RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 7 GIUGNO 2012, N. 9215 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ORARIO DI LAVORO - IN GENERE. Tempo-tuta” - Qualificazione - Tempo di lavoro - Condizioni - Fattispecie. Nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo necessario a indossare l’abbigliamento di servizio tempo-tuta” costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l’attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo. Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha respinto il ricorso del lavoratore avverso la decisione di merito, che non aveva riconosciuto il diritto a compenso per lavoro straordinario con riferimento al tempo-tuta”, non essendo emerso che il prestatore fosse tenuto ad anticipare l’ingresso nello stabilimento per svolgere l’attività di vestizione e che il datore di lavoro esercitasse controlli disciplinari al riguardo, anzi risultando che, nel periodo estivo, alcuni lavoratori non indossavano la parte superiore della tuta . Nel rapporto di lavoro subordinato, per Cassazione 19358/2010 il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale, ancorché relativo a fase preparatoria del rapporto, deve essere autonomamente retribuito ove la relativa prestazione, pur accessoria e strumentale rispetto alla prestazione lavorativa, debba essere eseguita nell’ambito della disciplina d’impresa e sia autonomamente esigibile dal datore di lavoro, il quale può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Secondo Cassazione 19273/2010 ai fini di valutare se il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale debba essere retribuito o meno, occorre far riferimento alla disciplina contrattuale specifica in particolare, ove sia data facoltà al lavoratore di scegliere il tempo e il luogo ove indossare la divisa stessa anche presso la propria abitazione, prima di recarsi al lavoro la relativa attività fa parte degli atti di diligenza preparatoria allo svolgimento dell’attività lavorativa, e come tale non deve essere retribuita, mentre se tale operazione è diretta dal datore di lavoro, che ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, rientra nel lavoro effettivo e di conseguenza il tempo ad essa necessario deve essere retribuito. SEZIONE LAVORO 6 GIUGNO 2012, N. 9150 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - PERIODO DI RIPOSO - CONGEDO PER NOZZE. Decorrenza - Dies a quo” - Coincidenza col giorno delle nozze - Necessità - Esclusione - Fondamento - Ragionevole connessione temporale col giorno delle nozze - Sufficienza - Fattispecie. Il congedo matrimoniale, non eccedente la durata di quindici giorni, previsto dall’art. unico del Rdl 1334/1937, convertito in legge 2387/1937, soddisfa le esigenze personali del lavoratore occasionate dalle nozze, rilevanti ex art. 31, primo comma, Cost., dovendo quindi la celebrazione del matrimonio intendersi come la causa del diritto al congedo, non come il dies a quo” della relativa decorrenza. Ne consegue che, alla luce dei principi di buona fede e correttezza ex artt. 1175 e 1375 cc, il congedo per matrimonio spetta, in difetto di specifica disciplina collettiva, per il periodo tempestivamente richiesto dal lavoratore, anche se il giorno del matrimonio non ricade in tale intervallo, purché vi sia una ragionevole connessione, in senso temporale, con la data delle nozze. Nella specie, in applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha respinto il ricorso del datore di lavoro, che, senza comprovate ragioni, organizzative o produttive, aveva negato il congedo matrimoniale richiesto dal lavoratore, con congruo anticipo, per un periodo distante circa dieci giorni dal giorno delle nozze . La fruizione da parte del lavoratore di un congedo per matrimonio, riconosciuto dal contratto collettivo applicabile, per un periodo inferiore a quello previsto da detta regolamentazione concreta una ipotesi di parziale inadempimento del datore di lavoro, il quale è tenuto a corrispondere la retribuzione per i giorni residui, anche se l’anticipata ripresa del lavoro da parte del dipendente sia dovuta ad una sua spontanea determinazione, essendo comunque configurabile una rinunzia limitata al godimento del congedo e non estesa alla particolare remunerazione dovuta nel caso di prestazione lavorativa espletata nel periodo corrispondente Cassazione 1935/1991. SEZIONE LAVORO 25 MAGGIO 2012, N. 8298 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - PER MUTUO CONSENSO DIMISSIONI. Dimissioni rassegnate sotto minaccia di licenziamento - Annullamento per violenza morale - Condizioni - Inesistenza del diritto di recesso del datore di lavoro - Onere della prova - A carico del lavoratore. Le dimissioni del lavoratore rassegnate sotto minaccia di licenziamento per giusta causa sono annullabili per violenza morale solo qualora venga accertata - con onere probatorio a carico del lavoratore che deduce l’invalidità dell’atto di dimissioni - l’inesistenza del diritto del datore di lavoro di procedere al licenziamento per insussistenza dell’inadempimento addebitato al dipendente, dovendosi ritenere che, in detta ipotesi, il datore di lavoro, con la minaccia del licenziamento, persegua un risultato non raggiungibile con il legittimo esercizio del diritto di recesso. In senso conforme si veda Cassazione 24405/2008. Secondo Cassazione 7292/2008 l e dimissioni del lavoratore subordinato costituiscono atto unilaterale recettizio avente contenuto patrimoniale a cui sono applicabili, ai sensi dell’art. 1324 cc, le norme sui contratti, salvo diverse disposizioni di legge. Ne consegue che l’atto delle dimissioni è annullabile, secondo la disposizione generale di cui all’art. 428, comma primo, cc, ove il dichiarante provi di trovarsi, al momento in cui è stato compiuto, in uno stato di privazione delle facoltà intellettive e volitive - anche parziale purché tale da impedire la formazione d’una volontà cosciente - dovuto a qualsiasi causa, pure transitoria, e di aver subito un grave pregiudizio a causa dell’atto medesimo, senza che sia richiesta - a differenza che per i contratti, per i quali vige la specifica disposizione di cui al secondo comma dell’art. 428 cod. civ. - la malafede del destinatario. In argomento si veda anche Cassazione 24363/2010 per la quale la violenza morale esercitabile dal datore di lavoro, che può determinare l’annullabilità delle dimissioni rassegnate dal lavoratore, può esprimersi secondo modalità variabili e indefinite, anche non esplicite può agire anche solo come concausa, ed essere ravvisata nella minaccia dell’esercizio di un diritto, quando la relativa prospettazione sia immotivata e strumentale.