RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 11 APRILE 2013, N. 8855 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO - TUTELA DELLE CONDIZIONI DI LAVORO. Danno alla salute del lavoratore - Responsabilità contrattuale del datore di lavoro ex art. 2087 cc - Configurabilità - Condizioni - Onere probatorio del lavoratore danneggiato - Oggetto - Dimostrazione dell’avvenuta violazione di regole contrattuali o legali o della mancata adozione di misure di prevenzione - Inclusione - Fattispecie. In tema di responsabilità del datore di lavoro per violazione delle disposizioni dell’art. 2087 cc, la parte che subisce l’inadempimento non deve dimostrare la colpa dell’altra parte - dato che ai sensi dell’art. 1218 cc è il debitore-datore di lavoro che deve provare che l’impossibilità della prestazione o la non esatta esecuzione della stessa o comunque il pregiudizio che colpisce la controparte derivano da causa a lui non imputabile - ma è comunque soggetta all’onere di allegare e dimostrare l’esistenza del fatto materiale ed anche le regole di condotta che assume essere state violate, provando che l’asserito debitore ha posto in essere un comportamento contrario o alle clausole contrattuali che disciplinano il rapporto o a norme inderogabili di legge o alle regole generali di correttezza e buona fede o alle misure che, nell’esercizio dell’impresa, debbono essere adottate per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Nella specie, relativa alla pretesa del dipendente di un istituto di credito di ottenere il risarcimento dei danni permanenti alla salute derivati da una serie di rapine compiute presso l’agenzia ove egli aveva prestato attività di addetto allo sportello bancario e dal trasferimento disposto dall’istituto in altra sede notoriamente” soggetta a rapine, la sentenza di merito aveva respinto la domanda, sul presupposto che il lavoratore si fosse limitato ad allegare l’esistenza e l’entità del danno e il nesso causale fra questo e i fatti dedotti, senza porre a fondamento della domanda né la negligenza della banca circa la mancata adozione di misure di sicurezza idonee ad evitare le rapine, né l’illegittimità del trasferimento la S.C., nel confermare la sentenza impugnata, ha affermato il principio su esteso . In senso conforme si veda Cassazione 14469/2000. Per Cassazione 2038/2013 l’art. 2087 cc non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento. Ne consegue che incombe al lavoratore che lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, e solo se il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi. Né la riconosciuta dipendenza delle malattie da una causa di servizio” implica necessariamente, o può far presumere, che gli eventi dannosi siano derivati dalle condizioni di insicurezza dell’ambiente di lavoro, potendo essi dipendere piuttosto dalla qualità intrinsecamente usurante della ordinaria prestazione lavorativa e dal logoramento dell’organismo del dipendente esposto ad un lavoro impegnativo per un lasso di tempo più o meno lungo, restandosi così fuori dall’ambito dell’art. 2087 cc, che riguarda una responsabilità contrattuale ancorata a criteri probabilistici e non solo possibilistici. SEZIONE LAVORO 11 APRILE 2013 N. 8851 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - DURATA DEL RAPPORTO - A TEMPO DETERMINATO - IN GENERE. Conversione di una pluralità di rapporti di lavoro a termine, contrastanti con le previsioni della legge 230/1962, in un rapporto a tempo indeterminato - Rifiuto del datore di lavoro di riammettere il lavoratore in servizio - Mora del creditore - Configurabilità - Conseguenze - Diritto del lavoratore al risarcimento del danno - Spettanza - Determinazione del danno - Criteri - Retribuzione dei dipendenti svolgenti le medesime mansioni - Parametro - Utilizzabilità - Modalità originarie della prestazione - Irrilevanza - Attribuzione del solo trattamento corrispondente ai periodi di ipotetica prestazione - Illegittimità. Il lavoratore che, ottenuta una pronunzia di conversione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di una pluralità di rapporti di lavoro a termine, contrastanti con le previsioni della legge 230/1962 ratione temporis” applicabile , non venga riammesso in servizio, ha diritto al ristoro del danno commisurato al pregiudizio economico derivante dal rifiuto di riassunzione del datore di lavoro, nei cui confronti trovano applicazione le regole sulla mora del creditore e in particolare quella concernente l’obbligo risarcitorio, fissata nell’art. 1206, secondo comma cc, con conseguente necessità di riconoscere al lavoratore il diritto alla retribuzione per l’attività lavorativa ingiustificatamente impeditagli, comprensivo del trattamento spettante ai dipendenti che svolgono analoghe mansioni. Né, al fine di limitare il suddetto risarcimento e di attribuire invece al lavoratore, anche per il periodo successivo alla pronunzia di conversione, un trattamento retributivo commisurato alle scansioni temporali cicliche originariamente concordate tra le prestazioni dei singoli servizi prima di tale pronunzia e quindi in concreto la sola retribuzione per i periodi nei quali, conformemente alle modalità originarie, vi sarebbe stata effettiva prestazione può farsi riferimento al carattere sinallagmatico del rapporto, utilmente invocabile solo in relazione al periodo anteriore alla conversione, o a legittime pattuizioni relative alla misura ed alla quantità della prestazione lavorativa, pattuizioni la cui esistenza non può peraltro venir dedotta dal solo succedersi nel tempo di una pluralità di contratti a termine in violazione della citata legge 230/1960, pena la sostanziale vanificazione dei precetti da questa stabiliti. Tra i precedenti conformi si veda Cassazione 5518/2004. In argomento Sezioni Unite 2334/1991 hanno affermato che n el caso di trasformazione, in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di più contratti a termine succedutisi fra le stesse parti, per effetto dell’illegittimità dell’apposizione del termine, o comunque dell’elusione delle disposizioni imperative della legge 230/1962, gli intervalli non lavorati” fra l’uno e l’altro rapporto, in difetto di un obbligo del lavoratore di continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile per effettuarla, non implicano diritto alla retribuzione, in carenza di una deroga al principio generale secondo cui tale retribuzione postula la prestazione lavorativa, e nemmeno sono computabili come periodi di servizio, al fine del calcolo dell’indennità di anzianità, considerato che la suddetta riunificazione in un solo rapporto, operando ex post”, non tocca la mancanza di un effettivo servizio negli spazi temporali fra contratti a tempo determinato.