RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 13 GENNAIO 2012 N. 403 PROCEDIMENTI SPECIALI - PROCEDIMENTI IN MATERIA DI LAVORO E DI PREVIDENZA - PROCEDIMENTO DI PRIMO GRADO - GIUDICE COMPETENTE - PER TERRITORIO - IN GENERE. Foro del domicilio del lavoratore parasubordinato - Criteri di determinazione - Fattispecie. Ai fini della competenza territoriale per le controversie di lavoro parasubordinato, la disposizione dell'articolo 413, quarto comma, cod. proc. civ. fa riferimento al domicilio ex articolo 43 cod. civ., quale sede principale degli affari ed interessi, che si presume coincidente con la residenza, non potendosi ritenere, di norma, che il domicilio si trovi nel luogo cui la persona si rapporta nei limiti della prestazione lavorativa, anche se resa con funzioni di massima responsabilità. Nella specie, concernente l'impugnativa della revoca dell'incarico di direttore generale presso una ASL, la S.C., in base all'affermato principio, ha dichiarato la competenza del giudice del luogo in cui il prestatore d'opera aveva conservato la residenza anagrafica e mantenuto la famiglia, tornandovi anche nel corso della settimana lavorativa e limitandosi a dimorare nel luogo della sede di lavoro con discontinui pernottamenti d'albergo . Ove il cittadino italiano, convenuto in giudizio, abbia all'estero la propria residenza, secondo Sezioni Unite 2060/2003, deve ritenersi che ivi abbia anche il domicilio, potendo presumersi che la sede principale degli affari ed interessi sia fissata nel medesimo luogo in cui il soggetto abitualmente dimora ai fini del superamento di detta presunzione, e quindi della prova dell'esistenza di un domicilio del detto convenuto in Italia - necessaria perché scatti il criterio generale di radicamento della competenza giurisdizionale del giudice italiano, ai sensi dell'articolo 3 della legge 31 maggio 1995, numero 218 -, non basta la mera disponibilità di un immobile in Italia, ne' la ricezione, ivi, ad opera di un domestico, dell'atto di citazione in giudizio, trattandosi di circostanze non significative ai fini dell'individuazione di un luogo elevato a centro dei propri affari ed interessi. Nelle controversie di lavoro parasubordinato, nelle quali, ai sensi dell'articolo 413, quarto comma, cod. proc. civ., la competenza territoriale si determina in modo esclusivo in relazione al foro del domicilio del lavoratore, secondo Cassazione 11339/2010, il domicilio stesso deve intendersi fissato nel luogo in cui il lavoratore ha il centro dei propri affari ed interessi, intendendosi per interessi non solo quelli economici e materiali, ma anche quelli affettivi, spirituali e sociali, atteso che la nozione di domicilio è unitaria e impone la considerazione complessiva di questi aspetti. Ove, peraltro, nel giudizio manchi qualunque concreto riferimento al luogo in cui il lavoratore ha svolto la sua attività d'agente, è corretto il rinvio, operato dal giudice di merito, al solo luogo di residenza anagrafica dichiarato nel ricorso introduttivo, in quanto la questione di competenza deve essere decisa allo stato degli atti . In senso conforme si veda Cassazione 4581/1994. SEZIONE LAVORO 12 GENNAIO 2012 N. 240 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - CONTRATTO COLLETTIVO - DISCIPLINA EFFICACIA - IN GENERE. Pubblico impiego contrattualizzato - Ambito della contrattazione collettiva integrativa - Limiti posti dalla contrattazione collettiva nazionale - Specificità - Necessità - Deducibilità da precetti generali - Esclusione - Fattispecie in tema di decorrenza della riqualificazione del pubblico dipendente. Nel pubblico impiego privatizzato, il principio per cui la contrattazione collettiva integrativa si svolge nelle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali implica che tali limiti abbiano carattere di specificità e siano connessi a materie ed ambiti di disciplina espressamente riservati alla contrattazione collettiva nazionale, non potendo, invece, essere desunti da precetti a contenuto generale, come quello dell'articolo 45, comma 1, del d.lgs. numero 165 del 2001, che prevede una riserva di regolamentazione collettiva per la determinazione del trattamento economico. Nella specie, il giudice di merito, argomentando da tale riserva, aveva respinto la domanda del pubblico dipendente per la decorrenza degli effetti giuridici ed economici di una riqualificazione interna dalla data di pubblicazione del bando, prevista dal contratto collettivo integrativo la S.C., sulla scorta dell'affermato principio, ha cassato la decisione . In materia di pubblico impiego contrattualizzato, secondo Cassazione 18860/2010, l'articolo 40, comma 3, del d.lgs. numero 165 del 2001 nel testo applicabile ratione temporis , nel regolare i rapporti tra contrattazione collettiva nazionale e contrattazione collettiva integrativa, abilita quest'ultima a fornire una disciplina solamente per le materie delegate dai contratti nazionali e nei limiti da questi stabiliti. Ne consegue che, con riguardo alle procedure selettive per i passaggi nell'ambito di ciascuna area di inquadramento previste dal contratto collettivo nazionale per il personale degli enti pubblici non economici del 16 febbraio 1999, alla contrattazione integrativa è consentito intervenire solo per la definizione delle procedure per l'accesso di cui all'articolo 15, comma 1, lett. b del medesimo accordo nazionale, avente ad oggetto la regolamentazione degli sviluppi economici interni a ciascuna area di inquadramento, dovendosi ritenere l'invalidità del bando di concorso e della successiva graduatoria , che, in attuazione della disciplina adottata in sede decentrata, ammetta alla selezione per l'accesso alle posizioni