RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 6 LUGLIO 2011, N. 14875 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - CATEGORIE E QUALIFICHE DEI PRESTATORI DI LAVORO - MANSIONI - TRASFERIMENTI. Trasferimento - Presupposti - Esercizio atipico della funzione disciplinare - Esclusione - Esistenza di ragioni tecniche ed organizzative - Sussistenza - Legittimità del provvedimento datoriale - Valutazione - Parametri - Fattispecie. Il trasferimento del lavoratore ad una sede di lavoro diversa da quella dove prestava precedentemente servizio, ove non si ricolleghi all'esercizio, atipico, della potestà disciplinare del datore di lavoro ma a ragioni tecniche ed organizzative, prescinde dalla colpa del dipendente e dall'osservanza delle garanzie proprie del procedimento disciplinare. Ne consegue che la legittimità del provvedimento datoriale va valutata alla luce dei limiti posti dall'art. 2103 cc e, dunque, della necessaria corrispondenza tra la misura e le finalità tipiche dell'impresa. Nella specie, relativa al trasferimento del direttore di una filiale di un istituto di credito in ragione della sua non collaborazione per lo svolgimento di una ispezione presso la sede da lui diretta, la corte territoriale ha escluso la natura disciplinare del provvedimento attesa l'assenza di ogni preventiva contestazione e la mancata previsione di una simile sanzione nella disciplina collettiva applicabile la S.C., in applicazione dell'anzidetto principio, ha rigettato il ricorso . Sul punto si veda Cassazione 7045/2010 per la quale il trasferimento del lavoratore ad una sede di lavoro diversa da quella dove prestava precedentemente servizio, pur potendo essere previsto come sanzione disciplinare dalla contrattazione collettiva, la quale è abilitata a individuare sanzioni diverse da quelle tipiche previste dall'art. 7 della legge 300/1970, non assume tale natura ove il datore di lavoro si limiti ad esercitare lo ius variandi riconosciutogli dall'art. 2103 cc, allegando la sussistenza di un giustificato motivo tecnico, organizzativo e produttivo per il mantenimento del luogo di lavoro nella specie, la soppressione dell'attività presso il luogo di origine ed il suo accentramento nella nuova sede , e non è pertanto assoggettato alle garanzie previste dai commi terzo e quarto dell'art. 7 e dalla contrattazione collettiva, le quali devono invece assistere il successivo licenziamento intimato al lavoratore per la sua protratta assenza dalla nuova sede di servizio, configurandosi tale provvedimento come sanzione disciplinare, in quanto il predetto comportamento costituisce una tipica inadempienza degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro. Per Cassazione 4265/2007 il trasferimento del dipendente dovuto ad incompatibilità aziendale, trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell'unità produttiva, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive, di cui all'art. 2103 cc, piuttosto che, sia pure atipicamente, a ragioni punitive e disciplinari, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento prescinde dalla colpa in senso lato dei lavoratori trasferiti, come dall'osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari. In tali casi, il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato, deve essere diretto ad accertare soltanto se vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell'impresa, e, trovando un preciso limite nel principio di libertà dell'iniziativa economica privata garantita dall'art. 41 Cost. , il controllo stesso non può essere esteso al merito della scelta imprenditoriale, né questa deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo. SEZIONE LAVORO 5 LUGLIO 2011, N. 14741 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - ESTINZIONE DEL RAPPORTO - LICENZIAMENTO INDIVIDUALE - DISCIPLINARE. Cooperativa di produzione e lavoro - Licenziamento del socio lavoratore - Tutela minima e inderogabile - Situazioni giuridiche maturate nella vigenza della legge 142/2001 - Applicabilità - Provvedimento di esclusione del socio - Regolamento previsto dall'art. 6 della legge 142/2001 - Mancata adozione - Irrilevanza - Fondamento - Rimozione del provvedimento di esclusione - Effetti - Ricostituzione del rapporto associativo e del rapporto di lavoro - Sussistenza. SOCIETÀ - DI CAPITALI - SOCIETÀ COOPERATIVE - CAPITALE SOCIALE - PARTECIPAZIONE DEI SOCI - ESCLUSIONE DEL SOCIO - IN GENERE. Gravità dell'inadempimento - Valutazione del tempo trascorso - Necessità - Notevole distanza temporale - Illegittimità - Violazione dello spirito mutualistico e solidaristico della cooperativa - Rilevanza - Limiti. - In tema di licenziamento disciplinare irrogato da una società cooperativa di produzione e lavoro, la legge 142/2001 ha introdotto in favore dei soci un complesso di tutele minime e inderogabili che, pur non retroattive, sono applicabili a tutte le situazioni giuridiche che maturino nella vigenza della legge ancorché relative a rapporti contrattuali sorti anteriormente alla sua entrata in vigore. Ne consegue, che, ove il provvedimento di esclusione del socio sia stato deliberato nel vigore della nuova normativa, la mancata adozione del regolamento previsto dall'art. 6 della legge 142/2001 non comporta un vuoto di disciplina atteso che, pur costituendo quest'ultimo un tratto qualificante della nuova normativa della cooperazione del lavoro, non può la sua esistenza condizionare l'efficacia della disciplina legale che è informata alla regola fondamentale della duplicità dei rapporti che qualificano il lavoro cooperativo e dell'applicabilità a tali rapporti di tutti i conseguenti effetti di disciplina. Ne consegue, inoltre, che, rimosso il provvedimento di esclusione, il socio avrà diritto alla ricostituzione del rapporto associativo e del concorrente rapporto di lavoro indipendentemente dall'applicabilità dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori. - In tema di società cooperative, l'inadempimento che giustifica l'esclusione del socio lavoratore ai sensi dell'art. 2533 cc deve essere qualificato in termini di specifica gravità e presuppone, pertanto, anche una valutazione del tempo trascorso fra la mancanza addebitata e la reazione da parte della società recedente, dovendosi ritenere non conforme ai criteri legali, anche alla luce delle regole di buona fede e correttezza, l'esclusione disposta a notevole distanza di tempo dai fatti addebitati, mentre resta escluso che nella clausola che sanziona la violazione dello spirito mutualistico e solidaristico della cooperativa sia ascrivibile la tutela in giudizio dei diritti del socio, salvo che si dimostri che la tutela giudiziaria fosse strumentale al perseguimento di finalità indebite, del tutto estranee alla legittima anche se eventualmente infondata nel merito protezione dei propri interessi giuridici. - Sul tema di cui alla prima massima si veda Cassazione 3043/2011 per la quale in tema di licenziamento disciplinare irrogato da una società cooperativa di produzione e lavoro, l'onere probatorio della sussistenza anche del rapporto associativo con il lavoratore compete alla società e, ove tale onere non sia assolto, deve escludersi la possibilità di attribuire al medesimo la qualità di socio-lavoratore, dovendo egli essere considerato un lavoratore subordinato puro e semplice, con conseguente inapplicabilità dell'art. 2 della legge 142/2001, il quale, nel caso in cui venga a cessare, con il rapporto di lavoro, anche quello associativo, prevede che ai soci lavoratori si applica la legge 300/1970, con esclusione dell'art. 18. In argomento si veda anche Cassazione 3146/1992 per la quale l'attività lavorativa svolta dal socio di una cooperativa di lavoro e produzione non è sempre ricollegabile al rapporto societario, con conseguente assoluta esclusione della configurabilità di un rapporto di lavoro, atteso che le parti ben possono, nella loro autonomia negoziale, stabilire convenzionalmente che prestazioni lavorative del socio, pur se riferibili all'oggetto sociale, siano espletate nell' ambito di un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, anziché in adempimento del contratto sociale. La necessità dell'accertamento riservato al giudice del merito dell'effettiva natura del rapporto nel cui ambito sono state