RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 29 LUGLIO 2011 N. 16781 PROCEDIMENTI SPECIALI - PROCEDIMENTI IN MATERIA DI LAVORO E DI PREVIDENZA - PROCEDIMENTO DI PRIMO GRADO - COSTITUZIONE DELLE PARTI E LORO DIFESA - IN GENERE. Onere delle parti di specifica indicazione dei documenti e di contestuale deposito degli stessi - Omissione - Conseguenze - Decadenza - Limiti - Condizioni - Produzione di documenti in udienza - Provvedimenti del giudice - Conseguenze - Ordine di esibizione - Supplenza del mancato assolvimento dell'onere della prova - Possibilità - Esclusione. Nel rito del lavoro, l'omessa indicazione dei documenti probatori nell'atto di costituzione in giudizio, imposta dall'art. 416, terzo comma, cod. proc. civ., e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che i documenti si siano formati successivamente ovvero la loro produzione sia giustificata dallo sviluppo del processo art. 420, quinto comma, cod. proc. civ. . Ne consegue che, ove i documenti siano stati prodotti in udienza, il giudice potrà dichiarare la decadenza della parte ovvero, in alternativa, disporre l'ammissione d'ufficio dei documenti medesimi ai sensi dell'art. 421, secondo comma, cod. proc. civ., dovendosi ritenere, in tale ultima ipotesi, che il silenzio della controparte - a cui spetta la facoltà, entro il termine perentorio assegnato dal giudice, di dedurre proprie istanze istruttorie - comporti l'accettazione del provvedimento giudiziale di ammissione e dovendosi escludere che l'ordine di esibizione, a norma dell'art. 210 cod. proc. civ., possa supplire al mancato assolvimento dell'onere della prova a carico della parte istante. Sul punto si veda Cassazione 16337/2009 per la quale l'omessa indicazione dei documenti probatori nell'atto di costituzione in giudizio, imposta dall'art. 416, terzo comma cod. proc. civ., e l'omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che i documenti si siano formati successivamente ovvero la loro produzione sia giustificata dallo sviluppo del processo art. 420, quinto comma, cod. proc. civ. . Ne consegue che, ove i documenti siano stati prodotti in udienza, il giudice potrà dichiarare la decadenza della parte ovvero, in alternativa, disporre l'ammissione d'ufficio dei documenti medesimi ai sensi dell'art. 421, secondo comma, cod. proc. civ., dovendosi ritenere, in tale ultima ipotesi, che il silenzio della controparte - a cui spetta la facoltà, entro il termine perentorio assegnato dal giudice, di dedurre proprie istanze istruttorie - comporti l'accettazione del provvedimento giudiziale di ammissione. Per Cassazione 6188/2009, i l combinato disposto dell'art. 416, terzo comma, e dell'art. 437, secondo comma, cod. proc. civ., deve essere interpretato nel senso che nel rito del lavoro, applicabile, ai sensi dell'art. 447-bis cod. proc. civ. anche alla controversia locataria, l'omessa indicazione nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado, ovvero nella memoria difensiva del convenuto, dei documenti, nonché il loro mancato deposito unitamente a detti atti, anche se in questi espressamente indicati, determinano la decadenza dal diritto alla produzione dei documenti stessi, con impossibilità della sua reviviscenza in un successivo grado di giudizio, evidenziandosi, però, che, in materia, deve comunque tenersi conto del potere istruttorio d'ufficio del giudice di cui all'art. 421 cod. proc. civ. e, in appello, previsto dall'art. 437, comma secondo cod. proc. civ. , onde la suddetta preclusione riguardante sia le prove costituende che quelle precostituite può essere superata solo nel caso in cui il giudice del rito del lavoro, sulla base di un potere discrezionale, non valutabile in sede di legittimità, ritenga tali mezzi di prova, non indicati dalle parti tempestivamente, comunque ammissibili perché rilevanti ed indispensabili ai fini della decisione nel giudizio di secondo grado. SEZIONE LAVORO 26 LUGLIO 2011 N. 16255 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - TRASFERIMENTO D'AZIENDA - IN GENERE. Art. 2112 cod. civ. - Retrocessione dell'azienda - Obbligo del cedente di mantenimento dell'occupazione - Condizioni. LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - TRASFERIMENTO D'AZIENDA - IN GENERE. Art. 2112 cod. civ. - Affitto d'azienda - Obbligazioni della affittuaria di mantenimento dell'occupazione - Formale restituzione dell'azienda per cessazione del rapporto d'affitto - Elusione - Ipotesi. Gli effetti dell'art. 2112 cod. civ., che regola i rapporti di lavoro in caso di trasferimento d'azienda, si applicano anche nell'ipotesi