RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 14 NOVEMBRE 2011, N. 23809 PRESCRIZIONE CIVILE - SOSPENSIONE - PER RAPPORTI TRA LE PARTI. Diritto all’equo compenso ex art. 23 del Rd 1127/1939 - Brevetto - Occultamento del rilascio da parte del datore di lavoro - Sospensione della prescrizione - Esclusione - Fondamento. In tema di diritto all’equo compenso previsto dall’art. 23 del Rd 1127/1939, non costituisce causa di sospensione della prescrizione ai sensi dell’art. 2941 n. 8, cc, l’occultamento, da parte del datore di lavoro, della notizia della concessione di brevetto per l’ideazione di macchina destinata ad attività industriali, cui abbia proceduto un dipendente, in quanto la mera consultazione del registro dei brevetti è idonea, per lo speciale regime di pubblicità che regola la materia, a consentire, con l’impiego dell’ordinaria diligenza, la conoscenza di tale avvenuto riconoscimento, dovendosi conseguentemente escludere la configurabilità, in danno del creditore, di una vera e propria impossibilità di agire o comunque di un impedimento non sormontabile con normali controlli. Il dipendente che, nel corso del rapporto di lavoro, abbia realizzato un’opera grafica della quale il datore di lavoro abbia fatto un’utilizzazione economica brevettandola come marchio d’impresa, per Cassazione 3599/1999, non ha diritto all’equo compenso previsto dall’art. 23 Rd 1127/1939, non avendo realizzato un’invenzione industriale, bensì un disegno ornamentale al quale sarebbe applicabile la diversa disciplina dettata dall’art. 7 Rd 1411/1940, non prevedente alcun diritto a compenso , posto che non pare configurabile una invenzione” del marchio in relazione all’ideazione dell’opera grafica peraltro, una rivendicazione di contenuto economico non potrebbe trovare fonte neppure nella disciplina in materia di marchi, atteso che un diritto patrimoniale in relazione all’uso di un marchio può essere rivendicato soltanto per illiceità dell’uso medesimo, o in forza di un contratto di cessione del bene immateriale, onde, in mancanza di una disciplina giuridica o contrattuale, l’ideatore dell’opera grafica dalla quale altri abbia tratto utilità economica servendosene come marchio d’impresa potrebbe soltanto essere legittimato, in presenza delle relative necessarie condizioni, all’esperimento dell’azione sussidiaria per ingiustificato arricchimento. Secondo Cassazione 30/1989, all’esercizio del diritto all’equo premio previsto dall’art. 23 del 1127/1939 - che consiste in una controprestazione straordinaria di carattere indennitario corrisposta una tantum per una prestazione straordinaria, costituita dal risultato inventivo non rientrante nell’attività dovuta dal lavoratore - si applica la prescrizione decennale ordinaria prevista dall’art. 2946 cc e non quella breve, prevista dall’art. 2948, che si riferisce alle prestazioni periodiche inserite in una causa debendi continuativa. tale prescrizione, il cui decorso non è sospeso in corso del rapporto di lavoro, inizia a decorrere dalla data della concessione del brevetto. SEZIONE LAVORO 11 NOVEMBRE 2011, N. 23666 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - RISARCIMENTO DEL DANNO. Diritto del lavoratore al risarcimento del danno - Limite minimo delle cinque mensilità di retribuzione - Natura giuridica - Commisurazione del danno alle retribuzioni - Presunzione iuris tantum” di lucro cessante - Configurabilità. In caso di illegittimo licenziamento del lavoratore, l’indennità prevista dall’art. 18, quarto comma, della legge 300/1070, nel testo sostituito dall’art. 1 della legge 108/1990, nel suo minimo ammontare di cinque mensilità, costituisce una presunzione juris et de jure” del danno causato dal recesso, assimilabile ad una sorta di penale connaturata al rischio di impresa la corresponsione, invece, dell’indennità commisurata alla retribuzione effettivamente non percepita costituisce una presunzione iuris tantum” di lucro cessante, costituendo onere del datore provare che il danno ulteriore non sussiste. Per Cassazione 18146/2007, l’indennità prevista dall’art. 18, quarto comma, della legge 300/1970, nel testo sostituito dall’art. 1 della legge 108/1990, nel suo minimo ammontare