svolte le prestazioni lavorative predette non è esclusa - nella controversia in cui il socio lavoratore abbia dedotto l'illegittimità del proprio licenziamento sia per la mancata contestazione di giusta causa o di giustificato motivo sia ancorché non esplicitamente per la natura disciplinare di esso - dalla circostanza che la società indicata come datrice di lavoro potesse, anteriormente alla legge n. 108 del 1990 ed in ragione del numero dei dipendenti occupati, recedere ad nutum , dovendo tenersi conto, alla stregua della sentenza della Corte Costituzionale 427/1989, dell'applicabilità delle garanzie procedimentali, previste dai commi secondo e terzo dell'art. 7 della legge 300/1970, anche in ipotesi di licenziamenti per motivi disciplinari intimati da imprenditori con meno di sedici dipendenti. - Quanto alla seconda massima, nell'interpretazione della clausola dello statuto di una società cooperativa, la quale preveda l'esclusione del socio per l'inadempimento degli obblighi su di lui gravanti, secondo Cassazione 14901/2009, al fine di valutare la gravità dell'inadempimento il giudice è tenuto ad esaminare l'oggetto sociale e la relativa clausola statutaria, secondo il principio dell'interpretazione complessiva delle clausole del contratto, posto dall'art. 1363 cc. Per Cassazione 694/2001 il principio secondo il quale i rimedi generali dettati in tema di inadempimento contrattuale risoluzione del contratto, exceptio inadimpleti contractus ecc. non sono utilizzabili nel diverso ambito dei contratti societari per essere questi ultimi caratterizzati non già dalla corrispettività delle prestazioni dei soci, bensì dalla comunione di scopo, sì che i rimedi invocabili sono quelli del recesso e dell'esclusione del socio non si applica alle società cooperative, nelle quali il rapporto ulteriore rispetto a quello relativo alla partecipazione all'organizzazione della vita sociale attinente al conseguimento dei servizi o dei beni prodotti dalla società ed aventi ad oggetto prestazioni di collaborazione o di scambio tra socio e società è indiscutibilmente caratterizzato non dalla comunione di scopo, bensì dalla contrapposizione tra quelle prestazioni e la retribuzione o il prezzo corrispettivo. In particolare, con riguardo alle cooperative edilizie, un tale rapporto economico - giuridico, distinto da quello sociale, instaurandosi tra società e socio prenotatario nella fase della successiva attribuzione dell'unità immobiliare costruita, caratterizza tale attribuzione come vero e proprio atto traslativo della proprietà a titolo oneroso, sicché riprendono vigore i rimedi generali volti a mantenere o ristabilire l'equilibrio sinallagmatico tra la prestazione traslativa e la controprestazione economica. SEZIONE LAVORO 5 LUGLIO 2011, N. 14709 PREVIDENZA ASSICURAZIONI SOCIALI - ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI - INDENNITÀ E RENDITA - IN GENERE. Mancata erogazione della rendita dopo il riconoscimento del relativo diritto e prima della liquidazione a causa di un errore di valutazione - Ammissibilità - Fondamento - Art. 55, quinto comma, della legge 88/1989 - Potere di porre riparo agli errori commessi nell'erogazione delle prestazioni - Portata meramente ricognitiva di dati normativi già presenti nell'ordinamento - Sussistenza. Poiché il diritto alla prestazione previdenziale nasce dalla legge, quando si realizzano le condizioni previste, gli atti dell'istituto assicuratore che riconoscono e soddisfano tale diritto hanno natura di meri atti di certazione, ricognizione e adempimento - e non di concessione della prestazione - rispetto ai quali, pertanto, non è configurabile un potere di autotutela decisoria che si estrinsechi in annullamento o revoca di essi. Tanto più che, essendo l'istituto assicuratore un soggetto pubblico e trattandosi di materia indisponibile, la volontà dello stesso di obbligarsi non può desumersi per implicito da fatti o atti più o meno indicativi di una aspirazione o inclinazione intenzionale, ma deve essere manifestata nelle forme richieste dalla legge. Ne consegue che all'art. 55 della legge 88/1989, nella parte in cui contempla la possibilità di porre riparo in qualunque momento agli errori di qualsiasi natura commessi nell'erogazione delle prestazioni, deve essere attribuita una portata meramente ricognitiva di dati normativi già presenti nell'ordinamento. A tale norma, quindi, l'INAIL può fare ricorso nell'ipotesi in cui, dopo aver riconosciuto il diritto alla rendita e prima della liquidazione della prestazione, si renda conto di un errore di valutazione che lo determini a non erogarla. Identico principio di diritto si trova già affermato da Cassazione 6166/1999. Sul tema della surrogazione legale dell'assicuratore si veda Cassazione 1702/1987 per la quale, ove l'Inail, anziché esercitare l'Azione di regresso ex artt. 10 ed 11 Dpr 1124/1965 nei confronti del datore di lavoro responsabile dell'infortunio patito dal lavoratore assicurato, si surroghi ex art. 1916 cc nei diritti di quest'ultimo verso il terzo responsabile, il limite quantitativo della surroga - costituito, secondo il disposto del primo comma dell'art. 1916 cit., dall'ammontare dell'indennità pagata dall'assicuratore all'assicurato - non riguarda, in ipotesi di Costituzione di rendita vitalizia, l'ammontare di quest'ultima all'epoca della sua iniziale Costituzione, ma deve essere inteso con riferimento alle somme corrispondenti al valore capitale aggiornato in pendenza della sua erogazione, atteso che il terzo responsabile, fino a quando non soddisfi il credito dell'istituto assicuratore, risente gli effetti del suo inadempimento e quindi gli aggiornamenti migliorativi come anche, in ipotesi, quelli riduttivi sono rilevanti nella Determinazione del suddetto limite quantitativo dell'Azione di surrogazione, sempre che nell'eventuale giudizio tra il lavoratore infortunato ed il terzo responsabile non si sia formato il giudicato sull'ammontare del danno. SEZIONE LAVORO 30 GIUGNO 2011, N. 14435 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE - IN GENERE. Assunzioni temporanee da parte di una P.A. - Costituzione di rapporti a tempo indeterminato - Ammissibilità - Esclusione - Fondamento - Fattispecie. In tema di assunzioni temporanee alle dipendenze di pubbliche amministrazioni con inserimento nell'organizzazione pubblicistica dell'ente, anche per i rapporti di lavoro di diritto privato da esse instaurati trovano applicazione le discipline specifiche che escludono la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, atteso che l'art. 97 della Costituzione, che pone la regola dell'accesso al lavoro nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso, ha riguardo non già alla natura giuridica del rapporto ma a quella dei soggetti, salvo che una fonte normativa non disponga diversamente per casi particolari. Fattispecie relativa a personale temporaneo assunto presso l'autonoma struttura per i servizi irrigui della Regione Puglia, poi nuovamente impiegato alle dipendenze del Consorzio di Bonifica a cui erano stati affidati detti servizi . Tra i precedenti conformi in argomento si veda Cassazione 18276/2006. Sul tema si veda anche Cassazione 10904/2005 per la quale con riferimento ai contratti a termine stipulati dall'Amministrazione degli affari esteri ai sensi dell'art. 12 della legge 49/1987 nei quali la stessa agisce con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro, tramite atti e sequenze procedimentali di natura negoziale e alla possibilità di rinnovo degli stessi, che, pur nell'ambito dell'autonomia negoziale, è sottoposta dalla legge al rispetto di regole procedimentali per assumere la decisione di concludere il contratto secondo quanto stabilito dall'art. 4 del Dl 543/1993, convertito in legge 121/1994, per contratti in scadenza in periodi determinati , nel caso di violazione delle suddette regole procedimentali - atteso che i vincoli previsti dalla legge tutelano direttamente gli interessati, che hanno il diritto al puntuale rispetto delle obbligazioni strumentali rispetto all'utilità sperata del rinnovo del contratto - si configura inadempimento in senso tecnico, con conseguente responsabilità contrattuale ex art. 1218 del cc, e non precontrattuale per violazione dell'art. 1337 dello stesso codice.