C4 anche i dipendenti privi del titolo di scuola superiore, trattandosi di requisito fissato direttamente dall'Allegato A del contratto nazionale. In senso conforme si veda anche Sezioni Unite 9146/2009 per le quali la contrattazione collettiva integrativa si svolge sulle materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, restando escluso che le Pubbliche Amministrazioni possano assumere obbligazioni in contrasto con i vincoli risultanti dai contratti collettivi nazionali o che comportino oneri non previsti negli strumenti di programmazione, con la conseguenza che le clausole difformi sono nulle e non possono essere applicate. Con riferimento al contrasto fra contratti collettivi di diverso ambito territoriale, anche nell'ambito del pubblico impiego privatizzato si veda Cassazione 13544/2008 per la quale il conflitto deve essere risolto non già in base al criterio della gerarchia che comporterebbe la prevalenza della disciplina di livello superiore né in base al criterio temporale che comporterebbe sempre la prevalenza del contratto più recente e che invece è determinante solo nell'ipotesi di successione di contratti collettivi con identità di soggetti stipulanti, ossia del medesimo livello , ma secondo il principio di autonomia e, reciprocamente, di competenza , alla stregua del collegamento funzionale che le associazioni sindacali nell'esercizio, appunto, della loro autonomia pongono, mediante statuti o altri idonei atti di limitazione, fra i vari gradi o livelli della struttura organizzativa e della corrispondente attività. SEZIONE LAVORO 12 GENNAIO 2012 N. 232 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - ASSUNZIONE - DIVIETO DI INTERMEDIAZIONE E DI INTERPOSIZIONE APPALTO DI MANO D'OPERA . Contratto di prestazione di lavoro temporaneo - Previsione dei casi ammissibili da parte della contrattazione collettiva dell'impresa utilizzatrice - Necessità - Verifica della sussistenza delle ipotesi previste - Necessità. In materia di rapporto di lavoro interinale, la mancanza o la generica previsione, nel contratto intercorrente tra l'impresa fornitrice e il singolo lavoratore, dei casi in cui - e dunque delle esigenze per le quali - è possibile ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo, in base ai contratti collettivi dell'impresa utilizzatrice, ovvero l'insussistenza in concreto delle suddette ipotesi, spezza l'unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la flessibilità dell'offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti del lavoratore, e fa venir meno la presunzione di legittimità del contratto interinale stesso. Ne consegue che, per escludere che il contratto di lavoro con il fornitore interposto si consideri instaurato con l'utilizzatore interponente a tempo indeterminato, non è sufficiente arrestarsi alla verifica del dato formale del rispetto della contrattazione collettiva quanto al numero delle proroghe consentite, senza verificare l'effettiva persistenza delle esigenze di carattere temporaneo, in modo tanto più penetrante quanto più durevole e ripetuto sia il ricorso a tale fattispecie contrattuale. In senso conforme si veda Cassazione 13960/2011 la quale conferma tra l’altro l’applicabilità del disposto di cui all'articolo 10 della legge 24 giugno 1997, numero 196 e dunque di quanto previsto dall'articolo 1 della legge 23 ottobre 1960, numero 1369, per cui il contratto di lavoro col fornitore interposto si considera a tutti gli effetti instaurato con l'utilizzatore interponente . In tema di lavoro interinale e di rapporti con la disciplina del divieto di interposizione di manodopera, si veda anche Cassazione 2488/2008 per la quale, mentre l'articolo 10, comma primo, della legge numero 196 del 1997 si deve interpretare - al fine di evitare di ipotizzare difetti di coordinamento con il comma successivo e di ritenere pleonastici i richiami normativi in esso contenuti - nel senso che il divieto di interposizione fittizia di manodopera previsto dalla legge numero 1369 del 1960 continua a trovare applicazione nei confronti dell'impresa utilizzatrice che ricorra alla fornitura di prestatori di lavoro dipendente da parte di soggetti diversi da quelli cui all'articolo 2 della stessa legge numero 196 del 1997 ovvero che violi le disposizioni di cui al precedente articolo 1, commi secondo, terzo, quarto e quinto, l'articolo 10, secondo comma, della legge citata disciplina l'ipotesi dell'instaurazione ex lege di un rapporto di lavoro a tempo determinato con l'impresa utilizzatrice. Ne consegue che nei casi disciplinati dal primo comma, cui sono riconnesse tutte le conseguenze anche penali previste dalla legge numero 1369 del 1960, deve ravvisarsi quale unico effetto la sostituzione di diritto del datore di lavoro-fornitore con il soggetto utilizzatore delle prestazioni mentre rimangono invariati gli altri elementi contrattuali, ivi compreso quello inerente la temporaneità del rapporto. Per Cassazione 23684/2010 in tema di fornitura di lavoro interinale, la violazione delle disposizioni di cui all'articolo 1, commi secondo, terzo, quarto e quinto della legge numero 196 del 1997, comporta, di per sé, soltanto la sostituzione della parte datoriale e la configurabilità del rapporto a tempo determinato direttamente tra lavoratore e soggetto utilizzatore delle prestazioni lavorative, conseguendone l'ulteriore effetto della conversione del rapporto in lavoro a tempo indeterminato solo in ragione dell'insussistenza delle condizioni - previste dalla normativa relativa al lavoro a tempo determinato, di cui al d.lgs. numero 368 del 2001- che legittimano la conclusione di un rapporto lavorativo a termine direttamente tra utilizzatore e lavoratore.