RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE di Francesca Evangelista

di Francesca Evangelista SEZIONE LAVORO 24 GIUGNO 2011, N. 13960 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - COSTITUZIONE DEL RAPPORTO - ASSUNZIONE - DIVIETO DI INTERMEDIAZIONE E DI INTERPOSIZIONE APPALTO DI MANO D'OPERA . Contratto di prestazione di lavoro temporaneo - Mancanza o generica previsione dei casi ammissibili in base ai contratti collettivi dell'impresa utilizzatrice - Conseguenze - Instaurazione del contratto tra lavoratore ed utilizzatore interponente - Fondamento. In materia di rapporto di lavoro interinale, la mancanza o la generica previsione, nel contratto intercorrente tra l'impresa fornitrice ed il singolo lavoratore, dei casi in cui è possibile ricorrere a prestazioni di lavoro temporaneo, in base ai contratti collettivi dell'impresa utilizzatrice nella specie la Poste Italiane s.p.a. , spezza l'unitarietà della fattispecie complessa voluta dal legislatore per favorire la flessibilità dell'offerta di lavoro nella salvaguardia dei diritti fondamentali del lavoratore e far venir meno quella presunzione di legittimità del contratto interinale, che il legislatore fa discendere dall'indicazione nel contratto di fornitura delle ipotesi in cui il contratto interinale può essere concluso. Pertanto, trova applicazione il disposto di cui all'articolo 10 della legge 196/1997 e dunque quanto previsto dall'articolo 1 della legge 1369/1960, per cui il contratto di lavoro col fornitore interposto si considera a tutti gli effetti instaurato con l'utilizzatore interponente . In tema di lavoro interinale e di rapporti con la disciplina del divieto di interposizione di manodopera, per Cassazione 2488/2008, mentre l'articolo 10, comma primo, della legge 196/1997 si deve interpretare - al fine di evitare di ipotizzare difetti di coordinamento con il comma successivo e di ritenere pleonastici i richiami normativi in esso contenuti - nel senso che il divieto di interposizione fittizia di manodopera previsto dalla legge 1369/1960 continua a trovare applicazione nei confronti dell'impresa utilizzatrice che ricorra alla fornitura di prestatori di lavoro dipendente da parte di soggetti diversi da quelli cui all'articolo 2 della stessa legge 196/1997 ovvero che violi le disposizioni di cui al precedente articolo 1, commi secondo, terzo, quarto e quinto, l'articolo 10, secondo comma, della legge citata disciplina l'ipotesi dell'instaurazione ex lege di un rapporto di lavoro a tempo determinato con l'impresa utilizzatrice. Ne consegue che nei casi disciplinati dal primo comma, cui sono riconnesse tutte le conseguenze anche penali previste dalla legge 1369/1960, deve ravvisarsi quale unico effetto la sostituzione di diritto del datore di lavoro-fornitore con il soggetto utilizzatore delle prestazioni mentre rimangono invariati gli altri elementi contrattuali, ivi compreso quello inerente la temporaneità del rapporto. In argomento si veda anche Cassazione 3020/2003 la quale ricorda che il rapporto di lavoro interinale , disciplinato dalla legge 196/1997, ha luogo attraverso due distinti contratti, quello di fornitura di lavoro temporaneo ad un'impresa utilizzatrice e quello di prestazione di tale lavoro, con la scissione fra la gestione normativa e quella tecnico - produttiva del lavoratore in tale ambito, peraltro, il contratto di lavoro temporaneo costituisce per il lavoratore la fonte esclusiva della disciplina normativa del suo rapporto di lavoro cosiddetto contratto - base ed al suo contenuto va fatto riferimento per accertare l'assoggettamento dell'impresa utilizzatrice alla sanzione - prevista dall'articolo 10, terzo comma, della citata legge - della trasformazione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, in caso di superamento del termine convenuto ne consegue che, nell'ipotesi di contrasto fra il termine finale contenuto nel contratto di prestazione di lavoro e quello contenuto nel contratto di fornitura, ha rilievo, ai fini predetti, unicamente il termine di cui al primo contratto, il cui contenuto è rilevante anche nei confronti dell'impresa utilizzatrice perché ad essa si estende per effetto di una fattispecie caratterizzata da due autonomi negozi - ontologicamente fra loro collegati - che danno luogo ad un rapporto - indivisibile - trilaterale, mentre sul lavoratore, attesa la sua posizione nel rapporto di fornitura, non incombe alcun obbligo di conoscenza del contenuto dello stesso. SEZIONE LAVORO 17 GIUGNO 2011, N. 13361 PREVIDENZA ASSICURAZIONI SOCIALI - ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO E LE MALATTIE PROFESSIONALI - MALATTIE PROFESSIONALI - IN GENERE. Infermità invalidante derivante da fattori concorrenti di natura professionale ed extraprofessionale - Principio di equivalenza causale stabilito dall'articolo 41 Cp - Applicabilità - Conseguenze - Fattispecie relativa a complicanze da vaccino somministrato a seguito di infortunio sul lavoro. Nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, trova diretta applicazione la regola contenuta nell'articolo 41 Cp, per cui il rapporto causale tra evento e danno è governato dal principio dell'equivalenza delle condizioni, secondo il quale va riconosciuta l'efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito, anche in maniera indiretta e remota, alla produzione dell'evento, mentre solamente se possa essere con certezza ravvisato l'intervento di un fattore estraneo all'attività lavorativa, che sia di per sé sufficiente a produrre l'infermità tanto da far degradare altre evenienze a semplici occasioni, deve escludersi l'esistenza del nesso