici dell’8 giugno 1999, nel prevedere che, in caso di superamento dei limiti di conservazione del posto per malattia, il lavoratore possa usufruire, su sua domanda, di un ulteriore, autonomo ma collegato, periodo di aspettativa aggiunto fino alla durata massima di 18 mesi, dopo il quale è nella facoltà dell’azienda procedere alla risoluzione del rapporto, configura una ipotesi di comporto per sommatoria. Ne consegue che, ove il recesso sia intimato senza precisare i diversi periodi di assenza, la mancata tempestiva ottemperanza dal datore di lavoro alla richiesta di specificazione del lavoratore particolarmente significativa le ipotesi di comporto per sommatoria ex art. 2 della legge 604/1966 esclude che di dette assenze possa tenersi conto ai fini della verifica del superamento del periodo di comporto, potendosi ritenere ammissibile una specificazione successiva, nella sede giudiziale, solo nell’ipotesi in cui il lavoratore abbia direttamente impugnato il licenziamento, non essendo ravvisabile in ciò una integrazione o modificazione della motivazione del recesso. Per Cassazione 23920/2010 il licenziamento per superamento del periodo di comporto è assimilabile non al licenziamento disciplinare, ma a quello per giustificato motivo oggettivo. Ne consegue che il datore di lavoro, non ha l’onere di indicare le singole giornate di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive come la determinazione del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato.