RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 6 GIUGNO 2013, N. 14313 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - CATEGORIE E QUALIFICHE DEI PRESTATORI DI LAVORO - MANSIONI - COMANDI E DISTACCHI. Disciplina - Caratteristiche - Prosecuzione della titolarità del rapporto di lavoro in capo al datore di lavoro distaccante - Conseguenze sul piano economico - Fattispecie in tema di valutazione di norma collettiva relativa all’attribuzione della P.E.D. in favore dei dipendenti postali. La figura del distacco” o comando” del lavoratore comporta un cambio nell’esercizio del potere direttivo - perché il dipendente viene dislocato presso altro datore di lavoro, con contestuale assoggettamento al comando ed al controllo di quest’ultimo - ma non incide sulla titolarità del rapporto, in quanto il datore di lavoro distaccante continua ad essere titolare del rapporto di lavoro, con la conseguenza che il rapporto di lavoro resta disciplinato ai fini economici dalle regole applicabili al datore distaccante. Nella specie, precedente l’entrata in vigore dell’art. 30 del D.Lgs. 276/2003, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che, interpretando le norme collettive che prevedevano il riconoscimento della P.E.D. in favore dei dipendenti di Poste s.p.a. in servizio” ad una certa data, aveva rilevato che la posizione di comando presso altro ente non escludeva il dipendente comandato dalla platea dei possibili beneficiari della prestazione . Secondo Cassazione 4003/2007 prima dell’entrata in vigore dell’art. 30 del D.Lgs. 276/2003, la figura del distacco” o comando” del lavoratore non era disciplinata dalla legge ma veniva ritenuto che la stessa comportasse un cambio nell’esercizio del potere direttivo perché il dipendente del quale non era richiesto nemmeno il consenso di un datore di lavoro era dislocato presso un altro, con contestuale assoggettamento al comando ed al controllo di quest’ultimo, continuando, tuttavia, il datore di lavoro-distaccante ad essere titolare del rapporto di lavoro. In argomento si veda Cassazione 7517/2012 per la quale la dissociazione fra il soggetto che ha proceduto all’assunzione del lavoratore e l’effettivo beneficiario della prestazione c.d. distacco o comando è consentita soltanto a condizione che essa realizzi, per tutta la sua durata, uno specifico interesse imprenditoriale tale da consentirne la qualificazione come atto organizzativo dell’impresa che la dispone, così determinando una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa e la conseguente temporaneità del distacco, coincidente con la durata dell’interesse del datore di lavoro allo svolgimento della prestazione del proprio dipendente a favore di un terzo. Il relativo accertamento è riservato al giudice del merito ed è incensurabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata e immune da vizi. SEZIONE LAVORO 5 GIUGNO 2013, N. 14209 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - PER MUTUO CONSENSO DIMISSIONI. Comportamenti significativi tenuti dalle parti - Rilevanza - Condizioni - Valutazione degli effetti risolutori rimessa al giudice del merito - Incensurabilità - Limiti - Fattispecie. Il contratto di lavoro può essere dichiarato risolto per mutuo consenso anche in presenza non di dichiarazioni, ma di comportamenti significativi tenuti dalle parti, spettando al giudice del merito la valutazione sulla loro efficacia solutoria, in base ad un apprezzamento che, se congruamente motivato sul piano logico-giuridico, si sottrae a censure in sede di legittimità. In particolare, è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie legale di cui all’art. 1372, primo comma, cc, il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo, in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando siffatta operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione, che attualmente si registra nel quadro della teoria e della disciplina dei contratti, del piano oggettivo” del contratto, a discapito del ruolo e della rilevanza della volontà dei contraenti, intesa come momento psicologico dell’iniziativa contrattuale, con conseguente attribuzione del valore di dichiarazioni negoziali a comportamenti sociali valutati in modo tipico, là dove, nella materia lavoristica, operano, proprio nell’anzidetta prospettiva, principi di settore che non consentono di considerare esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto risolto tacitamente un rapporto di lavoro, in ragione dell’inerzia del lavoratore per ben sei anni dopo il collocamento a riposo e dell’avvenuta percezione del trattamento pensionistico per il quale aveva raggiunto il massimo dell’anzianità contributiva . Analogo principio è affermato da Cassazione 15264/2007 con riguardo alla risoluzione per mutuo consenso del contratto di lavoro a tempo determinato, rispetto al quale si invochi, dopo la scadenza del rapporto, la declaratoria di nullità del termine illegittimamente apposto. In argomento si veda Cassazione 16932/2011 per la quale nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata - sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalla parti e di eventuali circostanze significative - una chiara e certa comune volontà delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto.