RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 4 OTTOBRE 2013, N. 22721 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - CONTRATTO COLLETTIVO – INTERPRETAZIONE. Art. 118 del contratto collettivo per dirigenti e funzionari delle casse di risparmio - Interpretazione - Spese legali sostenute dal dipendente relativamente a procedimento penale - Rimborso - Condizioni - Fattispecie. In materia di rimborso delle spese legali sostenute dal lavoratore relativamente a procedimento penale, l’art. 118 del contratto collettivo nazionale di lavoro per il personale direttivo delle casse di risparmio del 26 luglio 1983 deve essere interpretato sulla base della lettera della clausola contrattuale e della ratio” della stessa, con riconoscimento - alle condizioni previste - del rimborso relativamente ai procedimenti penali promossi per fatti o atti compiuti nel perseguimento delle finalità istituzionali della cassa di risparmio e non anche per quelli posti in essere in occasione” dell’attività lavorativa, e, comunque, con esclusione di atti o fatti posti in essere per finalità personali e in ogni caso estranei all’attività lavorativa. Nella specie, la S.C. ha escluso che possano essere rimborsate dalla banca le spese per assistenza legale in un procedimento penale per fatti di bancarotta per distrazione nei confronti di una società terza, dichiarata fallita, di cui il dirigente bancario era socio ed amministratore occulto . Tra i precedenti conformi si veda Cassazione 24733/2008 per la quale l ’interpretazione dell’art. 14 del c.c.n.l. 21 ottobre 1987 per il personale direttivo delle aziende di credito - che prevede che l’impresa deve sostenere le spese giudiziali e di assistenza legale a favore del funzionario nei cui confronti sia avviata un’azione penale in relazione a fatti commessi nell’esercizio delle sue funzioni” - va effettuata secondo i criteri letterali e logici, avendo cura di accertare la comune intenzione delle parti che hanno stipulato lo specifico contratto collettivo senza che assumano rilievo, a tal fine, eventuali analoghe disposizioni contenute in altri e diversi contratti collettivi , dovendosi attribuire, nell’ambito del processo interpretativo, una particolare importanza al principio di buona fede ex art. 1366 cc, che, operando come criterio di reciprocità nei rapporti tra debitore e creditore, enuncia un dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost. ed impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire così da preservare i reciproci interessi. Ne consegue che è censurabile, in sede di legittimità, l’interpretazione del giudice di merito - in quanto effettuata in violazione dei canoni ermeneutici - ove la clausola contrattuale venga intesa come diretta ad addossare all’impresa le spese giudiziali del lavoratore sottoposto a procedimento penale con riguardo a tutte le ipotesi di reato poste in essere in occasione” dell’attività di lavoro e, quindi, in riferimento ad una mera coincidenza temporale o materiale, anziché solamente alle condotte criminose inerenti al corretto svolgimento dell’attività funzionale, dovendosi ritenere che la tutela apprestata dalla norma collettiva abbia ad oggetto l’esercizio delle funzioni conforme agli interessi dell’azienda ancorché con comportamenti perseguiti penalmente dagli organi giudiziari e non anche la violazione delle funzioni stesse, in danno alla stessa azienda e in contrasto con le istruzioni impartite. SEZIONE LAVORO 3 OTTOBRE 2013, N. 22626 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO - LIBERTÀ E DIGNITÀ DEL LAVORATORE - SANZIONI DISCIPLINARI. Licenziamento - Codice disciplinare - Pubblicità - Affissione - Necessità - Fondamento - Esclusione - Fattispecie. In materia di licenziamento disciplinare il principio di necessaria pubblicità del codice disciplinare mediante affissione in luogo accessibile a tutti non si applica nei casi in cui il licenziamento sia irrogato per sanzionare condotte del lavoratore che concretizzano violazione di norme penali o che contrastano con il cosiddetto minimo etico”, mentre deve essere data adeguata pubblicità al codice disciplinare con riferimento a comportamenti che violano mere prassi operative, non integranti usi normativi o negoziali. In applicazione di detto principio, la S.C. ha ritenuto rilevante la mancata affissione del codice disciplinare, in fattispecie in cui il lavoratore era stato licenziato perché non si era attenuto alle regole operative fissate dalla banca per la valutazione del rischio di illiquidità . In argomento si veda Cassazione 1926/2011 per la quale anche relativamente alle sanzioni disciplinari conservative - e non per le sole sanzioni espulsive - deve ritenersi che, in tutti i casi nei quali il comportamento sanzionatorio sia immediatamente percepibile dal lavoratore come illecito, perché contrario al c.d. minimo etico o a norme di rilevanza penale, non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta. Analogo principio è affermato anche da Cassazione 17763/2004 che afferma che nei casi sopra riferiti non sia necessario provvedere alla affissione del codice disciplinare, in quanto il lavoratore ben può rendersi conto, anche al di là di una analitica predeterminazione dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni da parte del codice disciplinare, della illiceità della propria condotta, dovendosi d’altro canto considerare che sarebbe contraddittorio affermare la sussistenza di un interesse del lavoratore ad essere previamente edotto della possibilità di essere destinatario di una sanzione conservativa per i detti comportamenti e negarla in presenza di sanzioni di carattere espulsivo, le quali sono ben più afflittive. In senso parzialmente difforme si veda invece Cassazione 12735/2003 secondo cui il principio secondo cui l’onere di redazione ed affissione del codice disciplinare non può estendersi a quei fatti il cui divieto risiede non già nelle fonti collettive, o nelle determinazioni del datore di lavoro, bensì nella coscienza sociale quale minimo etico, è applicabile solo alle sanzioni disciplinari espulsive, per le quali il potere di recesso dell’imprenditore, in presenza di una giusta causa o di un giustificato motivo, è tipizzato e previsto direttamente dalla legge, e non anche per le sanzioni cosiddette conservative, per le quali il potere disciplinare del datore di lavoro, solo genericamente previsto dall’art. 2106 cc, esige necessariamente, per il suo concreto esercizio, la predisposizione di una normativa secondaria, cui corrisponde l’onere della pubblicità, a norma dell’art. 7 della legge 300/1970, che ha inteso conferire effettività anche con riferimento alla comunità d’impresa, al principio nullum crimen, nulla poena sine lege”.