RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 12 FEBBRAIO 2013, N. 3482 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO - IN GENERE. Collegamento economico-funzionale fra imprenditori societari - Imputazione del rapporto di lavoro intercorso fra uno di essi e un lavoratore anche all’altro - Ammissibilità - Condizioni. Il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare - anche all’eventuale fine della valutazione di sussistenza del requisito numerico per l’applicabilità della cosiddetta tutela reale del lavoratore licenziato - un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro. Tale situazione ricorre ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge del frazionamento di un’unica attività fra i vari soggetti del collegamento economico - funzionale e ciò venga accertato in modo adeguato, attraverso l’esame delle attività di ciascuna delle imprese gestite formalmente da quei soggetti, che deve rivelare l’esistenza dei seguenti requisiti a unicità della struttura organizzativa e produttiva b integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune c coordinamento tecnico e amministrativo - finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune d utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori. Trattasi di valutazione di fatto rimessa al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione. Identico principio di diritto è già espresso da Cassazione 11107/2006. In argomento si veda anche Cassazione 20231/2010 per la quale i n tema di divieto di demansionamento, il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società appartenenti a un medesimo gruppo non comporta il venir meno dell’autonomia delle singole società, dotate di personalità giuridica distinta e alle quali, quindi, continuano a far capo i rapporti di lavoro del personale in servizio presso le diverse imprese. Pertanto, dall’esclusione della configurabilità di un unico centro d’imputazione di rapporti diverso dalle singole società, consegue che, nel caso di passaggio del lavoratore da una società ad altra del gruppo, non è applicabile la garanzia prevista dall’art. 2103 cc ai sensi del quale il divieto di demansionamento opera esclusivamente all’interno di un rapporto di lavoro con un unico datore. Per Cassazione 19036/2006 nel caso di collegamento economico tra società datrici di lavoro, l’art. 2094 cc, nel prevedere il rapporto di lavoro subordinato, non definisce altresì l’impresa quale datrice di lavoro ma ne presuppone la nozione, caratterizzata dalla soggettività giuridica, con la conseguenza che, salve le ipotesi simulatorie, ad una pluralità di soggetti societari esercitanti i poteri del datore corrisponde una pluralità di rapporti. Pertanto ove le parti abbiano pattuito un distacco” del lavoratore che, fermo il perdurare del vincolo con il datore di lavoro distaccante, faccia sorgere un distinto rapporto con altro imprenditore, anche all’estero, con sospensione del rapporto originario, i due rapporti restano separati, anche se le due società sono gestite da società collegate, senza che si possano imputare alla società distaccante le obbligazioni relative al secondo rapporto. SEZIONE LAVORO 11 FEBBRAIO 2013, N. 3157 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE. Licenziamento di dirigente di azienda industriale - Art. 22 del c.c.n.l. dei dirigenti settore industria del 16 maggio 1985 - Motivazione contestuale del recesso - Mancanza - Successiva esplicitazione ed integrazione in giudizio delle ragioni giustificatrici del recesso - Possibilità - Condizioni - Conseguenze - Natura arbitrale o giurisdizionale del giudizio - Irrilevanza - Fondamento. In tema di licenziamento del dirigente di azienda industriale, l’art. 22 del c.c.n.l. di categoria del 16 maggio 1985, pur prevedendo che, in caso di risoluzione ad iniziativa dell’azienda, quest’ultima sia tenuta a specificarne contestualmente la motivazione, non sanziona tale omissione con il riconoscimento dell’indennità supplementare, ma si limita a prevedere che il dirigente, ove ritenga ingiustificato il recesso, possa ricorrere al collegio arbitrale, previsto dall’art. 19 del medesimo contratto collettivo, il quale, nel caso riconosca, all’esito dell’istruttoria, l’ingiustificatezza del licenziamento, può disporre l’attribuzione della suddetta indennità. Ne consegue che, ove la motivazione non sia stata resa con il licenziamento ovvero, risulti insufficiente o generica , il datore di lavoro, nel rispetto del principio del contraddittorio ex art. 19, tredicesimo comma, del c.c.n.l. citato, può esplicitarla od integrarla nell’ambito del giudizio arbitrale, e, nell’ipotesi in cui il dirigente abbia scelto, in conformità al principio di alternatività delle tutele nelle controversie del lavoro, di adire direttamente il giudice ordinario, analoghe facoltà vanno riconosciute alla parte datoriale nell’ambito del processo, atteso che, diversamente, la posizione del datore di lavoro verrebbe ad essere compromessa per effetto di una autonoma ed insindacabile determinazione della controparte. Sul tema si veda Cassazione 1937/2011 per la quale il dirigente di azienda industriale, che, ai sensi degli artt. 19 e 22 del contratto collettivo di categoria 16 maggio 1985, integranti una clausola compromissoria per arbitrato irrituale, abbia adito il collegio arbitrale, senza che a ciò si sia opposta la controparte, per la determinazione dell’indennità supplementare dovuta in ragione della mancanza di giustificazione del proprio licenziamento, non può salvo che il collegio predetto si sia dichiarato privo di legittimazione a decidere la controversia o che il procedimento non sia pervenuto alla sua conclusione con il lodo o che il relativo patto sia divenuto per qualsiasi ragione inoperante proporre la medesima azione in sede giudiziaria, non essendo abilitato a trasferire unilateralmente la questione davanti al giudice dopo il compimento di atti incompatibili con la volontà di avvalersi di tale tutela ed in mancanza di una volontà del datore di lavoro contraria all’utilizzazione del procedimento arbitrale messo in moto dal dirigente medesimo ove questi, invece, non abbia attivato, la procedura arbitrale, ben può proporre l’azione giudiziaria, in conformità al principio di alternatività delle tutele consentite in relazione alla specificità delle ipotesi delle controversie di lavoro, ai sensi dell’art. 5, primo comma, legge 533/1973.