eziologico richiesto dalla legge. Nella specie, la S.C., in applicazione dell'anzidetto principio, ha ritenuto la riconducibilità all'attività lavorativa della malattia contratta per complicanze insorte dalla vaccinazione contro l'epatite B atteso che la necessità di questo intervento sanitario - nonché dei successivi richiami - era conseguente ad un infortunio sul lavoro . Tra i precedenti conformi si vedano Cassazione 14770/2008 e Cassazione 1135/2011 per la quale in materia di malattia professionale, per l'accertamento dell'eziologia professionale della patologia contratta trova applicazione il criterio secondo il quale deve ritenersi acquisita la prova del nesso causale nel caso sussista un'adeguata probabilità, sul piano scientifico, della risposta positiva, non occorrendo una assoluta certezza, e ciò non a causa dell'incompletezza delle prove fornite riguardo ad elementi strettamente fattuali, ma per ragioni intrinseche alla variabilità e non completa prevedibilità delle reazioni dei soggetti umani ai fattori potenzialmente incidenti sul loro stato di salute e alla limitata possibilità di identificare anche ex post quali siano stati i fattori causali che concretamente abbiano operato, tanto più che, in applicazione dell'articolo 41Cp, va riconosciuta efficienza causale ad ogni antecedente che abbia contribuito alla produzione dell'evento, salvo il limite derivante dall'intervento di un fattore esterno all'attività lavorativa che sia di per sé sufficiente a produrre l'infermità e a far degradare altre evenienze a mere occasioni. SEZIONE LAVORO 6 GIUGNO 2011, N. 12211 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - RINUNZIE E TRANSAZIONI - IN GENERE. Transazione tra datore di lavoro e lavoratore - Necessità dell'esplicitazione del dissenso - Esclusione - Individuabilità di una volontà comune di por fine ad ogni controversia - Sussistenza - Contenuto negoziale diverso da quello risultante dal documento - Prova testimoniale - Esclusione - Necessità di equilibrio tra le reciproche concessioni - Esclusione - Fattispecie. In tema di transazione stipulata dal datore di lavoro e dal lavoratore occorre indagare se le parti, mediante l'accordo, abbiano perseguito la finalità di porre fine all'incertus litis eventus - anche solo per una parte del contenzioso - senza che, tuttavia, sia necessaria l'esteriorizzazione delle contrapposte pretese, né che siano state usate espressioni direttamente rivelatrici del negozio transattivo, la cui esistenza può essere desunta anche dalla corresponsione di denaro da parte del debitore, accettata dal creditore dichiarando di essere stato pienamente soddisfatto e di non avere null'altro a pretendere, se possa ritenersi che essa esprima la volontà di porre fine ad ogni ulteriore contesa, ferma restando l'inammissibilità della prova testimoniale diretta a provare un diverso contenuto del rapporto transattivo. Quanto poi ai requisiti dell' aliquid datum e dell' aliquid retentum , essi non sono da rapportare agli effettivi diritti delle parti, bensì alle rispettive pretese e contestazioni, e pertanto non è necessaria l'esistenza di un equilibrio economico tra le reciproche concessioni. Nella specie, relativa ad un accordo transattivo con cui era stato riconosciuto un incentivo per le dimissioni rassegnate dal lavoratore,la S.C., nel rigettare il ricorso, ha ritenuto la correttezza della decisione del giudice di merito, che aveva valutato le prove orali assunte solo nella misura in cui erano dirette a convalidare e chiarire il contenuto del negozio transattivo, ritenuto funzionale a reintegrare il lavoratore dei mancati redditi provenienti dalla sua attività all'interno della società a causa della cessazione anticipata del rapporto . La massima fa applicazione del consolidato principio espresso tra le altre da Cassazione 13083/2009 per la quale in tema di interpretazione dei contratti collettivi, l'articolo 1362 cc impone all'interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, in ciò differenziandosi dall'articolo 12 delle preleggi che, nell'interpretazione della legge, assegna un valore prioritario al dato letterale, individuando, quale ulteriore elemento, l'intenzione del legislatore. Ne consegue che, ove il giudice di merito, nell'interpretare una transazione sindacale, abbia risolto i dubbi posti dal senso letterale delle parole mediante un'analisi adeguata e compiutamente motivata della comune intenzione delle parti come risultante dal complesso dell'atto, il processo ermeneutico è conforme ai canoni legislativi e non presenta vizi di motivazione. Per Cassazione 22068/2007 in tema di transazione stipulata dal datore di lavoro e dal lavoratore finalizzata all'esodo incentivato di quest'ultimo, l'interpretazione delle relative disposizioni contrattuali è riservata al giudice di merito, le cui valutazioni soggiacciono, in sede di legittimità, alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di una motivazione coerente e logica, gravando sul ricorrente l'onere di indicare i canoni di ermeneutica violati e le ragioni dell'asserita incongruità e incompletezza della motivazione. Analogamente Cassazione 17015/2007 afferma che in tema di transazione stipulata dal lavoratore e dal datore di lavoro, non è ammissibile la prova testimoniale relativa al diverso contenuto del rapporto transattivo risultante dal documento sottoscritto dalle parti, sia nel caso di patti aggiunti o contrari al contenuto del documento, ostandovi il principio di cui all'articolo 2725 cc, sia nel caso si intenda provare un contenuto diverso dell'atto rispetto a quello sottoscritto, ostandovi l'articolo 1967 cc.