RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 31 LUGLIO 2013, N. 18363 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DONNE - DIRITTO ALLA CONSERVAZIONE DEL POSTO. Lavoratrice madre - Licenziamento - Divieto - Deroga in caso di cessazione dell’attività aziendale - Ipotesi di cessazione di ramo d’azienda - Applicabilità - Esclusione - Fondamento. In tema di tutela della lavoratrice madre, la deroga al divieto di licenziamento di cui all’art. 54, comma 3, lett. b , del D.Lgs. 151/2001, dall’inizio della gestazione fino al compimento dell’età di un anno del bambino, opera solo in caso di cessazione dell’intera attività aziendale, per cui, trattandosi di fattispecie normativa di stretta interpretazione, essa non può essere applicata in via estensiva od analogica alle ipotesi di cessazione di ramo d’azienda. In senso conforme si veda Cassazione 14583/2009 per la quale la deroga al divieto di licenziamento di cui all’art. 2, secondo comma, lett. b , legge 1204/1971, dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno di età del bambino, non si applica alla cessione d’azienda, che non comporta la cessazione dell’attività dell’impresa, ma la prosecuzione del rapporto di lavoro con l’acquirente. In senso difforme si è invece espressa Cassazione 23684/2004 secondo cui in tema di tutela della lavoratrice madre, la deroga al divieto di licenziamento di cui all’art. 2, secondo comma, lett. b della legge 1204/1971, nella ipotesi di cessazione dell’attività dell’azienda, cui essa è addetta”, deve intendersi nel senso che il licenziamento è possibile - come previsto all’ultimo comma del medesimo art. per la deroga all’analogo divieto di sospensione della lavoratrice nello stesso periodo della gravidanza e del puerperio - anche nel caso di cessazione dell’attività del reparto cui essa è addetta, sempre che il reparto abbia autonomia funzionale, ed a condizione che il datore di lavoro assolva l’onere probatorio - a proprio carico - circa l’impossibilità di utilizzare la lavoratrice presso altri reparti dell’azienda. Ne consegue che la deroga al divieto di licenziamento non può essere esclusa per il solo fatto che, presso altro reparto dell’azienda, la forza lavoro sia integrata con personale non iscritto a libro matricola, dovendosi anche in tale ipotesi accertare la possibilità di collocare utilmente la dipendente nel reparto stesso. SEZIONE LAVORO 30 LUGLIO 2013, N. 18270 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – DISCIPLINARE. Dirigente - Licenziamento per condotta colposa o manchevole - Natura - Disciplinare - Previsione nella disciplina specifica del rapporto - Irrilevanza - Conseguenze - Garanzie ex art. 7 della legge 300/1970 su contestazione dell’addebito e diritto di difesa - Applicabilità. Il licenziamento del dirigente, motivato da una condotta colposa o comunque manchevole, deve essere considerato di natura disciplinare, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari previste dallo specifico regime del rapporto, sicché deve essere assoggettato alle garanzie dettate a tutela del lavoratore circa la contestazione degli addebiti e il diritto di difesa. Per Cassazione 14326/2012 il licenziamento per giusta causa, irrogato per una condotta tenuta dal dipendente nell’ambito del rapporto di lavoro e ritenuta dal datore di lavoro tanto scorretta da minare il vincolo fiduciario, è un licenziamento ontologicamente disciplinare, a prescindere dalla sua inclusione tra le misure disciplinari dello specifico regime del rapporto, e deve essere assoggettato, quindi, alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell’art. 7 Stat. lav. circa la contestazione dell’addebito e il diritto di difesa. In tema di illegittimità del licenziamento del dirigente apicale per mancanza della procedura di contestazione si veda anche Cassazione 5962/2013 per la quale affinché un orientamento del giudice della nomofilachia non sia retroattivo come, invece, dovrebbe essere in forza della natura formalmente dichiarativa degli enunciati giurisprudenziali, ovvero affinché si possa parlare di prospective overruling”, devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte a un ragionevole affidamento su di esso che il suddetto overruling” comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte. La prima e la terza condizione non ricorrono nel caso di mutamento della giurisprudenza in ordine alle garanzie procedimentali di cui all’art. 7, secondo e terzo comma, della legge 300/1970, non equiparabili a regole processuali, perché finalizzate non già all’esercizio di un diritto di azione o di difesa del datore di lavoro, ma alla possibilità di far valere all’interno del rapporto sostanziale una giusta causa o un giustificato motivo di recesso.