RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 11 GENNAIO 2012, N. 154 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - RISARCIMENTO DEL DANNO. Annullamento del licenziamento - Somme percepite medio tempore” a titolo di pensione dal lavoratore - Ripetizione d’indebito - Sussistenza - Compensazione del lucro con il danno - Esclusione. Nel caso di licenziamento illegittimo annullato dal giudice con sentenza reintegratoria che ricostituisce il rapporto con efficacia ex tunc”, poiché rileva la continuità giuridica di quest’ultimo, va escluso il diritto del lavoratore alla prestazione pensionistica in ragione dell’incompatibilità di questa con il suddetto rapporto di lavoro. Ne consegue che la sopravvenuta declaratoria d’illegittimità del licenziamento travolge il diritto al pensionamento con la medesima efficacia ex tunc”, esponendo l’interessato all’azione di ripetizione a titolo d’indebito, da parte del soggetto erogatore della pensione, delle relative somme, che, pertanto, non possono configurarsi come un lucro compensabile con il danno. In senso conforme si veda Cassazione 1670/2008. In caso di annullamento del licenziamento di un dipendente postale, con conseguente condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno in misura pari alla differenza fra la retribuzione dovuta e l’importo dei ratei percepiti dopo il licenziamento a titolo di pensione, Cassazione 26988/2009 ha ritenuto che i ratei di pensione corrisposti dovessero considerarsi sine titulo”, per effetto del sopravvenuto venir meno del presupposto collocamento a riposo della loro erogazione ne discende che il datore di lavoro, che ha ottenuto indebito arricchimento in ragione della commisurazione del risarcimento del danno al dipendente al trattamento economico differenziale, è tenuto a restituire all’ente previdenziale le somme corrisposte a titolo di ratei pensionistici, senza che assuma rilievo l’estraneità del primo al rapporto previdenziale, discendendo l’effetto restitutorio dal licenziamento illegittimo. Per Cassazione 6906/2009 il conseguimento della pensione di anzianità non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell’incompatibilità totale o parziale tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale determinando la sospensione dell’erogazione della prestazione pensionistica , ma non comporta l’invalidità del rapporto di lavoro. Nella materia dei licenziamenti collettivi, secondo Sezioni Unite 12194, l’omissione della procedura di cui all’art. 4 legge 223/1991, intesa alla precisazione dei motivi dell’eccedenza di lavoratori e alla verifica degli esuberi per ciascuna unità produttiva e per profili professionali, non è suscettibile di essere sanata dall’accordo sindacale che comprenda l’individuazione dei lavoratori da licenziare sulla base della sola anzianità contributiva, trattandosi di un’omissione che compromette l’interesse primario del singolo lavoratore alla individuazione trasparente e verificabile dei dipendenti da licenziare né gli obblighi procedurali prescritti dalla legge 223/1991 possono ritenersi derogati, in materia di riorganizzazione e risanamento delle Ferrovie dello Stato, dalle previsioni di cui all’art. 59 della legge 449/1997, che, pur prescrivendo che i dipendenti in esubero possano essere individuati ‹anche› in base al criterio dell’anzianità contributiva, non escludono l’applicazione delle procedure di verifica stabilite dalla predetta legge 223/1991, né rimettono agli accordi sindacali il potere di stabilire procedure di mobilità in deroga a quelle prescritte dalla legge, non assumendo la contrattazione collettiva - nelle suddette previsioni normative - una funzione di gestione negoziale dell’individuazione del personale eccedentario, ma soltanto quella di provvedere alla realizzazione di misure di sostegno in favore del personale medesimo e di prevedere le modalità di finanziamento mediante l’istituzione di un fondo a gestione bilaterale con le finalità di cui all’art. 2, comma ventottesimo, legge 662/1996 . SEZIONE LAVORO 10 GENNAIO 2012, N. 114 PROCEDIMENTI SPECIALI - PROCEDIMENTI IN MATERIA DI LAVORO E DI PREVIDENZA - PROCEDIMENTO DI PRIMO GRADO - GIUDICE COMPETENTE - PER TERRITORIO - IN GENERE. Parasubordinazione - Giudizio instaurato dopo la cessazione del rapporto - Foro del domicilio del lavoratore - Clausola derogativa - Nullità - Fondamento. In tema di competenza territoriale per le controversie del lavoratore parasubordinato, la clausola derogativa del foro del domicilio del prestatore d’opera è nulla ai sensi dell’art. 413, ultimo comma, cpc, anche se il giudizio venga instaurato successivamente alla cessazione del rapporto di collaborazione, non potendosi privare il lavoratore della garanzia che assiste la sua posizione quando egli faccia valere diritti derivanti dal rapporto estinto, talvolta esercitabili proprio a seguito dell’estinzione. Per Cassazione 25023/2006 il foro introdotto in via esclusiva dalla legge 128/1992, individuato con riferimento al domicilio in cui si svolge o si è svolta l’attività del lavoratore parasubordinato, non è applicabile nel caso di rapporto cessato precedentemente all’instaurazione del giudizio, atteso che la possibilità di far riferimento al domicilio del detto lavoratore a tale momento consentirebbe allo stesso, in contrasto con l’art. 25, primo