RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 9 DICEMBRE 2014 N. 25902 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - DURATA DEL RAPPORTO - IN GENERE. Dirigenti - Clausola di stabilità del rapporto - Previsione contrattuale che consente il licenziamento solo per giusta causa - Estensione al giustificato motivo oggettivo - Ammissibilità - Esclusione - Fondamento. In tema di rapporto di lavoro dirigenziale, è valida la clausola di stabilità per una durata minima garantita, che si traduca in una preventiva rinunzia del datore di lavoro alla facoltà di recesso, salvo il limite della giusta causa ex art. 2119 cod. civ., la cui portata non può estendersi alla ipotesi di sussistenza di un giustificato motivo oggettivo, che prescinde dall'inadempimento del lavoratore e la cui inclusione comporterebbe l'esposizione del rapporto di lavoro alle stesse vicende risolutive che avrebbe potuto soffrire in assenza del patto, sì da vanificare la garanzia di stabilità concordata, in violazione del canone ermeneutico di cui all'art. 1367 cod. civ. La clausola di stabilità” che assicura una durata minima garantita del rapporto di lavoro dirigenziale ha lo scopo, da un lato, di soddisfare l'interesse del datore di lavoro ad assicurarsi la collaborazione del dirigente e, dall'altro, di garantire a quest'ultimo la continuità della prestazione lavorativa, attraverso la preventiva rinuncia della parte datoriale alla facoltà di recesso, sicché il limite a tale rinunzia può identificarsi solo nella sussistenza di una giusta causa di recesso, che comporti il venir meno del vincolo fiduciario Cassazione 13335/2014. SEZIONE LAVORO 4 DICEMBRE 2014 N. 25682 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO - OBBLIGO DI FEDELTÀ - IN GENERE. Produzione in giudizio di copia di atti aziendali da parte del lavoratore - Violazione del dovere di fedeltà - Esclusione - Influenza decisiva sull'esito del giudizio - Rilevanza - Esclusione - Fondamento - Esercizio del diritto di difesa - Principio ex art. 51 cod. pen. - Valenza generale. Il lavoratore che produca in una controversia di lavoro copia di atti aziendali riguardanti direttamente la propria posizione lavorativa non viene meno ai doveri di fedeltà di cui all'art. 2105 cod. civ., anche ove i documenti prodotti non abbiano avuto influenza decisiva sull'esito del giudizio, operando, in ogni caso, la scriminante dell'esercizio del diritto di cui all'art. 51 cod. pen., che ha valenza generale nell'ordinamento, senza essere limitata al mero ambito penalistico. In senso conforme al principio di cui alla presente massima si veda già Cassazione 12528/2004 per la quale non integra violazione dell'obbligo di fedeltà, di cui all'art. 2105 cod. civ., la produzione in giudizio di copie di atti ai quali il dipendente abbia avuto accesso, giacché tale produzione, avendo ad oggetto copie - e non originali -, da un lato, non costituisce sottrazione di documenti in senso proprio e, dall'altro, essendo finalizzata all'esercizio del diritto di difesa, inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, ed esclusivamente a tale esercizio, con le modalità prescritte dal codice di rito, non comporta divulgazione del contenuto dei documenti ed assolve ad una esigenza prevalente su quella di riservatezza propria del datore di lavoro. Analogamnete per Cassazione 6501/2013 non costituisce giusta causa o giustificato motivo di licenziamento l'avere il dipendente allegato alla denuncia o all'esposto presentati all'Autorità Giudiziaria documenti aziendali, aventi ad oggetto fatti di potenziale rilevanza penale accaduti presso l'azienda. In argomento si veda ancora Cassazione 3038/2011 la quale nel caso in esame ritiene insussistente la violazione dell’obbligo di fedeltà, tenuto conto che l'applicazione corretta della normativa processuale in materia è idonea a impedire una vera e propria divulgazione della documentazione aziendale e che, in ogni caso, al diritto di difesa in giudizio deve riconoscersi prevalenza rispetto alle eventuali esigenze di riservatezza dell'azienda ne consegue la legittimità della produzione in giudizio dei detti atti trattandosi di prove lecite.