RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 17 GENNAIO 2014, N. 901 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - RETRIBUZIONE - CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI. Trattamento di fine rapporto - Credito maturato durante il periodo di cassa integrazione - Natura previdenziale - Fondamento - Conseguenze - Prescrizione ordinaria decennale. In materia di trattamento di fine rapporto, il credito maturato durante il periodo di cassa integrazione, in quanto non compensativo di prestazioni di lavoro effettivamente rese, ha natura previdenziale e non retributiva, in quanto inteso ad assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore temporaneamente ed involontariamente disoccupato, con conseguente soggezione alla prescrizione ordinaria decennale. Analogo principio è affermato da Cassazione 16617/2011 per la quale, stante la natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, lo stesso è perciò distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro, senza che possa configurarsi un’ipotesi di obbligazione solidale restando esclusa, pertanto, la fattispecie di obbligazione solidale . Esso si perfeziona non con la cessazione del rapporto di lavoro ma al verificarsi dei presupposti previsti da detta legge quali l’insolvenza del datore di lavoro, la verifica dell’esistenza e della misura del credito in sede di ammissione al passivo ovvero all’esito di procedura esecutiva , con la conseguenza che, prima che si siano verificati tali presupposti, nessuna domanda di pagamento può essere rivolta all’INPS e, pertanto, non può decorrere la prescrizione del diritto del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia. Fattispecie relativa ad insinuazione del Fondo al passivo del fallimento datoriale ai fini di far valere in surrogazione il credito del lavoratore . In materia di trattamento di fine rapporto, anche per Cassazione 15978/2009 la quota maturata durante il periodo di cassa integrazione, erogata ai sensi della legge 301/1979, grava esclusivamente sull’INPS. Ne consegue che, ove sia successivamente intervenuta l’insolvenza del datore di lavoro, l’insinuazione al passivo fallimentare diretta ad ottenere dal Fondo di garanzia, costituito presso l’INPS, le quote maturate in costanza di rapporto di lavoro, non svolge alcun effetto, neppure interruttivo della prescrizione, rispetto al trattamento maturato nel periodo di cassa integrazione, non potendo invocarsi il carattere unitario del TFR, giacché questo si compone di due quote distinte, l’una facente capo al datore, che l’Inps si limita ad accollarsi, e una seconda, che presenta tratti peculiari poiché matura in un periodo in cui non si svolge attività lavorativa, e fa capo direttamente all’INPS. SEZIONE LAVORO 15 GENNAIO 2014, N. 692 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - RETRIBUZIONE - IN GENERE. Obbligo contrattuale di indossare la divisa aziendale - Tempo occorrente ad indossare la divisa - Attività autonomamente esigibile dal datore - Diritto alla retribuzione - Sussistenza. Nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale, ancorché relativo a fase preparatoria del rapporto, deve essere autonomamente retribuito ove la relativa prestazione, pur accessoria e strumentale rispetto alla prestazione lavorativa, debba essere eseguita nell’ambito della disciplina d’impresa e sia autonomamente esigibile dal datore di lavoro, il quale può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Tra i precedenti conformi si veda Cassazione 9215/2012 per la quale n el rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario a indossare l’abbigliamento di servizio tempo-tuta” costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l’attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo. Analogamente per Cassazione 19358/2010, il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale, ancorché relativo a fase preparatoria del rapporto, deve essere autonomamente retribuito ove la relativa prestazione, pur accessoria e strumentale rispetto alla prestazione lavorativa, debba essere eseguita nell’ambito della disciplina d’impresa e sia autonomamente esigibile dal datore di lavoro, il quale può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. In applicazione di tali principi si è espressa Cassazione 15492/2001 con riferimento all’art. 5 del contratto collettivo nazionale per i lavoratori delle industrie meccaniche private in data 8 giugno 1999 e del contratto collettivo nazionale delle aziende meccaniche pubbliche aderenti all’Intersind, nella parte in cui prevede che sono considerate ore di lavoro quelle di effettiva prestazione”, ritenendo che lo stesso debba essere interpretato nel senso che siano da ricomprendere nelle ore di lavoro effettivo, come tali da retribuire, anche le attività preparatorie o successive allo svolgimento dell’attività lavorativa, purché eterodirette dal datore di lavoro, fra le quali deve ricomprendersi anche il tempo necessario ad indossare la divisa aziendale, qualora il datore di lavoro ne disciplini il tempo ed il luogo di esecuzione. Né può ritenersi incompatibile con tale interpretazione la disposizione contenuta nell’art. 5 citato secondo la quale le ore di lavoro sono contate con l’orologio dello stabilimento o reparto”, posto che tale clausola non ha una funzione prescrittiva, ma ha natura meramente ordinatoria e regolativa, ed è destinata a cedere a fronte dell’eventuale ricomprensione nell’orario di lavoro di operazioni preparatorie e/o integrative della prestazione lavorativa che siano, rispettivamente, anteriori o posteriori alla timbratura dell’orologio marcatempo.