RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 20 LUGLIO 2012 N. 12693 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DONNE – GRAVIDANZA. Rapporto di lavoro irregolare - Lavoratrice in stato di gravidanza illegittimamente licenziata - Diritto alle retribuzioni successive alla cessazione del rapporto - Sussistenza - Condizioni - Invio della certificazione medica al datore di lavoro già edotto della gravidanza - Necessità - Esclusione. Nel rapporto di lavoro irregolare, la lavoratrice in stato di gravidanza o puerperio, licenziata nonostante il divieto di legge, ha diritto alle retribuzioni successive alla data di effettiva cessazione del rapporto, indipendentemente dall'invio della relativa certificazione medica, ove il datore di lavoro abbia avuto comunque conoscenza dello stato di gravidanza. Per Cassazione 14583/2009, la disposizione di cui all'articolo 2, lett. c , legge 30 dicembre 1971, numero 1204, che consente il licenziamento della lavoratrice madre allorché sia ultimata la prestazione per la quale la dipendente è stata assunta o il rapporto sia cessato per scadenza del termine, regola solo l'ipotesi del contratto di lavoro a tempo determinato, nella duplice forma in cui può essere stipulato, ovverosia dell'esplicita predeterminazione di una data finale di cessazione del rapporto o dell'indiretto riferimento ad una data desumibile dall'ultimazione di una specifica prestazione. Ne consegue che, affinché sia possibile il licenziamento della lavoratrice madre in dette ipotesi, occorre che la durata determinata del rapporto risulti per iscritto mediante l'indicazione della data di scadenza o la specificazione di tutti gli elementi idonei ad individuare l'opera od il servizio, per la cui esecuzione l'assunzione sia avvenuta. Quanto al divieto di licenziamento di cui all'articolo 2 della legge numero 1204 del 1971, lo stesso, secondo Cassazione 2244/2006, opera in connessione con lo stato oggettivo di gravidanza o puerperio e, pertanto, il licenziamento intimato nonostante il divieto comporta, anche in mancanza di tempestiva richiesta di ripristino del rapporto, il pagamento delle retribuzioni successive alla data di effettiva cessazione del rapporto, le quali maturano a decorrere dalla presentazione del certificato attestante lo stato di gravidanza articolo 4 d.P.R. numero 1026 del 1976 . Ove la lavoratrice sia stata assunta con contratto di formazione e lavoro, la determinazione del risarcimento in misura corrispondente all'importo delle retribuzioni maturate fino al termine del rapporto di formazione e lavoro tiene conto dell'effetto sospensivo del termine contrattuale per il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro, con conseguente proroga del termine medesimo per un periodo pari a quello della sospensione, essendo l'esecuzione del rapporto sospesa per fatti non riconducibili alla volontà delle parti. SEZIONE LAVORO 19 LUGLIO 2012 N. 12501 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - DURATA DEL RAPPORTO - DIRITTO ALLA CONSERVAZIONE DEL POSTO - INFORTUNI E MALATTIE. Lavoratore assente per malattia - Offerta della prestazione per documentata guarigione ante tempus - Rifiuto del datore di lavoro - Qualificazione - Inadempimento da mora credendi - Fattispecie. È inadempiente per mora credendi il datore di lavoro che rifiuti la prestazione del lavoratore il quale, assente dal lavoro per malattia, chieda di riprendere l'attività, allegando e documentando la cessazione della malattia stessa ante tempus . Nella specie, un pubblico dipendente, affetto da inidoneità permanente secondo il collegio medico della ASL, e tuttavia non dispensato dal servizio, aveva chiesto di tornare al lavoro sulla base di un certificato sanitario attestante il miglioramento delle condizioni di salute, ma l'ente datore di lavoro non aveva consentito il rientro sino a nuova positiva visita del collegio medico sulla scorta dell'enunciato principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito, che aveva respinto la domanda del lavoratore per il recupero della decurtazione stipendiale applicatagli nel periodo successivo all'offerta di prestazione . In argomento si veda cassazione 1404/2012 per la quale le regole dettate dall'articolo 2110 cod. civ. per le ipotesi di assenze determinate da malattia del lavoratore prevalgono, in quanto speciali, sia sulla disciplina dei licenziamenti individuali che su quella degli articoli 1256 e 1463 e 1464 cod. civ., e si sostanziano nell'impedire al datore di lavoro di porre fine unilateralmente al rapporto sino al superamento del limite di tollerabilità dell'assenza cosiddetto comporto predeterminato dalla legge, dalle parti o, in via equitativa, dal giudice, nonché nel considerare quel superamento unica condizione di legittimità del recesso le stesse regole hanno quindi la funzione di contemperare gli interessi confliggenti del datore di lavoro a mantenere alle proprie dipendenze solo chi lavora e produce e del lavoratore a disporre di un congruo periodo di tempo per curarsi senza perdere i mezzi di sostentamento e l'occupazione , riversando sull'imprenditore, in parte ed entro un determinato tempo, il rischio della malattia del dipendente. Ne deriva che il superamento del periodo di comporto è condizione sufficiente a legittimare il recesso, e pertanto non è necessaria, nel caso, la prova del giustificato motivo oggettivo né dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa né quella della correlativa impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse. In termini più generali si veda Cassazione 5711/2012 per la quale la sospensione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato può avere luogo solo nei casi previsti dalla legge, sicché il datore di lavoro che unilateralmente sospenda il rapporto sulla base di proprie erronee convinzioni nella specie, circa la sussistenza di una clausola di part-time verticale è tenuto a corrispondere le pertinenti retribuzioni, senza necessità di un atto di messa in mora da parte del lavoratore. SEZIONE LAVORO 19 LUGLIO 2012 N. 12499 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE – FORMA. Forma scritta ex articolo 2 della legge numero 604 del 1966 - Modalità specifiche di comunicazione - Previsione - Insussistenza - Comunicazione a mezzo di ufficiale di polizia giudiziaria - Sufficienza. In tema di forma del licenziamento, l'articolo 2 della legge numero 604 del 1966 esige, a pena di inefficacia, che il recesso sia comunicato al lavoratore per iscritto, ma non prescrive modalità specifiche di comunicazione. Pertanto, è efficace il licenziamento comunicato a mezzo di ufficiale di polizia giudiziaria, ancorché quest'ultimo sia sprovvisto dei requisiti soggettivi per procedere ad una vera e propria notifica. In argomento si veda Cassazione 17652/2007 per la quale, in tema di forma scritta del licenziamento prescritta a pena di inefficacia, non sussiste per il datore di lavoro l'onere di adoperare formule sacramentali e la volontà di licenziare può essere comunicata al lavoratore anche in forma indiretta, purché chiara. Ne consegue che la dichiarazione di conclusione del rapporto contenuta nel libretto di lavoro consegnato al dipendente da parte del datore accompagnata da lettera di trasmissione indicante il recesso datoriale, deve essere considerato atto scritto di recesso dalla data della relativa consegna. Quanto invece alla revoca del licenziamento, questa per cassazione 5929/2008 non richiede la forma scritta atteso il principio per cui i negozi risolutori degli effetti di atti che richiedono - come il licenziamento - la forma scritta non sono assoggettati ad identici requisiti formali in ragione dell'autonomia negoziale, di cui la libertà di forma costituisce, in mancanza di diversa prescrizione legale, significativa espressione. E parimenti libera, per le medesime ragioni, la forma dell'accettazione, da parte del lavoratore, della revoca del licenziamento, che può avvenire anche in forma tacita o presunta, ma il relativo accertamento presuppone una ricostruzione della volontà abdicativa, anche attraverso elementi indiziari ex articolo 2729 cod. civ., in termini certi e idonei a consentire di attestare, in modo univoco, la volontà del lavoratore a rinunziare ad un diritto già entrato nel suo patrimonio.