RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 31 LUGLIO 2013, N. 18368 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ASSOCIAZIONI SINDACALI - SINDACATI POSTCORPORATIVI - LIBERTÀ SINDACALE - REPRESSIONE DELLA CONDOTTA ANTISINDACALE. Sciopero - Occupazione dello spazio di passaggio dei carrelli aziendali - Maggiore permanenza per alcuni minuti da parte di alcuni lavoratori - Licenziamento in tronco - Comportamento antisindacale - Configurabilità - Fondamento. Costituisce comportamento antisindacale la condotta del datore di lavoro che, in occasione di uno sciopero, abbia sanzionato con il licenziamento senza preavviso il comportamento di tre lavoratori - due dei quali rappresentanti sindacali - che si siano trattenuti, nella zona di passaggio dei carrelli, cinque-sei minuti in più degli altri aderenti all’astensione dal lavoro, ove la maggior permanenza sia imputabile alla discussione avviata con i rappresentanti dell’azienda che avevano scelto detti lavoratori come loro interlocutori e nessun altro manifestante sia stato attinto da misure disciplinari, neppure di tipo conservativo, sussistendo una sicura sproporzione, sia sul piano oggettivo che soggettivo, tra l’addebito e la misura irrogata. Tra i precedenti conformi più risalenti si veda già Cassazione 2720/1984 per la quale ai fini del licenziamento per giusta causa, rileva soltanto la mancanza del lavoratore tanto grave da giustificare l’irrogazione della sanzione espulsiva, dovendosi valutare il comportamento del prestatore nel suo contenuto oggettivo - ossia con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate - ma anche nella sua portata soggettiva, e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all’intensità dell’elemento volitivo dell’agente. Quanto ai profili inerente la giusta causa di licenziamento si veda Cassazione 2720/2012 per la quale in tali ipotesi rileva soltanto la mancanza del lavoratore tanto grave da giustificare l’irrogazione della sanzione espulsiva, dovendosi valutare il comportamento del prestatore nel suo contenuto oggettivo - ossia con riguardo alla natura e alla qualità del rapporto, al vincolo che esso comporta e al grado di affidamento che sia richiesto dalle mansioni espletate - ma anche nella sua portata soggettiva, e, quindi, con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è stato posto in essere, ai modi, agli effetti e all’intensità dell’elemento volitivo dell’agente. SEZIONE LAVORO 31 LUGLIO 2013, N. 18366 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO COLLETTIVO - RIDUZIONE E CRITERI DI SCELTA DEL PERSONALE. Comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, legge 223/1991 - Funzione - Produzione in appello - Ammissibilità - Esclusione - Fondamento. In tema di licenziamento collettivo, la comunicazione di cui all’art. 4, comma 9, della legge 223/1991, nella quale sono indicati i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare, ha la funzione di consentire il controllo del corretto esercizio del potere datoriale e mira a tutelare, oltre agli interessi delle organizzazioni sindacali, quello dei lavoratori alla conservazione del posto. Ne consegue che detta comunicazione non ha carattere integrativo ma attiene al nucleo essenziale della decisione, per cui è onere del datore di lavoro produrla con la costituzione in giudizio, senza che sia possibile una tardiva produzione in appello od una attivazione dei poteri istruttori d’ufficio, che non possono essere esercitati in presenza di una colpevole inerzia della parte interessata o per supplire ad una carenza probatoria di quest’ultima. In tema di collocamento in mobilità e licenziamento collettivo, per Cassazione 6959/2013 la comunicazione di avvio della procedura ex art. 4, comma 3, della legge 223/1991 rappresenta una cadenza essenziale per la proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato e per la trasparenza del processo decisionale del datore di lavoro ne consegue che il lavoratore è legittimato a far valere l’incompletezza dell’informazione, in quanto la comunicazione rituale e completa della mancanza di alternative ai licenziamenti rappresenta, nell’ambito della procedura, una cadenza legale che, se mancante, risulta ontologicamente impeditiva di una proficua partecipazione alla cogestione della crisi da parte del sindacato. Quanto invece all’aspetto processuale affrontato dalla massima in rassegna si veda Cassazione 3506/2012 per la quale nel rito del lavoro, in deroga al generale divieto di nuove prove in appello, è ammissibile la produzione di nuovi documenti, se muniti di speciale efficacia dimostrativa e ritenuti dal giudice indispensabili ai fini della decisione, ma ciò non consente alla parte di introdurre in secondo grado nuove allegazioni di fatto, restandone altrimenti snaturato il giudizio di primo grado, che finirebbe con lo svolgersi sulla base di elementi parziali.