comma, Cost., di scegliere il giudice con il preventivo trasferimento del proprio domicilio. Né tale previsione trova ostacolo nell’art. 5 Cpc, essendo sufficiente rilevare come la norma sia volta ad escludere la rilevanza dei mutamenti di fatto successivi all’instaurazione del giudizio, ma non precluda che, nella determinazione del criterio di coordinamento e dei singoli elementi della corrispondente fattispecie legale, si possa far riferimento alle circostanze di fatto anteriori al detto momento. In argomento si vedano anche Sezioni Unite 841/2005 secondo cui la competenza territoriale a decidere l’ opposizione all’ esecuzione, proposta prima dell’ inizio di essa art. 615, primo comma, Cpc , preannunciata in base a titolo giudiziale su una controversia concernente un rapporto di collaborazione di cui all’ art. 409, n. 3, Cpc, spetta esclusivamente al giudice nella cui circoscrizione si trova, o si trovava al momento della cessazione del rapporto, il domicilio del lavoratore, come stabilito dal quarto comma dell’art. 413 Cpc nel testo introdotto dall’art. 1 della legge 128/1992, ispirato ad esigenze di tutela del medesimo . Infatti, nel caso di rapporto di lavoro già cessato al momento dell’instaurazione dell’ opposizione, deve escludersi il domicilio del lavoratore a tale tempo, altrimenti sarebbe consentito a costui - in contrasto con l’art. 25, primo comma, Costituzione - di scegliersi il giudice competente, trasferendo preventivamente il proprio domicilio. SEZIONE LAVORO 5 GENNAIO 2012, N. 13 OBBLIGAZIONI IN GENERE - CESSIONE DEI CREDITI - ACCESSORI DEL CREDITO. Retribuzione - Effetti della cessione - Mutamento della natura del credito - Esclusione - Ragioni - Accertamento e liquidazione in giudizio - Effettuazione al lordo delle ritenute fiscali e contributive - Necessità anche in caso di cessione del credito - Sussistenza. In tema di cessione del credito, la previsione del primo comma dell’art. 1263 cc, in base alla quale il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli altri accessori”, dev’essere intesa nel senso che nell’oggetto della cessione rientri la somma delle utilità che il creditore può trarre dall’esercizio del diritto ceduto, cioè ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto stesso, la quale, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla determinazione, variazione e modalità della prestazione. Ne consegue che con la cessione il credito di lavoro non muta la sua natura, e i correlativi accertamento e liquidazione giudiziali vanno effettuati al lordo delle ritenute fiscali e contributive, poiché le prime attengono al distinto rapporto d’imposta e vanno eseguite in un momento successivo, e anche le seconde non possono essere considerate nell’ambito del giudizio di cognizione, poiché il datore di lavoro può provvedervi in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza. Secondo Cassazione 4483/2009, quando intervenga una cessione di diritti, non rientrano tra gli altri accessori relativi ai diritti ceduti, indicati dall’art. 1263 cc, le spese processuali che, invece, rimangono di spettanza del dante causa che le ha effettivamente sostenute. In tema si veda anche Cassazione 8842/2000 per la quale l’accertamento e la liquidazione in giudizio dei crediti pecuniari del lavoratore vanno effettuati al lordo delle ritenute fiscali e contributive, in quanto le prime attengono al distinto rapporto di imposta e vanno eseguite in un momento successivo ed anche le seconde non possono essere considerate nell’ambito del giudizio di cognizione, poiché il datore di lavoro può provvedervi in relazione alla sola retribuzione corrisposta alla scadenza. In tema di cessione del credito, per Cassazione 9823/1999, la previsione del primo comma dell’art. 1263 cc, in base alla quale il credito è trasferito al cessionario, oltre che con i privilegi e le garanzie reali e personali, anche con gli altri accessori”, deve essere intesa nel senso che nell’oggetto della cessione rientri la somma delle utilità che il creditore può trarre dall’esercizio del diritto ceduto, cioè ogni situazione giuridica direttamente collegata con il diritto stesso, la quale, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione, ivi compresi tutti i poteri del creditore relativi alla determinazione, variazione e modalità della prestazione, nonché alla tutela del credito. Ne consegue che nell’oggetto della cessione di un credito deve reputarsi incluso il diritto al risarcimento del maggior danno derivante dal ritardo nel pagamento del credito stesso e maturatosi al momento della cessione , trattandosi di diritto che non può esistere o estinguersi se non congiuntamente al credito ceduto e che direttamente consegue al ritardo nell’adempimento dell’obbligazione principale, senza che a tale inclusione sia d’ostacolo la previsione dell’ultimo comma dell’art. 1263, secondo la quale la cessione non comprende, salvo patto contrario, i frutti scaduti e, quindi, gli interessi scaduti, dai quali il suddetto credito risarcitorio differisce ontologicamente e funzionalmente, essendo meramente eventuale e condizionato alla perdita di valore della moneta durante il ritardo nel pagamento, mentre quelli, essendo certi nell’esistenza e nell’ammontare, costituiscono entità autonoma nel patrimonio del creditore cedente all’atto della cessione.