di retrocessione dell'azienda affittata, nel senso che il cedente assume, a sua volta, gli obblighi di mantenimento dell'occupazione derivanti dalla predetta norma, ma ciò presuppone che l'impresa retrocessionaria cioè originariamente cedente prosegua, mediante la immutata organizzazione dei beni aziendali, l'attività già esercitata in precedenza, vanificandosi, altrimenti, l'intento perseguito dal legislatore. L'art. 2112 cod. civ., nel regolare i rapporti di lavoro in caso di trasferimento d'azienda, trova applicazione in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca a sé il cessionario senza soluzione di continuità, anche nel caso di affitto d'azienda ne deriva che l'obbligazione dell'azienda affittuaria, come avviene per gli altri casi di cessione, si risolve in un impegno sine die di mantenimento dell'occupazione dei dipendenti trasferiti, che, una volta assunto, non può essere eluso semplicemente con la formale restituzione dell'azienda, per cessazione del rapporto di affitto, quando risulti che invece l'attività della impresa cedente era definitivamente cessata, mentre quella dell'azienda affittuaria era continuata. Tra i precedenti conformi al principio di cui alla prima massima si veda Cassazione 9012/2009 e 12909/2003 per la quale ultima l'art. 2112 cod. civ., che regola la sorte dei rapporti di lavoro in caso di trasferimento d'azienda, trova applicazione in tutte le ipotesi in cui il cedente sostituisca a sé il cessionario senza soluzione di continuità , anche nel caso di restituzione all'originario cedente dell'azienda da parte del cessionario per cessazione del rapporto di affitto, con la conseguenza che, nel caso di licenziamenti intimati dalla società cedente, subito dopo la retrocessione dell'azienda, il criterio della normale occupazione per il computo dei dipendenti ai fini della tutela reale contro i licenziamenti individuali illegittimi va riferito alla società affittuaria. In punto di affitto di azienda si veda anche Cassazione 14710/2006 per la quale il comportamento inadempiente dell'affittuario concernente la mancata restituzione dei beni aziendali alla cessazione del rapporto di affitto non incide sul trasferimento della titolarità dell'azienda, che avviene de iure e sulla conseguente applicabilità dell'art. 2112 cod.civ., ma produce solo effetti di natura risarcitoria alla stregua dell'art. 1591 cod.civ. che, dettato in tema di locazione, si estende all'affitto, mancando, nella disciplina speciale di questo, una norma che regoli i danni per ritardata restituzione. Tra le varie conformi al principio di cui alla seconda massima si vedano Cassazione 12909/2003 e 7458/2002. SEZIONE LAVORO 15 LUGLIO 2011 N. 15610 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - ASSUNZIONE - DIVIETO DI INTERMEDIAZIONE E DI INTERPOSIZIONE APPALTO DI MANO D'OPERA . Somministrazione di manodopera - Controllo giudiziario - Limiti - Valutazioni tecniche ed organizzative dell'utilizzatore - Sindacabilità - Esclusione - Onere della prova dell'utilizzatore - Contenuto - Mancato soddisfacimento - Conseguenze. In tema di somministrazione di manodopera, il controllo giudiziario sulle ragioni che la consentono è limitato all'accertamento della loro esistenza, non potendosi esso estendersi, ai sensi dell'art. 27, comma 3, del d.lgs. n. 276 del 2003, al sindacato sulle valutazioni tecniche ed organizzative dell'utilizzatore, il quale è tenuto a dimostrare in giudizio l'esigenza alla quale si ricollega l'assunzione del lavoratore, instaurandosi, ove tale onere sia soddisfatto, un rapporto a tempo indeterminato con l'utilizzatore della prestazione. Sul principio di cui alla massima in rassegna non risultano precedenti specifici. Quanto all'analogo tema della specificazione delle ragioni nel contratto a termine si veda Cassazione 10033/2010 per la quale l'apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dall'art. 1 del d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al datore di lavoro l'onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l'immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell'ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell'ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare - con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente dal sindacato di legittimità - la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento, ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificamente indicate con atto scritto ai fini dell'assunzione a termine, ivi compresi gli accordi collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del rapporto.