di cinque mensilità, costituisce una presunzione juris et de jure” del danno causato dal licenziamento illegittimo, assimilabile ad una sorta di penale connaturata al rischio di impresa la corresponsione, invece, dell’indennità commisurata alla retribuzione effettivamente non percepita costituisce una presunzione iuris tantum” di lucro cessante, costituendo onere del datore provare che il danno ulteriore non sussiste. È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della citata norma in relazione all’art. 36 della Costituzione, poiché essa, non conferisce al lavoratore un diritto per un lavoro non svolto, ma fissa solo una presunzione fondata sulla difficoltà di ricostituire un altro rapporto di lavoro a tempo indeterminato la norma non viola, altresì, l’art. 3 della Costituzione perché l’illegittimità del licenziamento pone il datore di lavoro, che tale illegittimità ha determinato, in posizione ben diversa dal lavoratore, che la subisce ab initio”. In argomento si veda anche Cassazione 8364/2004 secondo cui l’art. 18, quarto comma, della legge 300/1970, nel testo sostituito dall’art. 1 della legge 108/1990, nel prevedere, in caso di invalidità del licenziamento,la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per effetto del licenziamento stesso, mediante corresponsione di una indennità commisurata alla retribuzione non percepita, stabilisce una presunzione iuris tantum” di lucro cessante. Presupposto indefettibile per l’applicabilità di tale disposizione, che costituisce una specificazione del generale principio della responsabilità contrattuale, è l’imputabilità al datore di lavoro dell’inadempimento, fatta eccezione per la misura minima del risarcimento, consistente in cinque mensilità di retribuzione, la quale è assimilabile ad una sorta di penale, avente la sua radice nel rischio di impresa. Ne consegue che ove il licenziamento sia intervenuto in un periodo di sospensione del rapporto di lavoro per effetto dell’esercizio, ex art. 1460 cc,dell’autotutela del lavoratore, che abbia rifiutato di eseguire la propria prestazione a fronte dell’inadempimento di quella del datore di lavoro, non essendo configurabile, per tale periodo, il diritto alla retribuzione, in considerazione della forma di tutela scelta dal lavoratore in sostituzione della normale tutela giurisdizionale, non può operare la predetta presunzione di lucro cessante. Pertanto,in tale ipotesi, correttamente la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno, in caso di invalidità del licenziamento dallo stesso intimato al lavoratore, è limitata al minimo di legge delle cinque mensilità di retribuzione. SEZIONE LAVORO 4 NOVEMBRE 2011, N. 22895 PREVIDENZA ASSICURAZIONI SOCIALI - ASSICURAZIONE PER L’INVALIDITÀ, VECCHIAIA E SUPERSTITI - CONTRIBUTI - FIGURATIVI . Accredito figurativo per maternità - Periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria verificatisi al di fuori del rapporto di lavoro - Disciplina ratione temporis” applicabile - Limiti soggettivi - Fattispecie. In tema di accredito figurativo per maternità per i periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria svolti fuori dal rapporto di lavoro, l’art. 2, comma 4, del D.Lgs. 654/1996, ha superato il perimetro temporale al riconoscimento del diritto in parola riferito, dall’art. 14, comma 3, del D.Lgs. 593/1992, ai periodi successivi al 1° gennaio 1994, ma ha limitato il beneficio a coloro che fossero iscritti al fondo pensioni, e quindi in attività, al momento di entrata in vigore della nuova disciplina, con esclusione, pertanto, dei soggetti già pensionati a tale data. Nella specie la S.C., in applicazione della suddetta normativa ratione temporis” operante sino all’entrata in vigore dell’art. 25 del D.Lgs. 151/2001, ha cassato la decisione con cui il giudice territoriale aveva riconosciuto il menzionato diritto all’accredito figurativo a una lavoratrice domestica in pensione dal 1° dicembre 1992 . In relazione alle domande amministrative presentate nella vigenza del D.Lgs. 151/2001 per il riconoscimento del diritto all’accredito di contributi figurativi per i periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria per maternità svoltisi fuori