RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 15 MAGGIO 2014, N. 10668 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO - SUBORDINAZIONE - SANZIONI DISCIPLINARI. Impugnazione di sanzione disciplinare - Fissazione dell’udienza di discussione successivamente al biennio di efficacia della sanzione disciplinare - Carenza di interesse del lavoratore - Esclusione. In materia disciplinare, il termine biennale di efficacia delle sanzioni, di cui all’art. 7, ottavo comma, legge 300/1970, non può ritenersi decorso qualora il lavoratore abbia impugnato la sanzione prima del biennio, mediante deposito del ricorso introduttivo del giudizio. Ne consegue che permane in capo al lavoratore l’interesse ad agire, anche se l’udienza di discussione sia fissata oltre due anni dopo l’irrogazione della sanzione. In argomento si veda Cassazione 7546/2006 per la quale l’impugnazione di una sanzione disciplinare nel caso di specie, sospensione è consentita finché non si consuma il termine di prescrizione, in quanto la disciplina inderogabile dettata dall’art. 7 della legge 300/1970 non contempla termini di decadenza per impugnare le sanzioni disciplinari, a meno che il lavoratore stesso non abbia posto in essere un comportamento positivo volto a dimostrare acquiescenza. Per Cassazione 14555/2000 ai fini della disciplina posta dall’ultimo comma dell’art. 7, legge 300/1970, che prevede che non può tenersi conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari trascorsi due anni dalla loro applicazione, la nozione di applicazione” va riferita non già al momento dell’esecuzione della misura sanzionatoria, bensì a quello della sua irrogazione, che corrisponde più specificamente al momento in cui la sanzione viene formalmente comunicata al dipendente. Pertanto, allorquando ai fini dell’irrogazione di una specifica sanzione conservativa o del licenziamento disciplinare, il contratto collettivo consideri la recidiva quale elemento di integrazione della condotta in tal modo sanzionabile, il datore di lavoro non può tenere in alcun conto della precedente pena da lui irrogata che, per essere stata - per qualsiasi ragione e quindi anche per ragioni di rito - dichiarata nulla o inefficace o annullata dal collegio arbitrale o dall’autorità giudiziaria a seguito di decisione definitiva, non può più avere alcuna rilevanza in danno del lavoratore. SEZIONE LAVORO 14 MAGGIO 2014, N. 10429 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - CATEGORIE E QUALIFICHE DEI PRESTATORI DI LAVORO - QUALIFICHE - CARRIERA - CONCORSI INTERNI. Illegittimo espletamento di un concorso - Risarcimento del danno - Oneri probatori del lavoratore pretermesso in presenza di altri idonei non promossi. In tema di risarcimento del danno connesso allo svolgimento di procedure selettive nell’impiego privato, incombe sul singolo dipendente l’onere di provare pur se solo in modo presuntivo il nesso di causalità fra l’inadempimento datoriale e il danno derivato dal mancato conseguimento della qualifica superiore e, nel caso in cui il concorrente pretermesso sia preceduto da altri idonei non promossi, è necessario un raffronto anche con la posizione di questi candidati, da cui emerga l’illegittimità che ha determinato la mancata promozione lamentata. In tema di procedure concorsuali di selezione del personale, secondo Cassazione 1623372012, il datore di lavoro che intende procedere alla copertura di posti di qualifica superiore mediante una selezione del personale di tipo concorsuale interno assume un obbligo contrattuale, nei confronti di ciascun dipendente partecipante, all’osservanza delle regole procedurali e delle norme di selezione con le quali ha autodisciplinato la propria discrezionalità, secondo i principi di correttezza e buona fede la violazione di tali criteri comporta il risarcimento del danno che al lavoratore può derivare per perdita di chance”, e tale danno va risarcito sulla base del tasso di probabilità che egli aveva di risultare vincitore, qualora la selezione tra i concorrenti si fosse svolta in modo corretto e trasparente. In caso d’illegittima esclusione di dipendente, da parte del datore di lavoro, nella selezione per il conferimento di qualifiche superiori o altri benefici, per Cassazione 3415/2012, il conseguente danno da perdita di chance” dev’essere liquidato con valutazione equitativa ai sensi dell’art. 1226 cc, tenendo presente, ai fini del giudizio probabilistico e comparativo necessario, ogni elemento di prova ritualmente introdotto nel processo. Ne consegue che il giudice dovrà rigettare la domanda risarcitoria quando gli elementi probatori acquisiti permettano di escludere con adeguata sicurezza che il lavoratore potesse avere concrete possibilità di successo, mentre, in mancanza di risultanze sul possibile esito della selezione ove correttamente eseguita, potrà ricorrere al criterio residuale del rapporto tra il numero dei soggetti da selezionare e quello dei lavoratori che avrebbero dovuto formare oggetto di selezione, se del caso traendo argomenti di convincimento, circa il grado di probabilità favorevole, anche dal comportamento processuale delle parti, e in particolare dalle carenze di allegazione e prova dei fatti rilevanti e rientranti nell’ambito delle rispettive conoscenze e possibilità di attestazione.