dal rapporto di lavoro, secondo Cassazione 15784/2011, il beneficio in questione può essere riconosciuto solo nella sussistenza delle condizioni previste dall’art. 25, comma 2, del D.Lgs. 151/2001, come autenticamente interpretato dall’art. 2, comma 504, legge 244/2007, e, dunque, esclusivamente a coloro che, al momento dell’entrata in vigore del citato D.Lgs. 151/2001, non erano titolari di un trattamento pensionistico, risultavano iscritti ad un’assicurazione di lavoro dipendente sia essa quella ordinaria ovvero sostitutiva od esclusiva e potevano far valere almeno cinque anni di contribuzione versati in costanza di rapporto di lavoro. Tra i precedenti si veda anche Cassazione 25460/2010 per la quale in tema di accredito figurativo per maternità per i periodi corrispondenti all’astensione obbligatoria dal lavoro svoltisi fuori dal rapporto di lavoro, l’art. 2, comma 504, legge 244/2007, ha - come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza 71/2010 - natura di interpretazione autentica dell’art. 25 del D.Lgs. 151/2001. Ne consegue che detto beneficio previdenziale è attribuito, con efficacia retroattiva, anche per il periodo di vigenza del D.Lgs. 564/1996, esclusivamente a coloro che, alla data di operatività della disposizione poi oggetto di interpretazione autentica 27 aprile 2001 , risultavano iscritti al fondo pensione lavoratori dipendenti e non anche a chi già fruiva di un trattamento pensionistico, dovendosi intendere la nozione di iscritto” contenuta nell’art. 25 cit. riferibile solo ai lavoratori ancora in attività al momento della domanda di riconoscimento della contribuzione figurativa. SEZIONE LAVORO 24 OTTOBRE 2011, N. 22009 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - DURATA DEL RAPPORTO - A TEMPO DETERMINATO - IN GENERE. Nuove ipotesi di apposizione di termine alla durata del rapporto di lavoro di cui all’art. 23 della legge 56/1987 - Causale relativa alla sostituzione del personale assente per ferie - Legittimità - Limiti - Fattispecie. In tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati, è legittima la previsione, operata dalla contrattazione collettiva, della causale relativa alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno settembre”, dovendo interpretarsi nel senso che gli stipulanti hanno considerato il bisogno, nel periodo in oggetto, di assumere personale per sopperire all’assenza di quello in congedo, con la conseguenza che l’indicazione nel contratto del nominativo del lavoratore sostituito non è necessaria e non è configurabile alcun onere di allegazione e prova dell’esigenza e dell’idoneità della singola assunzione a far fronte a essa, essendo sufficiente il rispetto della clausola di c.d. contingentamento, ossia della percentuale massima di contratti a termine rispetto al numero dei rapporti a tempo indeterminato stabilita a livello collettivo, in adempimento dell’art. 23 della legge 56/1987. In argomento si vedano Sezioni Unite 4588/2006 per le quali l’art. 23 della legge 56/1987, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare - oltre le fattispecie tassativamente previste dall’art. 1 della legge 230/1962 e successive modifiche nonché dall’art. 8 bis del Dl 17/1983, convertito con modificazioni dalla legge 79/1983 - nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco” a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo” ed anche - alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale - per ragioni di tipo meramente soggettivo”, consentendo vuoi in funzione di promozione dell’occupazione o anche di tutela delle fasce deboli di lavoratori l’assunzione di speciali categorie di lavoratori, costituendo anche in questo caso l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i suddetti lavoratori e per una efficace salvaguardia dei loro diritti. Per Cassazione 23119/2010, alla luce della sentenza della Corte costituzionale 214/2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 368/2001, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti - da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse - risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorché non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità.